LIBANO: L’EVOLUZIONE DEL SALAFISMO SUNNITA. La paura dell’Europa

LIBANO: L’EVOLUZIONE DEL SALAFISMO SUNNITA. La paura dell’Europa

Sayed Hassan Nasrallah alla cerimonia di ricordo del leader delle Resistenza Hassan Lakkis.

Sayed Hassan Nasrallah alla cerimonia in ricordo di Hassan Lakkis.

Una chiara analisi del salafismo sunnita in Libano in termini concreti che ne spiega correttamente le dinamiche interne, in modo scientifico ma accessibile anche ai non addetti ai lavori.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

In un precedente articolo avevamo posto l’attenzione sul crescente interesse dell’opinione pubblica per il movimento salafita, soprattutto in conseguenza delle rivoluzioni della primavera araba in Tunisia, in Egitto, in Siria, in Libia, nello Yemen ecc…

L’interesse per il salafismo è essenzialmente legato al fatto che esso è divenuto – suo malgrado e per certi versi erroneamente – sinonimo di jidaismo.

L’idea che il salafita incarna l’aguzzino alla ricerca del kafir, del miscredente, è entrata di prepotenza nell’immaginario collettivo.

Anche l’Italia non è immune dalla paura, e la diffidenza verso il musulmano, alla luce degli attentati, è accresciuta. Una diffidenza che colpisce una comunità che conta più di un milione e mezzo di persone in maggioranza sunnita.

La percezione che, a parità di situazione, un soggetto sia più pericoloso di un altro per una semplice combinazione di fattori esterni e ambientali, ciclicamente si ripete nella storia, soprattutto quando si parla di terrorismo, di radicalismo e di estremismo.

A proposito di estremismo, già nel quinto secolo Sant’Agostino nei suoi scritti aveva affrontato l’argomento, in un’allegorica comparazione tra Alessandro Magno che occupa e saccheggia terre acquisendo il titolo di conquistatore e imperatore perché lo fa con un esercito e una flotta imponente, e chi attacca altre navi usando una piccola imbarcazione ma è etichettato, con disprezzo, pirata.

Il messaggio che ci lascia Sant’Agostino è comunque chiaro: l’estremismo è un pericolo in tutte le sue forme, tanto più se è organizzato e travestito da movimento politico-religioso.

Il mondo dei salafiti è particolarmente composito; si possono definire dei musulmani ortodossi di stampo sunnita ma, come del resto succede anche per tutte le fedi monoteiste, l’ortodossia non è mai pura e scevra da contaminazioni esterne.

Dopo aver analizzato in altre pagine qui pubblicate, seppur superficialmente, la presenza dei salafiti in Egitto, in Tunisia e in Libia, ci concentriamo ora sulla loro presenza in Libano.

Nel Paese dei cedri l’interesse per l’attività e la stessa esistenza dei salafiti è accresciuto di pari passo con l’evolversi delle vicende siriane, dall’inizio della rivoluzione nel marzo 2011.

Un interesse legato alla violenta campagna da parte degli Hezbollah, e più in generale degli sciiti, contro i miscredenti, i salafiti, appunto.

Salafiti che, per meglio identificare e per non etichettare sommariamente, possiamo ricondurre a tre categorie distinte: i “puristi” che si concentrano sull’educazione e la predicazione, i “politici” che vogliono la creazione di un califfato senza però l’uso della violenza e, infine, gli jihadisti che perseguono il medesimo obiettivo però con l’utilizzo della forza.

Jihadista inteso, in estrema sintesi, come salafita che, nella sua personale evoluzione, decide di passare all’azione e diventare un combattente.

Nel corso dell’ultimo biennio in Libano c’è statata un’escalation di scontri e incidenti tra l’esercito libanese da una parte, e i salafiti diretti dallo Sceicco Ahmad al-Assir dall’altra. Nell’estate del 2013 le violente schermaglie a Sidone, l’uccisione di due religiosi sunniti a un checkpoint militare vicino ad Akkar e le ripetute esplosioni nei sobborghi di Beirut e Tripoli, hanno inasprito gli animi.

Una crescente tensione e paura in seguito ingigantita con gli attentati di Al Qaida e dell’Isis o, meglio, Dahash (o Isis).

