GEOSTRATEGIA E TERRORISMO INTERNAZIONALE. Le situazioni mutano rapidamente…

Il Segretario di Stato USA John Kerry con il Ministro Gentiloni a EXPO (Fonte: Consolato USA a Milano)

Il Segretario di Stato USA John Kerry con il Ministro Gentiloni a EXPO (Fonte: Consolato USA a Milano)

Uno sguardo ai mesi passati prima di analizzare gli ultimi accordi …quasi planetari!

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

A Washington, il 19 febbraio di questo anno si era concluso il Summit sulla minaccia globale del terrorismo.

Durante i tre giorni di lavoro, i rappresentanti di oltre 60 Paesi non avevano raggiunto alcun accordo su una comune strategia di contrasto.

E rimase anche inattesa la decisione sull’appello dell’Egitto che pochi giorni prima del Summit, in sede di Consiglio di Sicurezza dell’ONU, aveva chiesto un intervento della Comunità Internazionale per fronteggiare la crescente attività dell’ ”Islamic State of Baghdad and Sham” (ISIS) in Sinai e Libia.

Attività, quella di ISIS, che è poi arrivata il 18 marzo anche a Tunisi con il tentato assalto al Palazzo del Parlamento e la strage al vicino Museo del Bardo con un bilancio di 19 morti fra cui 4 italiani.

Attacco probabilmente eseguito dalla “Brigata Uqba ibn Nafi”, costituita da jihadisti tunisini e algerini nel 2012 allontanatisi da “Al Qaeda in the Islamic Maghreb” (AQMI) e dichiaratisi due anni dopo affiliati a ISIS.

Durante il Vertice, il Presidente USA aveva assicurato il proseguimento delle attività militari in corso in Siria e Iraq e interventi selettivi in Nigeria, Somalia e Yemen, senza menzionare Egitto e Libia.

La novità è che secondo il Presidente Obama occorre favorire le iniziative mediatiche per fronteggiare la crescente capacità informatica di ISIS, che la utilizza per attrarre giovani, occidentali e no, e avviarli al terrorismo.

Il Presidente Obama in sostanza ripropose allora la campagna “hearts and minds”, rivelatasi però perdente nei recenti conflitti, dal Vietnam a oggi…e anche oggi si è rivelata perdente.

Per indebolire il “brand” terroristico, il Presidente presentò il progetto di una “cabina di regia” che coordinasse gli elaborati digitali preparati negli Emirati Arabi Uniti in partnership con i privati di Silicon Valley.

Senza alcun cenno al pesante retaggio coloniale, i lavori all’epoca si conclusero, respingendo la tesi dell’incompatibilità dell’Islam con modernità e tolleranza e presentando la ricetta USA per un’integrazione globale: tolleranza multiculturale e mobilità sociale.

Esattamente un mese dopo il “Summit delle buone intenzioni” incentrato su egemonia mediatica e integrazione globale, lo “Stockholm International Peace Research Institute” (SIPRI) pubblicò i dati inerenti al commercio internazionale degli armamenti.

La notizia, non nuova, è che la guerra costituisce un affare per l’industria bellica, un volano d’affari.
Gli USA rimangono i primi esportatori mondiali con il 31% dell’export mondiale, seguiti da Russia (27%), Cina (15%), Germania, Francia, Gran Bretagna, Italia, Ucraina e Israele.

Per quanto riguarda l’Italia, si evidenzia una crescita del 30% dell’export militare negli ultimi 5 anni con un outlook positivo dovuto alla conversione della Finmeccanica da civile a militare che fa di Roma l’ottavo esportatore mondiale di armamenti, che sono diretti principalmente a EAU, India e Turchia.

Importatori principali nel mondo sono Arabia Saudita, Cina, EAU, Pakistan, Australia, Turchia e USA. I dati SIPRI peraltro costituiscono solo la punta dell’iceberg del commercio di armamenti sul quale esiste il “Trattato” disciplinato dall’ONU nel 2013.

Risulta che la produzione di armamenti è per la maggior parte destinata alle Forze Armate degli stessi Paesi produttori e che gli USA, con lo stanziamento di 95 miliardi di dollari all’anno per gli armamenti, sono i primi anche nella classifica dei Paesi produttori.

E sono nei primi posti al mondo anche le maggiori industrie belliche del Paese: Lockhed –Martin, Boeing, Ray Thoon, Northrop, Grumman, General Dynamics, United Technologies.

