Meeting di Vienna, la situazione del Nagorno-Karabakh

Meeting di Vienna, la situazione del Nagorno-Karabakh

armenia e karabakh

armenia e karabakh

Mondi lontani da noi dei quali solo le riviste specializzate si occupano. Pochissime notizie al riguardo compaiono sui nostri quotidiani. Di seguito una panoramica su una situazione attuale nel lontano Caucaso e regioni limitrofe.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

Da circa un mese sono riprese le tensioni nella regione caucasica del Nagorno-Karabakh, giuridicamente territorio azero, ma de facto indipendente e sostenuto dall’Armenia. Molti mezzi militari si sono mossi, compresi quelli aerei e di artiglieria. Decine di persone sono morte, anche se è difficile stabilire un bilancio di vittime ufficiale e una dinamica chiara dell’accaduto, nello scontro tra forse di difesa azere e separatisti armeni (appoggiati dall’Armenia). Le versioni sono ovviamente contrastanti e ognuno nega le proprie responsabilità, attribuendo la violazione della tregua, in corso dal 1994, all’avversario.

L’Azerbaigian sembra aver occupato alcune zone nel Nord-Est della regione, spostando la linea dell’armistizio. Anche se il presidente armeno Sargsyan ha affermato all’inizio delle tensioni che, nel caso di un’ulteriore escalation, “una guerra su larga scala” sarebbe stata difficilmente evitabile, l’intensità del conflitto è ora significativamente calata.

Sebbene permangano ancora piccoli scontri, una serie di forti affermazioni e minacce da ambo le parti, ha portato la comunità internazionale, in primis la Russia, a occuparsi del caso. Il 5 Aprile, il ministro della Difesa azero, Gasanov, ha dichiarato che, nel caso di continui attacchi da parte armena alle aree urbane dove abitano civili azeri, l’esercito di Baku avrebbe risposto con un’invasione della capitale della regione, Stepanakert.

La situazione era quindi molto tesa. Per questo, dopo i primi quattro giorni di ostilità, la Russia, garante dell’accordo del 1994, si è di nuovo impegnata, insieme a Stati Uniti e Francia, per raggiungere un cessate il fuoco.

Il vertice multilaterale dei ministri degli Esteri, tenutosi a Vienna il 16 Maggio e focalizzato principalmente su Siria e Libia, ha poi permesso l’incontro tra i presidenti armeno e azero e la riunione del “Gruppo di Minsk”, una commissione dell’OSCE fondata nel 1992 e presieduta congiuntamente da Stati Uniti, Russia e Francia, per risolvere la disputa territoriale tra i due paesi. L’Armenia sostiene la volontà di proteggere la popolazione locale del Nagorno-Karabakh e minaccia il riconoscimento unilaterale della regione. L’Azerbaijan chiede a ONU, UE e NATO di far pressione per convincere Yerevan a liberare tutti i territori occupati e garantire la loro integrità territoriale.

Alla fine dell’incontro multilaterale, il Gruppo di Minsk ha congiuntamente ritenuto che non ci possa essere una soluzione militare al conflitto. I co-presidenti hanno sostenuto l’importanza di rispettare gli accordi del 1994.

Il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha dichiarato che – ci sono margini per un compromesso e per la piena risoluzione del conflitto. – Tuttavia la crisi è ancora lontana da una completa risoluzione a lungo termine, che accontenti entrambi gli schieramenti.

Le fazioni

Armenia e Azerbaijan si contendono il Nagorno-Karabakh in una crisi risalente al 1923, quando Stalin assegnò la regione, popolata in prevalenza da armeni cristiani, all’Azerbaijan prevalentemente musulmano. Fu, però, nel 1988 che il conflitto scoppiò, causando seri problemi alla stabilità del blocco sovietico. La guerra tra armeni e azeri è durata fino al 1994, portando alla morte almeno trentamila persone e centinaia di migliaia di profughi. Da allora si alternano momenti di tensione a fragili tregue, ma il conflitto rimane sostanzialmente congelato. Gli scontri a bassa intensità non sono mai cessati e lo schieramento di truppe al confine non è mai stato ritirato.

Varie organizzazioni internazionali, quali UN e OSCE, stanno lavorando da circa 30 anni sul caso, ma solo una fragile tregua (quella del 1994) è stata raggiunta, nonostante quattro risoluzioni delle Nazioni Unite (822, 853, 874 e 884 del 1993), in realtà mai eseguite. L’impiego di forze di interposizione (prevalentemente russe) hanno reso la zona meno belligerante, ma la crisi è ben lontana da un’effettiva soluzione. Altre guerre e conflitti hanno spostato l’attenzione di media e organismi internazionali negli anni, lasciando questa regione in un “limbo”, che rischia di causare ulteriore instabilità in un’area in cui le condizioni socio-economiche sono difficili.

Sebbene la tregua raggiunta circa un mese fa stia tenendo, la situazione è estremamente imprevedibile e instabile, non solo perché Armenia e Azerbaijan rivendicano l’area, ma anche perché in gioco ci sono interessi maggiori, che coinvolgono, in primis, Russia e Turchia. Il presidente turco Erdogan ha garantito che Ankara resterà accanto “ai fratelli dell’Azerbaigian fino alla fine”, mentre la Russia, sebbene affermi di essere neutrale e sia anche il primo fornitore di armi di Baku, sta cautamente e indirettamente dando il proprio appoggio a Yerevan.

