KURDISTAN IRACHENO. VITTORIE E SFIDE

Il Kurdistan iracheno (Fonte: Arab Press)

Il Kurdistan (Fonte: Arab Press)

La frammentazione del popolo kurdo iracheno sembrerebbe divenire sempre più forte in questo momento di guerra continua e diffusa. Alla fine di questo periodo che sarà ancora lungo, potrebbe essere il momento giusto per i kurdi di rivendicare il loro diritto a uno stato sovrano, considerando che sono una nazione. Sarebbe un iter complesso perché si tratterebbe di rivedere le frontiere di almeno quattro stati, Iran Iraq, Siria e Turchia. Forse però in una revisione generale di quelle linee tracciate su una mappa nel lontano 1918-1922, anche i kurdi potrebbero trovare una loro identificazione e riconoscimento di sovranità.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini             

Da ottobre Massoud Barzani, presidente della Regione del Kurdistan Iracheno (KRG), e la leadership del Partito Democratico del Kurdistan (KDP) sono accusati di autoritarismo e violazione della Costituzione dal Movimento per il Cambiamento (Gorran) nato da una scissione dall’Unione Patriottica del Kurdistan (PUK) nel 2009.

Eletto dal Parlamento nel 2005, Barzani ottiene un nuovo mandato nel 2009 attraverso votazione popolare diretta come previsto dalla precedente modifica della carta costituzionale e avrebbe dovuto lasciare la presidenza nel 2013.

Un’alleanza KDP e PUK ne rinnova per altri due anni l’incarico nonostante la mancanza di una legge in merito.

Gorran contesta l’elezione diretta del Presidente, che toglie al Parlamento il potere di controllo, la corruzione e il nepotismo all’interno delle istituzioni.

Sul fronte esterno il rapporto privilegiato della KRG con la Turchia, la chiusura della frontiera tra KRG e Siria, l’attivismo dei combattenti del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) turco e del Partito dell’Unione Democratica (PYD) siriano anche in territorio curdo-iracheno erodono la legittimazione conquistata dal KDP) in seno alla popolazione curda durante l’assedio del monte Sinjar contro Daesh (al Dawula al Islamiyah fi Iraq wall’Sham) nell’agosto 2014, quando per la prima volta nella storia curdi iracheni e unità di difesa (Ypg) dei curdi siriani combattono insieme per salvare gli yazidi.

Sul piano operativo, i peshmerga di Barzani a metà novembre conseguono in pochi giorni un’ importante vittoria. Liberano Sinjar costringendo alla fuga i militanti di Daesh che abbandonano carri armati di produzione USA e destinati all’esercito iracheno ma soprattutto perdono l’accesso al confine con la Siria e la “capitale Raqqa” nonché la via di comunicazione tra Sinjar e Mosul. Sinjar torna ai curdi che già nel giugno del 2014 riprendono Kirkuk sconfiggendo quella volta il Battaglione 12 dell’esercito iracheno.

Eppure, i curdi restano divisi.

Mentre a Sinjar sono gli yazidi a bruciare le abitazioni dei sunniti per vendicarsi degli islamisti che ne avevano massacrato migliaia, a Kirkuk la contesa delle terre sono con gli sciiti che ne rivendicano una parte.

L’attivismo del KRG alimenta inoltre lo scontro con Baghdad la cui leadership a guida sciita non invia armi né stipendi e pretende che la vendita del petrolio avvenga tramite il governo del Paese.

Il Kurdistan iracheno tende verso la completa autonomia nonostante le manifestazioni contro Barzani all’Est, roccaforte del PUK e del movimento Goran, e la distanza dalla sinistra curda in area dello Ygp del Rojava e del PKK.

Alla Comunità Internazionale, soprattutto agli USA, chiedono armi e denaro perché quanto viene inviato al governo centrale non viene redistribuito e confidano che ormai l’Iraq non esiste più. Come più tardi, ai media spiegheranno Abuna (Padre) Jalal Yako e lo stesso portavoce del KRG).

Il primo racconta che l’identità irachena è stata devastata dalle politiche occidentali che hanno indotto lo scollamento fra etnie e religioni e che ognuno si sente diverso dall’altro: cristiano, yazidi, musulmano, curdo.

Il secondo, Safin Dezaee, dichiara che sin dal 2003 i leader del Nord che avevano facilitato l’ingresso di USA e UK in Iraq si erano recati a Baghdad per proporre un Iraq federale, democratico e pluralista.

Gli scontri si susseguono a Sinjar fra Yizidi e musulmani e a Kirkuk tra peshmerga e milizie sciite mentre il governo centrale è inerte e non risolve lo status di Kirkuk la cui road map è prevista dall’articolo 140 della Costituzione dal 2004 e non è mai stata resa esecutiva.

Peraltro, sin dalla prima guerra in Iraq nel 1991-1992 i rapporti dei curdi iracheni con l’Occidente sono stretti, tanto da avere facilitato l’intervento militare di USA e Gran Bretagna nel marzo 2003.

La controversia interna del KRG ha anche una dimensione regionale, attesa la rivalità fra Turchia e Iran, essendone entrambi interessati al controllo.

La Turchia, che contava su sunniti e curdi iracheni di Barzani, si fida solo del secondo dal 2004, quando le elezioni in Iraq portano al governo gli sciiti.

Soprattutto in questi ultimi mesi, però, dopo la rottura unilaterale del piano di pacificazione con il PKK a luglio, il presidente turco Erdogan identifica Barzani come l’anti-PKK e i suoi peshmerga come le persone da cui acquistare petrolio.

E mentre bombarda altri curdi, quelli del PKK sulle montagne irachene di Qandil, Erdogan soffoca la siriana Rojava e la lascia in preda a Daesh, e fornisce aiuti a Barzani.

Anche le tribù sunnite affidano ai media americani la loro delusione per essere stati prima utilizzati nel 2008 durante gli scontri con Al Qaeda e poi abbandonati nelle mani del governo sciita che li ha marginalizzati e ne ha soffocato con le armi ogni dimostrazione.

Insomma l’Iraq è già frammentato, proprio come auspicavano gli Usa quando portarono la guerra, che, come le altre, dura ancora.

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Massoud Barzani, Presidente del KRG (Kurdistan Regional Government)

Massoud Barzani, Presidente del KRG (Kurdistan Regional Government)

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