Al Rapporto SIPRI si affianca l’analisi pubblicata da “TomDispach”, di Peter Van Buren.

L’analisi precisa che gli accordi di vendita degli armamenti statunitensi sono tutelati da una legge per la quale “La vendita di articoli e servizi a Stati stranieri viene finalizzata quando il Presidente ritiene che serve a rafforzare la sicurezza USA e a promuovere la pace globale”.

A prescindere dalla “pace globale” di cui non si vede ancora l’inizio, Van Buren elenca la lista dei contractor privati beneficiati: General Atomics, per i droni Predator; Northrop Grumman, per i droni Global Hawk; AeroVironment, per i piccoli droni di sorveglianza Nano Humminngbird; DigitalGlobe, per i satelliti; Lockhed-Martin, per i missili Hellfire; Raytheon, per i i missili a lungo raggio Tomahawk.

Attualmente, il Congresso è impegnato ad approvare una spesa di 3 miliardi di dollari per: 175 carri armati Abrams, 15 veicoli Hercules, 55 mila munizioni.

Nel luglio 2014, la General Dynamics aveva firmato un contratto di 65,3 milioni di dollari per il programma Abrams iracheno e nel successivo mese di ottobre è stata autorizzata la vendita di munizioni per carri armati iracheni (600 milioni) e missili Hellfire (700 milioni).

Il profitto aumenta con l’addestramento: le compagnie private insegnano ai soldati americani e iracheni l’utilizzo di nuovi sistemi.

Alla fine del 2014, il Congresso USA ha approvato spese per 1,2 miliardi di dollari per equipaggiamento e addestramento per l’Esercito iracheno e altri 500 milioni di dollari per l’Esercito Libero Siriano il cui addestramento è affidato a Turchia, Giordania e Arabia Saudita.

A questo scenario si aggiungono la crisi in Ucraina con evidente confronto NATO – Russia e le tensioni nel Pacifico dove Cina e Russia sono contrari all’interferenza USA.

Per la crisi in Ucraina, gli USA ha promesso di fornire armamenti “non letali” per 75 milioni di dollari mentre Kiev avrebbe firmato contratti di armamento con Paesi europei

L’esercitazione NATO in Polonia realizzata a marzo scorso ha visto lo schieramento da parte degli USA di una batteria di missili Patriot che Varsavia sarebbe in procinto di acquistare insieme a a sottomarini.

Per quanto riguarda il Pacifico, la Russia sta costruendo sottomarini nucleari e la Cina, una seconda portaerei per bilanciare la presenza USA che vi ha dislocato 300 navi da guerra.

Per quanto riguarda il panorama mediorientale, le decisioni USA assunte al Vertice di febbraio e quelle del Congresso nel 2014 e per il 2015 sembrano finalizzate non tanto a “promuovere la pace sociale” ma a proseguire la strategia delineata nel 2002 per il “Grande Medio Oriente”: frammentare Iraq e Siria, armare le “opposizioni moderate”, isolare l’Iran e ridisegnare l’intera regione.

In questo senso sembra poter leggere i recenti eventi in area.

L’incontro del Segretario di Stato USA John Kerry con il Presidente siriano si è concluso con la dichiarazione dell’esponente americano sulla necessità di salvaguardare Bashar al-Assad, indispensabile per la risoluzione del quadriennale conflitto.

Dichiarazione subito sconfessata dal portavoce della Casa Bianca e si annunciano ulteriori rifornimenti di armi alla “opposizione moderata”, nonostante l’inadeguatezza, le sconfitte e le diserzioni di militanti delle varie milizie molte delle quali sono transitati, con le armi ricevute dalla Coalizione a ISIS.

Gli USA deliberatamente non hanno fornito alcun supporto e anzi hanno sospeso i raid mentre l’Iraq con 30 mila militari rinforzati dalle forze speciali di Iran ed Hezb’Allah attaccava ISIS a Tikrit.

Il risultato è stato che ISIS, perduta la gran parte di Tikrit ha avuto il tempo di sabotare e seminare di mine ponti, istituzioni, abitazioni e siti sensibili costringendo gli attaccanti a interrompere l’assalto.

www.osservatorioanalitico.com – Riproduzione riservata

Due protagonisti delle attuali vicende mediorientali, Kerry e Lavrov, ministro delle Esteri russo

Due protagonisti delle attuali vicende mediorientali, Kerry e Lavrov, ministro delle Esteri russo

Comments are closed.