IL CONFLITTO IRRISOLVIBILE

IL CONFLITTO IRRISOLVIBILE

Abu Mazen (Mahmoud Abbas)

Abu Mazen (Mahmoud Abbas)

L’inizio del conflitto tra Israele e i palestinesi. L’attuale politica americana verso il problema. Una panoramica.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini                           

Balfour_declaration_unmarked1. E’ trascorso quasi un secolo dalla Dichiarazione Balfour quando il 2 novembre 1917 Arthur James Balfour, ministro degli esteri dell’Impero britannico, invia al barone Lionel Walter Rothschild, erede di una dinastia di banchieri, rappresentante della comunità ebraica inglese e referente del movimento sionista, la lettera per la costituzione in Palestina di un foyer, focolare nazionale per il popolo ebraico.

Se ne riproduce il testo, per la valenza che ne ha avuto e ne ha tuttora sulla questione palestinese.

Egregio Lord Rothschild, è mio piacere fornirle, in nome del Governo di Sua Maestà, la seguente dichiarazione di simpatia per le aspirazioni dell’ebraismo sionista, che è stata presentata e approvata dal Governo.

“Il Governo di Sua Maestà vede con favore la costituzione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico, e si adopererà per facilitare il raggiungimento di questo scopo, essendo chiaro che nulla deve essere fatto che pregiudichi i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche presenti in Palestina, né i diritti e lo status politico degli ebrei nelle altre nazioni.”

Le sarò grato se vorrà portare questa dichiarazione a conoscenza della federazione sionista.

Con sinceri saluti, Arthur James Balfour

 

Da allora, il movimento sionista avrà libertà di movimento verso la Palestina storica, nella quale creerà il nucleo del futuro Stato di Israele, con il placet delle autorità britanniche che solo nel 1947 rimetteranno alle Nazioni Unite il mandato ricevuto nel luglio del 1922 dalla Società delle Nazioni la quale allega come preambolo la Dichiarazione Balfour, trasformandola in tal modo in un impegno giuridico.

Ne consegue che dal ’22 al ’39 i britannici favoriranno senza limiti l’immigrazione ebraica in Palestina e l’instaurazione dello “Yishuv”, la comunità ebraica organizzata a livello amministrativo in modo indipendente.

E, infatti, nel 1948 per fare posto al neonato Stato di Israele ci sarà l’allontanamento forzato di oltre 700 mila palestinesi dalle proprie terre, sarà la catastrofe ricordata come “nakba”.

I profughi del 1948 – ora di quarta generazione – sono ancora oggi rifugiati nei campi dei Paesi vicini, anche se il loro diritto al ritorno è sancito dalla Risoluzione 194/48 dell’ Assemblea Generale delle Nazioni Unite mai applicata, come le restanti del Consiglio di Sicurezza ONU 242/67 e 338/73 inerenti all’occupazione delle terre palestinesi dopo la guerra del giugno 1967.

Lord Arthur Balfour

Lord Arthur Balfour

  1. L’attuale situazione sul conflitto israelo-palestinese è illustrata dal Policy Advisor di Al- Shabaka, Rashid Khalidi.

Secondo Khalidi, per descrivere la situazione in Medio Oriente, la maggior parte della Comunità Internazionale fa riferimento alla narrativa sintetizzata dal dualismo “terrorismo palestinese” e “sicurezza israeliana”.

La narrativa dominante sta cambiando anche grazie alle nuove forme di comunicazione proveniente principalmente dal basso. Cambiamento evidenziato dalla campagna “Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni” (BDS), tattica non violenta della gente che ne fa ricorso in assenza di appoggio dal fronte politico.

Di fatto, il movimento nazionale palestinese è paralizzato e sabotato all’interno e il mondo arabo è dilaniato da settarismi violenti e dominato da regimi corrotti e dittatoriali.

In merito, è illuminante la dichiarazione resa da Mahmoud Abbas (Abu Mazen), presidente dell’ ”Autorità nazionale Palestinese” (ANP) al giornalista che gli chiedeva se preferisse vivere nella città di Safed, suo luogo di nascita e oggi parte del Nord di Israele, o a Ramallah.

In merito, il presidente Mazen ha risposto che vuole rivedere Safed ma non viverci aggiungendo “per me la Palestina è suoi confini del 1967. Sono un rifugiato ma vivo a Ramallah. Credo che la Cisgiordania e Gaza siano Palestina, il resto sia Israele”. La guida proviene quindi dalla società civile e fa appello a un elettorato diversificato, che non si fida dei media principali, come si può constatare nei luoghi di aggregazione.

