LUCI E OMBRE IN TURCHIA.

LUCI E OMBRE IN TURCHIA.

Ahmed Davutoglu

Ahmed Davutoglu

La politica della Turchia: levantina…cinica….real politik sempre conscia del proprio ruolo di primo piano in quello scacchiere, fin dai tempi di Mustafà Kemal Ataturk.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

Nelle prime due settimane di maggio, il presidente Erdogan ha finalizzato i suoi obiettivi.

La commissione parlamentare, formata da fedelissimi del partito di governo AKP del presidente, approva la proposta dell’esecutivo di sopprimere l’immunità dei deputati dell’HDP, il Partito democratico dei popoli, fazione di sinistra pro-curdi, accusata di essere l’ombrello politico del PKK.

Il primo obiettivo, perseguito da luglio 2015 con la campagna militare contro il sud-est curdo uccidendo almeno 338 civili, sfollandone oltre 100 mila e distruggendo intere comunità, è così raggiunto perché il vero target, il co-segretario dell’HDP, Selahattin Demirtas, accusato di sostegno al terrorismo, rischia quindici anni di carcere mentre l’intero partito subisce raid polizieschi nelle sedi conclusi con l’arresto di centinaia dei suoi membri.

I leader del partito dovranno presentarsi in tribunale per avere accusato il presidente di volere escludere dalla politica ventidue milioni di cittadini turchi curdi e renderne impossibili le condizioni di vita mezzo di continui e ininterrotti coprifuoco.

In secondo luogo, il presidente turco ottiene le dimissioni dalla carica di presidente del partito e, quindi, da primo ministro, di Ahmed Davutoglu, che ha convocato un congresso straordinario per il 22 maggio per l’elezione del suo successore, che sarà probabilmente il genero di Erdogan.

Mirando alla redazione di una nuova Costituzione che ne assicuri anche il potere esecutivo, in realtà il presidente aveva pilotato le dimissioni di Davutoglu sin dall’aprile precedente mentre era in visita nel Qatar, quando, attraverso il Comitato esecutivo Centrale dell’AKP, gli toglie la facoltà di nominare o sollevare i leader del partito nelle varie province turche.

Il terzo obiettivo è l’accordo siglato a marzo scorso e confermato a maggio con l’Unione Europea ai termini del quale, in cambio di sei miliardi di euro in due anni e della liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi entra il prossimo giugno, la Turchia s’impegna a riaccogliere i respingimenti effettuati dalle autorità greche, costituendo, di fatto, il “terzo Paese” verso il quale saranno espulsi sia i “migranti economici” sia coloro che hanno inoltrato una domanda di asilo e sono in attesa di approvazione, con un rapporto di scambio di un siriano accolto in Europa per ogni cittadino siriano respinto in Turchia.

L’accordo, definito da Bruxelles e Nazioni Unite “una soluzione illegale”, è oggetto di condanne anche da numerose organizzazioni impegnate nel rispetto dei diritti umani per almeno tre incongruenze:

  • è di dubbia legalità il respingimento verso un “terzo Paese”, perché viola le norme d’asilo sottoscritte dai 28 membri dell’UE;
  • la Turchia non può essere classificata “Paese terzo sicuro” mentre Human Rights Watch e Amnesty International espongono varie criticità per le quali lo Stato turco non rappresenta una destinazione idonea per i respingimenti, atteso che fra marzo e aprile il bilancio è di cinque morti, fra cui 1 bambino, e 14 feriti tra i profughi siriani uccisi dalle guardie frontaliere turche nel tentativo di cercare rifugio oltre il confine;
  • le norme di asilo sottoscritte dall’UE non corrispondono a quelle scelte dalla Turchia, a svantaggio dei migranti di nazionalità non siriana, spesso dichiarati “migranti economici”, che rischiano di essere deportati nei rispettivi Paesi di origine una volta riallocati in Turchia, come accaduto a rifugiati pakistani che, dopo il provvedimento del parlamento turco all’inizio dello scorso mese, potranno essere deportati in Pakistan, perché precondizione dell’accordo Turchia – UE è l’emergenza umanitaria costituita dalla guerra in Siria (alla quale, peraltro, ha contribuito sin dall’inizio proprio la Turchia).

In questo periodo, in Turchia vi sono tre milioni di rifugiati, 2,7 provengono dalla Siria e gli altri 300 mila da Iraq, Afghanistan, Somalia, Territori Palestinesi.

Nel silenzio della Comunità Internazionale, e in primis da USA e UE, il presidente turco può raggiungere il quarto, più ricercato obiettivo.

Secondo il quotidiano turco “Yeni Safak”, Ankara ha ottenuto con il sostegno di USA e Germania di realizzare una “buffer zone” (zona cuscinetto), lunga 18 km e larga 8 nella regione siriana di Jarablus a Nord-Ovest, impegnata negli ultimi mesi per lo scontro in atto fra il PYD curdo-siriano e militanti di Daesh, ma anche dalla Turchia che non accetta la presenza curda lungo il suo confine con la Siria, temendone ambizioni di autonomia come accaduto in Iraq.

