ONU E GRUPPO ISRAELIANO SU VIOLAZIONE DIRITTI PALESTINESI.

ONU E GRUPPO ISRAELIANO SU VIOLAZIONE DIRITTI PALESTINESI.

Tende a Khirbet Tana, dopo le demolizioni (Fonte: Activestills.org)

Tende a Khirbet Tana, dopo le demolizioni (Fonte: Activestills.org)

Purtroppo la vicenda israelo-palestinese non riesce a avere una conclusione equa per i due popoli che sono coinvolti. E col passar degli anni la soluzione al problema diviene sempre più difficile e ancor più pericolosa per i momenti attuali che si vivono in Medio Oriente e su tutta la sponda del Mediterraneo. Voci si alzano anche dalla popolazione d’Israele per arrivare a un accordo di reciproca ‘tolleranza’….

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini                     

Il 4 marzo, ONU e un gruppo israeliano lanciano un allarme sulla situazione della popolazione palestinese.

In un comunicato l’ ”Agenzia delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari” (OCHA) denunzia che a Khirbet Tana, a Sud Est di Nablus, le “Israeli Defence Forces” (IDF) hanno demolito 41 strutture lasciando senza tetto 10 famiglie con 36 persone di cui 11 minori e altre 5 prive delle fonti di guadagno.

Delle strutture demolite, dodici erano state fornite dall’ “Autorità Nazionale Palestinese” (ANP) e Mezza Luna Rossa Palestinese come assistenza umanitaria a famiglie bisognose.

Abitazioni, cucine, bagni, forni tradizionali, un impianto solare, strutture agricole e una scuola elementare per nove bambini sono stati distrutti.

La scuola era per una sola classe in favore dei bambini di Khirbet Tana in quanto già nel 2011 le autorità israeliane avevano demolito la scuola della comunità.

Le autorità israeliane negano i permessi di costruzione nell’area che è utilizzata per esercitazioni militari e dichiarata “poligono di tiro”, come il 18% dell’area della Cisgiordania che include 38 comunità palestinesi.

Il documento dell’OCHA riferisce che sono 323 le abitazioni e le altre strutture palestinesi demolite dall’IDF in Cisgiordania dall’inizio del 2016 e quasi 440 i palestinesi sfollati, di cui la metà sono minori.

La maggior parte delle demolizioni sono avvenute nell’ ”Area C”, il 60% della Cisgiordania ancora sotto il totale controllo israeliano in cui vivono circa 300 mila palestinesi, di cui 1.700 hanno perso le strutture connesse alle fonti di reddito.

Circa 1/3 delle strutture erano state fornite come aiuto umanitario.

L’intera “Area C”, che Israele avrebbe dovuto lasciare dopo la guerra di giugno 1967 ai sensi della Risoluzione ONU 242/1967 e richiamata negli Accordi di Oslo del 13 settembre 1993, è tuttora sotto totale controllo israeliano.

Già nel febbraio 2016, Robert Piper, coordinatore dell’OCHA, chiede la cessazione immediata delle demolizioni facendo notare che solo l’1,5% delle richieste palestinesi per ottenere permessi di costruzione veniva approvato e non vi sono alternative legali per i palestinesi, costretti quindi a costruire senza autorizzazioni.

L’OCHA riporta che secondo dati dell’Ufficio Centrale di Statistica Israeliano ci sono 356 mila israeliani che risiedono in 135 insediamenti coloniali e circa un centinaia di “avamposti” (abusivi anche per la legge israeliana) nell’ “Area C”, tutte in realtà illegali secondo il diritto internazionale, nel silenzio della comunità internazionale.

E’ citato anche il caso della demolizione, a febbraio 2016, dell’unico Istituto scolastico della piccola comunità beduina di Abu al-Nuwwar, nei pressi di El-Ezzarya, a Est di Gerusalemme. La scuola elementare, costituita con fondi europei, era composta di 6 classi e costruita con strutture permanenti, ma per Israele era in violazione della legge che vieta la costruzione in “Area C” senza autorizzazione israeliana.

