PROFUGHI SAHARAWI

(Fonte: Saharawi.org)

(Fonte: Saharawi.org)

Continuiamo a occuparci di quello di cui i media non si occupano e cioè dei profughi saharawi…chi sono costoro? In quale mondo spettrale vivono? Nella loro terra o …altrove? Da dove li hanno mandati via? un altro conflitto nascosto scoppiato o che scoppierà?

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

Nel mese di dicembre la popolazione saharawi dovrebbe svolgere il Congresso Nazionale in occasione dei 40 anni di esilio in seguito all’occupazione da parte del Marocco della loro terra, il Sahara Occidentale.

Ne è ipotizzabile lo slittamento per la drammatica situazione dei profughi saharawi, fuggiti nel 1975 e da allora in attesa del referendum per l’autodeterminazione iniziato nel 1991 e mai realizzato.

A questa situazione si aggiunge un’emergenza dovuta nelle ultime settimane di ottobre ai quotidiani diluvi, inaspettati nel deserto, che allagano i cinque campi profughi nella regione di Tinduf, in Algeria.

Tende e alloggi costruiti con mattoni di fango e sabbia crollano nei campi rifugiati di Dakhla, Smara, Auserd e Bojador, lasciando 25 mila senza tetto e oltre 3 mila costruzioni distrutte.

Solo nella capitale della provincia, El Aaiun, i danni sono riparabili.

Soccorsi arrivano dalla Mezzaluna Rossa Saharawi con l’aiuto dell’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati (Unchr), la protezione algerina e l’esercito della Repubblica Araba Democratica Saharawi (RASD).

L’inviato ONU Christopher Ross, arrivato in area per l’ennesimo rilancio dei negoziati proprio durante gli alluvioni, incontra i rappresentanti della RASD e promette il rinnovato impegno per la risoluzione del conflitto.

Questa volta la risposta della RASD è diversa dalle precedenti.

Il capo della delegazione negoziale Jatri Aduh dichiara ai media che il Fronte Polisario (Frente Popular de Liberaciòn de Saguìa el Hamra y Rìo de Oro) continuerà a collaborare con le Nazioni Unite ma in un contesto limitato e che la comunità internazionale avrà la responsabilità di qualsiasi reazione a causa del prolungamento del conflitto.

In altri termini, Jatri Aduh rende chiaro quanto da tempo discute la diaspora, soprattutto giovanile saharawi, in Algeria: la ripresa delle armi.

I negoziati di pace iniziati nel 1991 non si sono mai conclusi, i rifugiati vivono un presente disastroso e senza nessuna speranza per il futuro.

E vogliono riprendere le armi facendo pressione sul Fronte Polisario, fondato il 10 maggio 1973 da Mustapha Sayed El-Quali come spontaneo movimento di un popolo che viveva in miseria e discriminato da secoli.

All’epoca, ostacolato dal governo marocchino che ne perseguita e arresta i militanti, il movimento si struttura in piccole cellule militari formate da 4 – 5 componenti ciascuna delle quali comunica attraverso un coordinatore e diffuse in Marocco, Sahara occidentale e Mauritania.

La devastazione dei campi è vissuta dai 200 mila profughi come l’ennesima tragedia che ha origine nello stallo dei negoziati, che avrebbe dato avvio nell’ottobre 2010 alla rivolta poi diffusa in Africa e nell’intero Arco Mediterraneo da Rabat a Latakia e oltre fino alla penisola araba (la fase chiamata “primavera araba” dal guru francese Henry Bernard Levi, non condivisa dagli analisti per la pluralità degli attori esterni intervenuti e la peculiarità dei singoli Paesi).

Nell’ottobre 2010, a 12 chilometri Sud da El-Aaiun, 20 mila saharawi montano 7 mila tende a Gdein Izik, sfidando con una protesta pacifica e silenziosa gli “occupanti” marocchini.

Il mese successivo, l’esercito sgombera l’accampamento e le manifestazione proseguono nelle capitale El- Aaioun contrastate da interventi muscolari di polizia ed esercito che causano la morte di oltre 10 persone, il ferimento di circa 100 manifestanti e ne traggono in arresto centinaia.

Un breve passo indietro nel recente passato per meglio comprendere cosa potrebbe accadere nel futuro prossimo.

In sintesi, il valico che separa il Sahara Occidentale definito “occupato” dai saharawi è una barriera di 2.720 km nel deserto protetto da 160 mila soldati marocchini, 240 batterie di artiglieria pesante, 20 mila km di filo spinato e 7 milioni di mine anti-uomo e anti-carro.

La barriera impedisce alla popolazione l’accesso alle ricche miniere di fosfati e alle pescose coste dell’Atlantico site nella parte del Sahara Occidentale “occupato” dal Marocco nel 1975. Per Rabat si tratta di una cintura di sicurezza per impedire le incursioni armate dei militanti del Polisario.

In realtà, già nel 1991 il movimento rinuncia alla lotta armata, opta per la via diplomatica contando sul supporto della Comunità Internazionale e si dota di un organo politico, la RASD, per seguire i negoziati inerenti al referendum di autodeterminazione coinvolgente Nazioni Unite, con la missione MINURSO (United Nations Mission for the Referendum in Western Sahara) e Unione Africana.

La soluzione, fissata e rimandata nel 1992 e nel 1998, non decolla per il mancato accordo del Marocco sui criteri di definizione della base elettorale.

La MINURSO presenta una lista di 85 mila persone basata sull’unico censimento effettuato nel 1974 dalla Spagna, che del Western Sahara è stata la potenza occupante fino al novembre 1975, includendovi i saharawi dei territori occupati, alcuni trasferitisi in Marocco e la maggioranza dei rifugiati di Tinduf, Mauritania e altri luoghi di asilo.

Il Marocco vuole includere nelle consultazioni i discendenti delle tribù saharawi che nel XIX secolo fuggirono al Nord dopo l’invasione spagnola, cioè una parte dei marocchini immigrati a partire dal 1975.

Secondo i saharawi, in realtà il Marocco, che da 40 anni sfrutta le risorse dell’area ed è appoggiato dalla Francia da cui riceve importanti forniture di armamento, non intende concedere alcun referendum e tanto meno la terra.

Dati dell’ISPRI (Stockholm Peace Research Institute), calcolano gli scambi commerciali fra Marocco e Francia tra il 2007 e il 2014 al 9% delle esportazioni francesi di armamenti e notano come sia la Francia, in sede di Consiglio di Sicurezza ONU, a opporre il veto nel caso di risoluzioni contrarie a Rabat sul problema del Western Sahara.

La situazione geopolitica in fase di sensibile mutamento per i recenti eventi e per le nuove alleanze che si vanno creando secondo geometrie sempre più variabili non avrà tempo da dedicare ai saharawi e, come del resto fatto per i Territori Occupati Palestinesi, continuerà a restare silente.

L’ipotesi del ritorno alle armi del Polisario non è peregrina.

www.osservatorioanalitico.com – Riproduzione riservata

(Fonte: Saharawi.org)

(Fonte: Saharawi.org)

 

Comments are closed.