MAROCCO: ISOLA FELICE O PAESE A RISCHIO CONTAMINAZIONE JIHADISTA?

MAROCCO: ISOLA FELICE O PAESE A RISCHIO CONTAMINAZIONE JIHADISTA?

Il Re del Marocco e la sua consorte

Il Re del Marocco e la sua consorte

Non se ne parla mai. E’ un’isola felice? Come vive il Marocco questo periodo così particolare della sponda sud del Mediterraneo?

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

Della situazione dei paesi dell’Africa settentrionale, alla luce dei recenti accadimenti, si parla molto e di certo gli spunti di riflessione e di preoccupazione non mancano.

Una macroregione in cui l’Egitto, per la sua importanza storica la fa da padrone, seguito in ordine d’attenzione mediatica dalla Libia, dalla Tunisia, dal Sudan, dal Sud Sudan, dall’Algeria e dal Marocco.

Su quest’ultimo Paese ci soffermiamo giacché, avendo poco risalto sui giornali e televisioni, una semplice equazione porterebbe a pensare che abbia pochi problemi; non è proprio così.

Il Marocco è l’antica Mauretania Tingitana, così chiamata dai romani che la occuparono nel 400 a.c., abitata da una popolazione considerata barbara, inferiore, non civilizzata: i barbari appunto.

Dall’indipendenza nel 1956 si sono succeduti sul trono del Marocco il Re Mohammed V, Hassan II che ha adottato la prima Costituzione e indetto le prime elezioni e l’attuale Re, Mohammed VI, che ha superato indenne la primavera araba tra il 2011 e il 2012, ma ha “dovuto” concedere spazi maggiori di democrazia e una nuova Costituzione più moderna e al passo con i tempi (quelli arabi).

A differenza dei massacri in Siria e in Libia, delle centinaia di vittime in Tunisia e in Egitto, il vento della rivoluzione araba marocchina ha causato “solo” sei vittime perché Mohammed VI non ha ordinato alla polizia e all’esercito di sparare ai manifestanti nelle piazze ma è riuscito a reprimere, anche con pugno duro, le proteste senza spargimento di sangue promettendo (e in parte mantenendo) una maggiore libertà, più democrazia e un piano di riforme.

Chi è esattamente Mohammed VI, un monarca illuminato o un falso riformatore? Come sempre la verità sta nel mezzo, di certo è un monarca abile, potente e molto ricco.

Il dato rilevante sul Marocco e che, a oggi, è l’unico paese in tutta la regione che, in qualche modo, sembra sia ancora immune dall’influenza dell’Isis e in cui il Califfo Abu Bakr el Baghdadi non sia riuscito a fare proselitismo. Il fatto che Isis non ha fatto (per ora) presa, non significa che non ci siano dei rischi o che le cellule jihadiste presenti in Marocco e il numero dei combattenti marocchini impiegati in Siria o in Iraq possano aumentare, anche in modo esponenziale.

In merito alla minaccia del terrorismo, il Marocco è in una situazione di equilibrio precario mantenuto per tre motivi: il primo, forse il meno rilevante, è la solida alleanza con gli Stati Uniti d’America cui si aggiunge un valore di democratizzazione interno al Marocco superiore alla media degli altri paesi della regione e ultimo, ma non ultimo, un tasso di disoccupazione abbastanza basso.

Il sussistere di queste tre condizioni ha permesso al Marocco di mantenere una certa stabilità giacché una condizione di scarsa democratizzazione, unita a un alto tasso di disoccupazione, soprattutto giovanile, è l’humus ideale per la diffusione del terrorismo.

In quest’ultimo mezzo lustro il Marocco ha iniziato un lento processo di democratizzazione, a partire dalla riforma costituzionale del 2011 e l’embrione di una prima decentralizzazione del potere, non più unicamente nelle mani del sovrano.

Indicativa la nomina del Primo Ministro Benkirane, scelto all’interno del partito di maggioranza, il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo – PJD, d’ispirazione islamista e vincitore delle elezioni presidenziali del 2011.

Sembrava l’inizio di una nuova “era” per il Marocco, ma cinque anni dopo il bilancio è a tinte fosche poiché rimane un paese con molti limiti, contraddizioni e questioni irrisolte, in primis la questione del Sahara occidentale.