Secondo l’OCHA, Abu al- Nawwar è una delle 46 comunità beduine a rischio di dislocamento forzato perché Israele ha già distrutto nel 2016 oltre 100 strutture finanziate da fondi europei, tra cui strutture sanitarie, agricole, pannelli solari e quartieri prefabbricati.

Anche il quotidiano israeliano Haaretz riporta che il 9 febbraio l’Amministrazione civile israeliana ha demolito oltre quindici strutture finanziate con fondi europei nell’ area di Khirbet Tana, tra cui 2 tende dove vivevano 13 persone e vi erano 3 bagni esterni, 2 serbatoi d’acqua e 8 recinti per pecore.

Molti ritengono che in questa zona le demolizioni rientrerebbero nel progetto che mira a sgomberare l’area dalle comunità palestinesi indigene a favore dell’espansione coloniale.

In particolare, l’obiettivo è consustanziale al piano coloniale “E 1” istituito per l’espansione dell’insediamento Ma’ale Adumin verso Ovest e la realizzazione di un’area edificata tra questo insediamento e Gerusalemme Est, frammentando la Cisgiordania e spezzando la continuità territoriale fra la parte settentrionale e meridionale.

La popolazione israeliana ha subito persecuzioni millenarie sino all’orrore dell’olocausto e dalla sua fondazione il 14 maggio1948 è e rimane un Paese democratico come attesta la larga presenza nella Knesset (il Parlamento) di deputati palestinesi.

Non mancano diverse posizioni sull’irrisolto conflitto con i palestinesi.

Ed è dimostrato anche in casi analoghi a quello su indicato.

Contestualmente alla divulgazione dei dati dell’OCHA, il gruppo di cittadini israeliani denominatosi “Una voce differente” invia una lettera al Segretario Generale ONU Ban Ki Moon per porre fine all’assedio sulla Striscia di Gaza.

Si tratta di israeliani che vivono nel Sud d’Israele vicino alla Striscia di Gaza e lanciano un appello di cui si citano sintetiche e chiare frasi “Abbiamo mandato ripetuti appelli…. Per porre fine all’assedio di Gaza, un assedio che intrappola 1,8 milioni di persone dentro una piccola striscia di terra”… esprimiamo profonda preoccupazione per il peggioramento delle condizioni di vita a Gaza dove l’80% della popolazione dipende dall’aiuto internazionale”.

Il gruppo, di cui non si conoscono gli effettivi né i nomi dei membri, sottolinea come “le operazioni militari israeliane negli ultimi 8 anni abbiano peggiorato la situazione. Le tre guerre… 2008-2009… 2012…. 2014……ci hanno reso cittadini impauriti. Il danno fisico e psicologico… è grave e devastante…..”.

E a fronte del silenzio delle autorità locali, “Una voce differente” aggiunge che “vuole marcare una netta distanza…… e ci rivolgiamo a Lei (Ban Ki Moon nda) affinché ….possa porre fine all’assedio e …implementare una politica morale e umanitaria che dia speranza alle persone che vivono entrambi i lati del confine”.

E, ancora: “Un senso di fratellanza lega, infatti, i due popoli. Nessuno…dovrebbe pagare il prezzo della guerra e delle ostilità. Nessuno, a prescindere dalla sua appartenenza nazionale, dovrebbe vivere senza acqua potabile, elettricità, lavoro e casa. Siamo tutti esseri umani su entrambi i lati del confine: Meritiamo una vita dignitosa e diritti fondamentali”.

Posso aggiungere solo che bisognerebbe sempre far prevalere “le armi della critica” alla “critica delle armi”.

Non lo dimostrano forse gli eventi in Somalia Afghanistan, Iraq Libia, Siria, Mali, Yemen e le ricadute negative sui Paesi confinanti?

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Pur nella serietà dell'articolo e della questione ci sia permesso un auspicio di fratellanza....

Pur nella serietà dell’articolo e della questione ci sia permesso un auspicio di fratellanza….dal profondo del cuore.

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