In questo frangente i Salafiti hanno sofferto della sindrome dell’accerchiamento, a causa della violenta campagna d’odio contro di essi da parte degli Hezbollah.

Il loro Segretario Generale, Hassan Nasrallah -uomo dotto e d’eloquio brillante- a più riprese ha affibbiato la paternità degli attentati ai Salafiti, anche attraverso una campagna mediatica martellante (la televisione araba Al Manar è, di fatto, un megafono degli Hezbollah).

Un arabista, anche alle prime armi, rimane affascinato nell’ascoltare un discorso di Nasrallah, a prescindere dal contenuto, per la sua capacità oratoria e per l’utilizzo di un arabo classico perfetto, senza pari, se confrontato con gli altri leader, salvo rare eccezioni.

Una campagna mediatica che ha consentito all’esercito siriano e agli Hezbollah di riconquistare i territori della valle della Bekaa sul confine libanese, dalle mani dei cosiddetti “terroristi miscredenti”.

Con il passare del tempo è apparso sempre più chiaro che tale azione contro i Salafati è servita per nascondere un’attività sovversiva e sotterranea da parte degli Hezbollah.

Il successivo accertamento delle responsabilità da parte delle autorità libanesi ha però, di fatto, comunque evidenziato e certificato un ruolo dei Salafiti libanesi, anche al di fuori dei confini nazionali.

L’attentato nel giugno del 2014 in un sobborgo di Baghdad da parte di un kamikaze libanese, è stata la dimostrazione dell’esistenza di un estremismo d’esportazione, anche se operante sotto egida Isis.

E’ evidente che l’atteggiamento degli Hezbollah in Siria ha avuto l’effetto d’aumentare il risentimento della comunità libanese sunnita, sempre più marginalizzata e che da sempre ha legami con le comunità sunnite siriane, con le quali ha sviluppato rapporti commerciali (mercato nero) approfittando dei numerosi passaggi/vie illegali esistenti tra i due Paesi.

Una marginalizzazione che, inevitabilmente, ha favorito la formazione di un radicalismo salafita a supporto di una jihad pro ribelli siriani e che, in patria, ha polarizzato le posizioni.

Tale polarizzazione è ben visibile in molte città e villaggi libanesi, in particolare nella città di Tripoli con la parte alawita ghettizzata nella zona di Jabal Mohsen, e i sunniti nel distretto di Bab a Tabbaneh.

La crescita dell’influenza dei salafiti e il contemporaneo aumento dell’ansia dei sunniti moderati, è stata anche favorita dalla mancanza di una forte leadership politica e religiosa in grado di coagulare le varie posizioni.

In questa situazione ha preso piede un populismo clericale sunnita anti sciita, basti pensare ai proclami degli sceicchi Salman el Awda e el Ar’our.

Un populismo che trova terreno fertile nella ferma condanna al supporto agli alawiti siriani da parte degli Hezbollah e, ancor di più, del regime degli ayatollah iraniani.

Salafiti (e sunniti in generale) preoccupati dell’aumento della cooperazione tra le comunità sciite dei paesi limitrofi a sostegno degli Hezbollah e altresì consapevoli che i recenti accadimenti in Libano sono in stretta connessione con quelli in Iraq, nel Bahrein e in altre parti, in cui la longa manus dell’Iran sta cercando d’imporre la mezzaluna sciita nel Levante e in Mesopotamia.

Il futuro di tutta la regione è nebuloso, in un contesto magmatico in continuo movimento in cui diversi attori hanno tutta l’intenzione di continuare a giocare un ruolo preminente: l’Isis, gli sciiti iraniani, gli Hezbollah e i salafiti.

Un contesto magmatico con l’Isis che cerca d’imporre lo Stato islamico, con gli sciiti iraniani concentrati nella creazione di stati sciiti satelliti, con i sunniti alla ricerca di un loro “Sunnistan”, con gli alawiti ed i curdi intenzionati a consolidare una propria autonomia territoriale.

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v. anche gli altri articoli di Paolo Brusadin pubblicati in differenti date.

Lo Sceicco Ahmad al-Assir (Fonte: Euronews)

Lo Sceicco Ahmad al-Assir (Fonte: Euronews)

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