DALL’INTERVENTO IN SIRIA ALLA NUOVA GEOPOLITICA NEL MEDIO ORIENTE

DALL’INTERVENTO IN SIRIA ALLA NUOVA GEOPOLITICA NEL MEDIO ORIENTE

Le isolette di Tiran e Sanafir nel Mar Rosso

Le isolette di Tiran e Sanafir nel Mar Rosso

Una inedita alleanza tra l’Arabia Saudita e l’Egitto, la cessione di due isolette nel Mar Rosso, strategicamente collocate, ai sauditi; un Centro di comando unificato a Tiran; un US Central Command in Mediterraneo e Golfo Persico, come interfaccia….gli assi asimmetrici si stanno componendo…

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

  1. Le alleanze informali

Il 17 aprile, il premier Benjamin Netanyahu ha annunciato che l’occupazione dei 1.200 km q. del Golan è definitiva.

Già nel 1981, Israele ha emanato la “Legge sulle Alture del Golan” che annette unilateralmente l’altopiano e tenta di imporre l’identità israeliana agli abitanti siriani.

Dallo stesso giorno Tel Aviv aumentò il numero dei coloni dai settemila del 1983 ai ventunomila del 2015, intraprendendo progetti turistici nel territorio occupato, estraendone petrolio e aumentando la presenza militare.

Obiettivo dell’annuncio di aprile fu di sancire la fine dell’equazione “terra in cambio di pace” che ha regolato dagli anni ’70 le relazioni d’Israele e i suoi confinanti arabi per i quali è necessario che Tel Aviv restituisca le terre occupate di Cisgiordania, Striscia di Gaza, Gerusalemme Est e Alture del Golan per normalizzare i rapporti con un trattato di pace.

Proposta che, da ultimo, era stata presentata dal principe saudita Abdallah bin Abdel Aziz Al Saud il 28 marzo 2002 alla conclusione del Vertice della Lega Araba a Beirut.

Le rivolte, inizialmente non sempre armate, degli anni 2010 – 2011 (la cosiddetta ‘primavera araba’, mutano la situazione sul terreno, con la caduta dei regimi in Tunisia ed Egitto e la presa di potere da parte dei Fratelli Musulmani, la proliferazione di movimenti estremisti e reazionari, le faide interne alle varie opposizioni, armate e non, nell’intero arco del Mediterraneo, da Rabat a Latakia, fino alla penisola araba.

Gli eventi in Egitto seguiti dalla presa del potere da parte dei Fratelli Musulmani misero in allarme Tel Aviv che con Il Cairo aveva firmato a Washington il trattato di pace nel 26 marzo 1979, dopo gli accordi di Camp David l’anno precedente.

Inoltre, il conflitto arabo interno e quello arabo-iraniano spianano il terreno per l’emersione di interessi comuni tra Israele e i principali Paesi arabi che favoriscono alleanze informali senza più la precondizione della scambio “terra – pace”.

E’ quello che sul terreno sta accadendo fra Israele con Egitto e Arabia Saudita.

E per quanto riguarda il Golan, la cui posizione geografica riveste un ruolo strategico per Israele, è chiaro che nessuna forza militare sarebbe sufficiente per i mutamenti ancora in corso in Siria dopo oltre cinque anni di conflitto.

Sul piano politico, Israele è indifferente alle possibili reazioni mondiali e arabe – finora rimaste solo parole senza alcun effetto – e conta di poter rovesciare la situazione geopolitica senza autorizzazioni né approvazioni da parte dei principali Paesi di valenza internazionale.

E’ in questo contesto che Israele può annunciare anche l’imposizione unilaterale dello status quo, che diventa status permanente, con l’annessione della “zona C” della Cisgiordania utilizzando i docili esponenti dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) a gestire simbolicamente le aree “A” e “B” solo per le attività di routine, il che significa che oltre l’annessione della “zona C”, si cristallizza la separazione fra Cisgiordania e Gaza, non vi sarà alcun negoziato per Gerusalemme Est e non si parlerà più del diritto di ritorno per gli sfollati del 1948.

Le Risoluzioni e le dichiarazioni di illegittimità in sede ONU ed EU sono di fatto ignorate.