La regione del Sahara occidentale, amministrata dalla Spagna sino al 1976, è rivendicata dal Marocco e dal movimento indipendentista Polisario, con la Missione delle Nazioni Unite-MINURSO chiamata a controllare il rispetto del ‘cessate il fuoco’ lungo le linee di confine.

La situazione economica generale del Marocco è stata in costante miglioramento e in crescita sino al 2014, mentre l’ultimo biennio ha sicuramente segnato il passo.

Un 2014 che possiamo considerare spartiacque tra l’idea di un Marocco stabile e solido economicamente, al riparo dalle turbolenze dei paesi viciniori, e un Paese a rischio contaminazione jihadista.

Con gli indicatori economici non positivi l’assunto annunciato in precedenza, cioè un’alleanza strategica unita a un processo di democratizzazione interna e un tasso di disoccupazione contenuto quale garanzia di stabilità, potrebbe venire meno.

Sino al 2014 l’azione riformista delle autorità è stata abbastanza incisiva, con particolare riguardo alla struttura dello Stato, all’occupazione e all’educazione.

I marocchini però attendono ancora il nuovo modello di Stato su dodici regioni geografiche a salvaguardia della specificità delle varie tribù e, soprattutto, maggior libertà individuale e più diritti civili.

Il tasso di disoccupazione tra il 2011 e il 2014 s’è mantenuto al di sotto del 10%, il deficit pubblico è diminuito mentre il Pil, s’eppur di poco, è sempre cresciuto.

Il giro d’affari legato al turismo è aumentato (nel 2013 dieci milioni di turisti hanno visitato il Marocco), così come il numero degli investitori stranieri incentivati dal basso costo del lavoro. Ne ha beneficiato il settore tessile, il minerario (il Marocco è ricco di fosfati, cobalto, piombo, zinco, oro, argento, manganese, ferro, rame, carbone), l’infrastrutturale, l’agricoltura, l’allevamento e la pesca, il chimico e petrolchimico, l’elettronico, l’automobilistico (presenza d’industrie francesi e giapponesi), l’informatico ecc…

Una situazione economica favorevole che ha spinto il Marocco verso una lenta (ora inceppata) trasformazione da paese d’emigrazione a terra d’immigrazione per gli africani, ma anche per un nutrito numero d’europei.

Dal 2014 la situazione economica è in graduale peggioramento, il PIL è in calo, il turismo è diminuito e il tasso della disoccupazione ha abbondantemente superato la soglia critica del 10%. In particolare, ed è il dato più preoccupante, è aumentata la disoccupazione giovanile                     (soprattutto nella fascia d’età tra i 15 e i 25 anni), nella forza lavoro specializzata, qualificata o laureata.

Questo è il dato più preoccupante poiché la mancanza del lavoro acuisce le tensioni sociali e fa crescere il malcontento e la protesta, humus ideale per l’azione di proselitismo e di reclutamento da parte delle organizzazioni terroristiche.

Nel breve-medio periodo la linea d’azione portata avanti dal Re dovrebbe ancora funzionare e dare buoni frutti in termini soprattutto di stabilità, anche se le elezioni politiche in calendario per la fine di quest’anno potrebbero essere un banco di prova per verificare il consenso popolare nei confronti del Sovrano.

Intanto, le elezioni amministrative dello scorso settembre sono già state indicative di quello che potrà essere il Marocco da qui a qualche anno, con la riaffermazione del PJD islamista. PJD che controlla amministrativamente le più importanti città marocchine, tra cui Rabat, Marrakech, Casablanca, Fes, Agadir e Tangeri, e cinque regioni su dodici.

Un dialogo è quindi possibile, almeno in questo contesto, con un Islam politico, militante e con un certo peso popolare.

Il partito islamista marocchino si differenzia da quello tunisino ed egiziano che hanno avuto una sorte ben peggiore, ed è un partito vivo e in crescita, a differenza degli atri due oggi ai margini della vita politica e sociale nei rispettivi paesi. La carta vincente del PJD è stata la non estremizzazione della questione religiosa unita allo sforzo per migliorare la condizione di vita dei cittadini, cercando di colpire la corruzione e ridurre la disoccupazione.

La preoccupazione è che tale Partito possa in futuro evolversi in maniera negativa poiché oggi in Marocco esistono anche altri partiti minoritari che, per acquisire consenso, non è escluso possano legarsi alle frange islamiste più radicali, creando inevitabili turbative al quadro politico-sociale del Marocco.

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