I media occidentali sono ovviamente focalizzati sulla Siria, sull’avanzamento e gli orrori dell’IS (Daesh), sui fatti di Parigi e Bruxelles. Non considerano molto spesso che ci sono altri pericolosi focolai dove c’è un conflitto, colpi di stato, rovesciamenti di potere: insomma, mancanza di stabilità. Quella mancanza da cui è affetto tutto il mondo musulmano mediorientale. Come ritornare a una stabilità? Bella domanda alla quale è troppo difficile rispondere per il momento.
Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini
Il 30 ottobre l’accettazione da parte degli Houthi e dell’ex presidente yemenita Alì Abdullah Saleh della Risoluzione del Consiglio di Sicurezza ONU 2216 avrebbe dovuto segnare la fine della guerra lanciata contro lo Yemen da Arabia Saudita, Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG), tranne l’Oman, e la Coalizione di supporto, USA compresi.
Insomma, la guerra scatenata il 26 marzo per il colpo di Stato degli Houthi contro il legittimo presidente Abd Rabbuh Mansour Hadi, insediato al posto di Saleh dall’Arabia Saudita, doveva terminare perché i golpisti erano pronti a ritirarsi dalla capitale e da città e aree occupate, consegnare le armi e interrompere i combattimenti.
Al contrario, i bombardamenti proseguono senza sosta e con maggior vigore.
L’obiettivo saudita è chiaro: riprendere il totale controllo del Paese escludendone gli Houthi che accusa di essere manovrati dall’Iran perché sciiti.
Dopo aver incassato dal Presidente Hadi la richiesta di accettare lo Yemen fra i membri del CCG a stabilizzazione avvenuta, Riyadh incrementa il numero di combattenti sul terreno avvalendosi di 800 mercenari colombiani, già soldati dei corpi speciali dell’esercito di Bogotà con pregressa esperienza acquisita contro le FARC (Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane), e li dispiega ad Aden in chiave anti-Houthi.
Ad Aden, la proclamata “capitale temporanea”, i sauditi ottengono anche l’incremento delle truppe sudanesi che passano dai 400 soldati già presenti dal 19 ottobre a 900.
E non solo in chiave anti-Houthi ma anche per l’attività di contrasto nei confronti di Al Qaeda in the Arabian Peninsula (AQAP), la formazione jihadista che Riyadh aveva utilizzato come alleato per la riconquista di Aden.
La devastazione del Paese continua e non risparmia neppure le strutture sanitarie.
Nei primi dieci giorni di novembre i dati dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite riportano:
I fatti spiegano quanto accade sul terreno nel silenzio di Comunità Internazionale e parte dei media.
Innanzi tutto, come in precedenza scritto, gli Houthi non dipendono dall’Iran.
Se è vero che Teheran non manchi di criticare l’operazione militare saudita in realtà i rapporti tra Ansarullah – nome del movimento più conosciuto come Houthis – e Iran non sono mai stati stretti.
Se negli ultimi anni l’Iran si è avvicinato al piccolo movimento sciita (di scuola Zaidi, il 4% della popolazione) non v’è mai stato supporto militare né finanziario, neppure nel periodo del presidente Saleh, di religione sciita Houthi, e stretto alleato di Arabia Saudita e USA.
La decantata campagna militare saudita in realtà perde colpi quotidianamente.
Non solo Sana’a è rimasta sotto il controllo degli Houthi, ma anche il Sud è in pericolo.
Gli Houthi guadagnano terreno nella provincia di Lahj, al confine con Aden, collina strategica per il controllo della base aerea di al-Anad che funge da Quartier Generale dei sudanesi, riconquistano Damt e la città costiera di Dhubab, vicino allo stretto strategico di Bab al-Mandab.
E questa volta la minaccia non proviene solo dai combattenti sciiti ma anche dagli “alleati temporanei” della Coalizione, AQAP.
I qaedisti controllano l’intera regione di Hadramaut compreso il capoluogo, Mukalla, la città portuale nel Sud, e ormai oltre1/3 del Paese, ove è presente dal 2009 con basi e campi di addestramento nonostante i raid dei droni USA che proprio a Mukalla in questi giorni ne avrebbero eliminato alcuni dirigenti compreso il leader Nasir al-Wuhayshi.
Attuando un inedito modulo di condivisione del potere, i militanti di AQAP sedimentano buoni contatti con i locali capi tribali sunniti in chiave anti-Houthi.
Questa situazione, gravata da profonde divisioni in seno all’esercito yemenita, ancora in parte vicino all’ex presidente Saleh, sconta anche la rinnovata ansia di indipendenza del Sud del Paese la cui popolazione osserva gli eventi in attesa di poterne prendere vantaggio per separarsi dal Sana’a, ormai senza guida.
La pacificazione, se ci dovesse essere, appare ancora lontana.
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