Questa campagna è violentemente rifiutata e contrastata in Israele e in USA, dove la narrativa e i media sono prevalentemente finanziati e manipolati da miliardari e decine di organizzazioni con budget multi-milionari, le lobbies.

I politici conservatori e i leader della comunità ebraica americana sono più radicali dei movimenti che dicono di rappresentare, rifiutano il dibattito aperto e procedono con campagne mediatiche di disinformazione e narrative false.

Così, per loro, il BDS, è il “cavallo di Troia” per distruggere economicamente Israele.

Se una piccola pare della società americana resta attratta dalla verità, nulla è cambiato per quanto riguarda il modo in cui le èlite statunitensi definiscono gli interessi strategici nel Medio Oriente, per cui nulla è cambiato riguardo allo status quo.

Infatti, mancano rappresentanti e governatori eletti per le loro posizioni sul problema e anche se ci sono alcuni segnali come Sanders, non si vedrà alcun cambiamento politico.

Le posizioni di Sanders sul conflitto israelo-palestinese mirano alla sua base elettorale. Lui è immune a molti attacchi di altri politici perché è ebreo, ha vissuto in Israele ed ha assunto un giovane ebreo, attivista contro l’occupazione, Simone Zimmerman, in qualità di suo coordinatore delle attività esterne e coerente con il suo elettorato.

La realtà è che la leadership della comunità ebraica non rappresenta i propri membri.

I conservatori più ricchi e anziani dominano le federazioni locali e la maggior parte delle organizzazioni civili, ma molti ebrei americani non sono né ricchi né anziani, né conservatori. Mentre i membri di spicco dell’establishment, come Haim Saban e Sheldon Adelson sono più conservatori anche di Netanyahu, un alto numero di ebrei americani non hanno visioni di principio sulla questione israelo-palestinese.

Il problema è che sarebbe molto importante avere un rivitalizzato movimento nazionale palestinese capace di articolare gli obiettivi palestinesi in modi più efficaci.

Ciò non si verifica da tempo e solo avendo un movimento nazionale dinamico e in grado di articolare una strategia di liberazione le cose possono riprendere a cambiare.

Questo vuol dire adottare le giuste scelte strategiche, cosa che i palestinesi in passato non sono stati sempre capaci di fare.

  1. Il fatto che l’amministrazione Obama abbia garantito più sostegno a Israele di quanto non abbiano fatto le amministrazioni precedenti non è stato evidenziato a sufficienza.

C’è un legame fra la politica statunitense e quella israeliana non abbastanza dibattuto.

Molti politici israeliani sono solo un’estensione del partito repubblicano e sono ben collegati tanto che Adelson, tra i più grandi finanziatori del Partito repubblicano lo è anche dei conservatori israeliani.

In realtà, Tel Aviv non perdona ad Obama lo sdoganamento dell’Iran, da decenni presentato da Israele (in possesso di bombe atomiche) che “il più grande pericolo nel mondo”, con gli accordi di luglio 2015 per il diritto di avere il nucleare a soli fini civili.

E’ anche in corso un cambiamento nelle relazioni arabo-statunitensi. Politici americani e l’establishment economico stanno realizzando che tre dei maggiori alleati – Israele, Arabia Saudita e Turchia – stanno creando grandi problemi, pur continuando a essere considerati come partner vantaggiosi.

La Turchia non si impegna contro Daesh, sta massacrando i curdi, compresi quelli dell’Unità di difesa di Kobane (Pyd) alleati e combattenti insieme agli americani contro Daesh.

Per quanto riguarda l’Arabia Saudita, gli USA dagli anni’60 hanno sostenuto e finanziato il radicalismo wahabita, da cui originano le più radicali forme di fondamentalismo, ma pur realizzando che potrebbe non essere una strategia vittoriosa vi sono importanti interessi economici: a parte il petrolio, il settore bancario, l’edilizia, l’aviazione e soprattutto l’armamento.

Nel frattempo si è consolidata un’alleanza aperta fra i Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo (Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman e Qatar) e Israele concretizzatasi con l’accordo per il sistema anti-missilistico Raytheon, la cui costruzione avverrà negli EAU per mano di una compagnia statunitense e sotto la supervisione israeliana. In altre parole, si tratta di un’alleanza militare.

Se l’egemonia saudita e la sua posizione sulla questione palestinese non è nuova, è nuova e pericolosa l’alleanza tra Riyadh e Tel Aviv.

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