Presentando il problema della lotta al terrorismo per la minaccia Daesh, in realtà la Turchia da luglio 2015 si è concentrata esclusivamente sul PKK, a Nord dell’Iraq, e in Siria e Turchia sul PYD, suo braccio siriano nella regione kurda Rojava, massacrandone intere cittadine fra le quali Kilis, città turca a 3 km dalla frontiera con la Siria, che da gennaio è target di attacchi missilistici.

Dall’altra parte del confine c’è al-Bab, comunità siriana occupata da Daesh, che si muove con pick-up dotati di lancia-razzi e Katiusha e l’esercito turco reagisce con l’artiglieria spesso però avendo come target non Daesh ma le unità curde di Rojava e Pyd, avanzate verso Ovest e il fiume Eufrate.

Il presidente Erdogan assicura che l’esercito è pronto a scacciare Daesh lungo il lato siriano della frontiera, come del resto già fatto in territorio siriano per operazioni mirante contro i lanciatori di razzi jihadisti.

Intanto, in Siria Daesh, Fronte al-Nusra e Ahar al-Sham – milizia salafita qaedista accolta al tavolo negoziale di Ginevra, al quale su richiesta della Turchia è stata vietata la presenza dei curdi del PYD che combattono con gli USA – hanno occupato il villaggio a maggioranza alawita di Zara, nella provincia di Hama e il giorno precedente Daesh aveva tagliato la linea di rifornimento usata da Damasco fra Homs e Palmira, di nuovo circondata dopo la liberazione, portandosi a 10 km dalla capitale siriana

In un’intervista concessa alla BBC britannica, Cemil Bayik, che insieme a Murat Karayulan, è uno degli esponenti apicali del PKK, dichiara, a fronte della guerra scatenata dalla Turchia, che i curdi si difenderanno, senza separarsi dalla Turchia ma solo viverci in modo libero e, se la guerra voluta da Erdogan proseguirà, intensificheranno gli attacchi.

E fornisce dati di una situazione diversa dalla narrativa turca.

Il ‘cessate il fuoco’ in vigore da marzo 2013 tra ribelli curdi e Turchia viene interrotto lo scorso luglio dopo che un attentato suicida rivendicato da Daesh uccide decine di attivisti di sinistra pro-curda a Suruc nel Nord Est della Turchia.

Il partito curdo accusa il presidente di non aver disposto adeguate misure di sicurezza.

Erdogan dichiara la fine delle trattative con il PKK e dà inizio a una campagna militare bombardando e assediando le aree a maggioranza curda nel Sud Est del Paese e invia i caccia sui monti di Qandil nel Nord iracheno dove è rifugiata la sede operativa del PKK.

La Human Rights Association of Turkey riporta almeno 338 civili uccisi, di cui 78 bambini, 1 milione e 600 mila persone private dei diritti umani fondamentali.

I dati espongono situazioni drammatiche: a Nusaybin, trentacinquemila civili sono sotto assedio, privi di medicinali, cibo, acqua potabile, elettricità; a Idil, un coprifuoco di 43 giorni causa la demolizione o il danneggiamento di circa 1.200 edifici e la fuga di 15 mila abitanti; curdi sospettati di contiguità con il PKK sono uccisi a Mardin, in provincia di Nusaynin, nel distretto di Lice in provincia di Diyarbakir, nella provincia di Sinark e in quella di Kars, nel distretto di Kagizman.

Secondo le autorità turche, dallo scorso luglio sono stati uccisi 3.700 “terroristi” e 400 sono le vittime turche tutti degli apparati di sicurezza.

Perché per Erdogan PKK e formazioni curde di supporto sono come i jihadisti di Daesh.

E’ in corso un massacro indiscriminato anche di civili tra i monti Qandil e il Sud-Est della Turchia nella complice indifferenza di USA, UE e Comunità Internazionale, pur trattandosi della ripresa del conflitto tra il Partito dei Lavoratori Curdi (PKK) e il governo turco iniziato nel 1984 dalla richiesta curda di un a maggiore autonomia e che ha finora provocato oltre 40 mila morti.

Bayik aggiunge che se la posizione turca on cambierà, il PKK è pronto per intensificare gli attacchi non solo nel Kurdistan turco ma anche nel resto del Paese, perché i curdi non vogliono separarsi dalla Turchia ma solo vivervi in modo libero.

In questo quadro, sorprende il singolare accordo bilaterale e non ufficiale fra Turchia e Germania, la quale affida le oltre 900 moschee ai 970 ”funzionari” certificati dal Diyanet, il dipartimento degli affari religiosi delle Turchia controllato dal partito di Erdogan, i quali hanno l’esclusiva interpretazione ufficiale del Corano.

E alla Diyanet, il governo turco destina un budget di 1,8 miliardi di euro.

A fronte delle critiche provenienti da opposizione e partiti della Coalizione, la cancelliera Merkel oppone i dati della statistica ufficiale che certifica l’origine turca del 63’2% dei musulmani presenti in Germania, cui si aggiungono le centinaia di migliaia di persone provenienti da Afghanistan, Bosnia, Siria insieme agli sciiti (7% del totale) emigrati da Iraq e Siria.

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Selahattin Demirtas

Selahattin Demirtas

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