RUSSIA E SIRIA: il ritiro.

RUSSIA E SIRIA: il ritiro.

Bashir Al Asad

Bashir Al Asad

Sempre sulla posizione della Russia in Medio Oriente anche rispetto alla crisi con l’Ucraina. Un’altra opinione.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini                                                                                                                                                                                  

L’annuncio del presidente russo Valdimir Putin del ritiro dalla Siria ha coinciso con l’ennesima tornata dei colloqui dell’inviato ONU, Staffan de Mistura, a Ginevra il 15 marzo.

Che messaggio vuole trasmettere Putin affermando che la missione russa è finita e a chi si rivolge?

In realtà il ritiro, interpretato nella sua interezza, contiene tre messaggi diretti a specifici interlocutori e inerenti ai tre obiettivi raggiunti dalla Russia.

In primo luogo, Mosca ha sempre affermato che senza il suo intervento in Siria negli ultimi sei mesi (settembre 2015 – marzo 2016) il regime del presidente Bashar al-Assad sarebbe crollato.

La Russia non sta abbandonando la Siria. Sta mantenendo il suo centro di comando che dirige le operazioni militari a Latakìa, e attivo e intatto il sistema di difesa aerea.

Il primo obiettivo è stato raggiunto. La Russia ribadisce il suo ruolo geostrategico nel mondo occidentale.

Dopo la crisi ucraina, ottiene il riconoscimento degli Stati Uniti e, di fatto, ripropone il ritorno al mondo multipolare a geometria variabile segnalando con forza militare che la guida unipolare americana è finita.

Infatti, gli accordi di cessate-il-fuoco bilaterale si svolgono tra Russia e Usa attraverso il colloquio tra il ministro degli esteri russi Sergey Lavrov e il segretario di Stato statunitense John Kerry che conferma il valore della Russia nella sua posizione in Siria.

La segnalazione vale anche per l’Europa delle sanzioni, che si trova di fronte a un Paese rinforzatosi nel Mediterraneo con il controllo di Latakìa e del porto di Tartous, e in grado di invertire il flusso migratorio favorendo a Ginevra l’approccio diplomatico dopo cinque anni di guerre scatenate da Paesi “Amici della Siria”, Turchia, membro NATO, e dalle Coalizioni, inefficaci nella guerra e corresponsabili della devastazione della Siria e della morte di oltre 450 mila persone e 12 milioni tra migranti e sfollati interni.

E vale anche per ridimensionare il ruolo della Turchia sul problema della migrazione e ricordare ad Ankara di non aver dimenticato l’abbattimento di un suo aereo per presunto sconfinamento nello spazio turco lungo il confine siro-turco il 24 novembre 2015.

Il secondo obiettivo è la ripresa del ruolo russo nel Medio Oriente. La più importante dimostrazione è immediata.

Il giorno dopo l’annunciato ritiro della Russia, l’esercito siriano avanza a Palmira sostenuto dall’aviazione russa e dai consiglieri e Forze di Operazioni Speciali di Mosca grazie ai quali riprende il controllo della città il 25 marzo.

Inoltre, non appare casuale la dichiarazione dell’ex deputato alla Duma di Russia Unita, Sergej Markov, sullo sforzo aereo della Russia che si concentrerà sull’attacco a Daesh promettendo che entro dicembre sarà militarmente smantellato.

E anche a Ginevra la Siria sa di poter contare solo su Mosca, mentre l’opposizione trova molti appoggi.

La Russia non si limita a sostenere solo la Siria, parte della mezzaluna sciita e coinvolge Iran, Iraq e il Libano di Hezb’Allah.

Il ritiro russo punta anche al dialogo con l’Arabia Saudita il cui re Salman sarebbe pronto a recarsi a Mosca per discutere sullo scontro tra l’Asse sunnita e gli sciiti, iniziando da Yemen e Siria.

Soprattutto la Russia è in grado di agire da ponte con l’Iran, supportata durante il lungo iter dell’accordo sul nucleare concluso il 24 luglio 2015 fra Teheran e il Gruppo 5 + 1 (i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza ONU più la Germania).

Il terzo obiettivo, non meno importante, è quello energetico.

La Russia intende proteggere anche i suoi interessi energetici minacciati da una fase recessiva a causa delle sanzioni occidentali e dal crollo del prezzo del petrolio.

Nei media, in particolare sul portale SPUTNIC americano, in un articolo recentemente pubblicato, Roberto Kennedy Jr., nipote del presidente ucciso, sostiene che l’Occidente intendeva rovesciare il regime della famiglia Assad per realizzare una conduttura di gas che dal Qatar attraverso Siria e Turchia arrivasse in Europa.

Di fatto, un attacco alla Gazprom russa.

Il posizionamento delle forze russe nelle basi siriane ha doppia valenza: da un lato, ostacola il progetto qatarino e, contestualmente, è presente nell’area ricca di giacimenti off-shore di gas nel Mediterraneo interessanti anche per Israele, Cipro e Grecia.

Questi Paesi potrebbero ritenere utile privilegiare un nuovo gasdotto gasdotto russo.

In più, un allentamento delle sanzioni potrebbe facilitare la realizzazione del progetto di Gazprom per un secondo gasdotto sotto il Mar Baltico in Germania per la Russia e i suoi partner, Royal Dutch Shell, la tedesca E.ON e la OMV austriaca.

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