  1. Il nuovo Asse asimmetrico

In Egitto provoca manifestazioni e proteste la decisione del Presidente al Sisi di trasferire le Isole Tiran e Sanafir dalla sovranità egiziana a quella saudita.

L’accordo sulle piccole isole nel Mar Rosso, che controllano le rotte verso Aqaba e Sharm el Sheik , include anche Israele e Giordania.

Verrebbe stabilito un Centro di Comando unificato sull’isola di Tiran formato da ufficiali dei quattro Paesi per potenziare il controllo militare dell’intera regione.

La decisione di realizzare il Comando Unificato sarebbe stata assunta l’11 aprile ad Aqaba durante l’incontro fra il principe saudita Mohammed bin Salman – portatore anche del messaggio di al-Sisi presentato al re saudita, Salman padre durante il loro incontro – il premier israeliano Netanyahu e il capo di Stato Maggiore giordano, luogotenente generale Mashal al-Zaben.

Questa inattesa cooperazione consente a Israele di controllare una zona di straordinario potenziale strategico: il Mar Rosso dall’ingresso di Bab-el Mandeb nel Golfo di Aden fino al canale di Suez e al Mediterraneo.

Il Comando unificato inoltre sovrintenderà ai movimenti di flotte e aviazioni militari ottimizzandone la sicurezza.

Fanno parte integrante del Comando Tiran i due Paesi che ben prima delle rivolte arabe si sono distinte come “front-runners” di conflitti in atto o provocati, dall’Afghanistan a Iran, Iraq, Libia, Costa d’Avorio, Mali, Siria: USA e Francia.

Gli americani costituiranno l’interfaccia attraverso l’US Central Command (CentCom) e i Comandi della Sesta flotta (nel Mediterraneo) e della quinta flotta (nel Golfo Persico).

I francesi saranno integrati collegandosi con il loro centro di coordinamento a Tabuk, nel Nord dell’Arabia Saudita e in anticipo vende agli egiziani due nuove portaelicotteri classe Mistral in grado d’imbarcare 16 velivoli Ka-52 Alligator da attacco e numerosi Ka-27 e Ka-29 Kamov contro i sommergibili.

Le navi dovrebbero ridurre i compiti prima assolti dalle portaerei statunitensi fra Mediterraneo e Golfo Persico, dove rimarrebbe stanziata solo una nave di questa portata.

E’ chiaramente un’inedita e asimmetrica alleanza (fra Paesi sunniti e Israele) in chiave anti-Iran e “mezzaluna sciita” per depotenziarne il ritrovato ritorno in seno alla comunità internazionale.

E che comunque spiega platealmente il supporto politico, logistico, finanziario e di armamento alle c.d. ”opposizioni moderate” (che includono formazioni di matrice qaedista) e l’incredibile ascesa di Daesh, che in Siria e Iraq è contrastato in realtà solo dalle formazioni sciite iraniane e libanesi, curdi siriani e Russia, spesso oggetto di attacchi da parte di Israele e Turchia, nell’indifferenza della Comunità internazionale.

In questo nuovo Asse non poteva mancare la Giordania, peraltro pacificatasi con Israele nel 1994, l’anno successivo agli Accordi di Oslo del 13 settembre 1993 fra Israele e neo-costituita ANP.

Inizialmente, la Giordania si limita a protestare contro l’Iran accusandolo di non aver evitato l’assalto all’Ambasciata saudita subito dopo la condanna a morte eseguita il 2 gennaio 2016 da Riyad contro il noto religioso Mohammed al Nimr arrestato nel 2012 per le manifestazioni contro il regime, di perseguire “policies” provocative contro i reali Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG) e per il ruolo assunto in Iraq, Siria e Yemen.

Successivamente, il re Abdallah II si allinea alla maggioranza degli Stati del CCG e richiama da Teheran il suo ambasciatore, Abdullah Abu-Rumman.

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Re Abdallah II di Giordania e Bibi Netanyhau, Primo Ministro di Israele, in un incontro del gennaio 2014

Re Abdallah II di Giordania e Bibi Netanyhau, Primo Ministro di Israele, in un incontro del gennaio 2014

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