Il 23 dicembre 2015, Armenia e Russia hanno firmato un accordo per creare un sistema di difesa aerea congiunto. Inoltre, dopo l’abbattimento del Su-24 in Siria per opera dell’aviazione turca, la Russia ha inviato tredici elicotteri d’assalto Mi-24P alla base aerea di Erebuni in Armenia. Il Cremlino ha anche annunciato che avrebbe inviato altri mezzi e attrezzature militari, compresi aerei da combattimento MiG-29 e elicotteri da trasporto Mi-8.

Le autorità russe hanno poi rafforzato la cooperazione militare con l’Ossezia del Sud, come testimoniano le esercitazioni nella regione a Gennaio 2016 con la partecipazione di 2.000 soldati, carri armati T72-B3, lanciarazzi Grad BM-21 e sistemi missilistici Iskander-M. La Russia sta anche cercando di rafforzare la cooperazione strategica con l’Abkhazia grazie alla creazione di un centro di coordinamento tra i ministeri degli interni russo e abcaso, sotto controllo russo. Inoltre l’Abkhazia ha accettato di unirsi alla Russia nelle sanzioni contro la Turchia, sebbene il 18% del suo commercio sia con Ankara. L’obiettivo di Putin sembra essere quello di diminuire la possibilità che la Turchia abbia un ruolo di mediazione nel processo di riconciliazione abcaso-georgiano. Ankara potrebbe diventare un mediatore, considerato il buon rapporto con la Georgia e l’esistenza di una grande comunità abcasa in Turchia (circa 500.000 persone).

Possibili scenari

L’evolversi dei rapporti Russia-Turchia sarà fondamentale per la stabilità del Caucaso. Sembra assai remota la possibilità di assistere a un intervento militare russo unilaterale nel Nagorno-Karabakh. Mosca, sebbene sostenga indirettamente Yerevan (membro CSTO – Collective Security Treaty Organization, del 15 maggio 1992), cercherà di mantenere una posizione neutrale. I motivi sono tre: la Russia è da anni garante della tregua nella regione, è il primo fornitore di armi di Baku e è già impegnata su fronti importanti ancora irrisolti, quali Ucraina e Siria. Inoltre la comparsa di truppe russe nel Nagorno-Karabakh significherebbe:

  • L’esclusione dei paesi occidentali dal processo di risoluzione dei conflitti;
  • probabili nuove sanzioni contro Mosca, che sta, invece, cercando di convincere i partner europei a togliere quelle ancora in vigore e un indebolimento ulteriore delle economie russa e europea;
  • favorire la cooperazione strategica e economica tra Ankara e Washington nel Caucaso, in primis con l’Azerbaijan.

Non si può però escludere che la Turchia provi a minare gli interessi russi nello scacchiere caucasico, rafforzando la cooperazione con i paesi della regione in settori strategici come: trasporti, energia e difesa così da indebolire l’influenza russa nell’area. Progetti come la ferrovia Kars-Tbilisi-Baku (che collegherà Turchia-Georgia-Azerbaijan) permettono a Ankara di migliorare le relazioni con Georgia e Azerbaijan. Inoltre la chiusura delle frontiere russe per le imprese di trasporto turche aumenta l’importanza del Caucaso meridionale come una via di transito su strada per le merci da e verso la Turchia. Circa la cooperazione energetica, Ankara sta intensificando gli sforzi per diversificare l’approvvigionamento di gas naturale da altre fonti che non siano la Russia. Uno dei maggiori partner è l’Azerbaijan, che insieme a alcune aziende turche sta realizzando il gasdotto TANAP, la cui costruzione dovrebbe terminare prima del 2018. Grazie al TANAP, la quantità di gas azero ricevuto dalla Turchia aumenterà dagli attuali 6,6 miliardi di metri cubi a 16 (circa il 25% del consumo totale di gas in Turchia). Ciò permetterà di ridurre la forte dipendenza della Turchia dalle forniture russe, che ora rappresentano circa il 55% dell’approvvigionamento totale di gas nel paese.

Un altro aspetto importante da tenere in considerazione è l’opinione del governo di Erdogan su questioni fondamentali di sicurezza nel Caucaso, come l’ulteriore passo verso l’integrazione della Georgia nella NATO nel prossimo vertice dell’Alleanza Atlantica a Varsavia.

Di conseguenza, la disputa Russia-Turchia rischia di influenzare seriamente la sicurezza nel Caucaso. L’indebolimento dei legami tra Ankara e Mosca potrebbe portare a un rafforzamento delle relazioni economiche turco-georgiane-azere, per creare un asse opposto a quello russo-osseto-armeno. Putin vuole evitare che il Caucaso venga diviso in due blocchi dagli interessi opposti. Per questo, limitare le tensioni nel Nagorno-Karabakh, giocando il ruolo di garante, permetterebbe di proseguire le relazioni economiche russo-azere e l’impegno del Cremlino nel limitare l’ ”avanzata turca” nel Caucaso.

Per approfondire

http://www.azernews.az/aggression/93365.html

http://armenianweekly.com/2015/03/05/sleeping-with-enemy/

http://www.themoscowtimes.com/news/article/erdogan-azerbaijan-to-regain-nagorno-karabakh-region/564759.html

http://www.nato.int/cps/en/natohq/news_120085.htm

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Armenia, Georgia e territori circostanti

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