Gli strateghi dal “sangue freddo”: Putin…ovvero come la Russia si muove in Siria

Gli strateghi dal “sangue freddo”: Putin…ovvero come la Russia si muove in Siria

 

Inaugurata da Putin la più grande Moschea d'Europa a Mosca

Inaugurata da Putin la più grande Moschea d’Europa a Mosca

Una sintetica analisi di alcuni aspetti della  politica russa in Medio Oriente. E’ indubbio che gli scontri sono molteplici e molti gli obiettivi da conseguire. Uno su tutti: la futura predominanza di Usa o Russia in quella regione che si configura sempre come strategica fin dalla fine del XIX secolo

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

Il recente intervento russo in Siria ha colto di sorpresa non solo il temuto Stato Islamico, ma anche la maggior parte dei servizi d’intelligence occidentali e molti analisti, soprattutto per la notevole capacità della Russia di modificare la strategia sul terreno con il minimo sforzo. Con l’indecisione che ormai regna sovrana da mesi tra i membri della coalizione internazionale, su come e dove intervenire in Medio Oriente, la Russia coglie l’occasione e sfrutta la mancanza di una globale strategia occidentale per stringere accordi molto importanti con i veri paesi chiave essenziali (Siria, Iraq ed Iran)per sconfiggere l’IS. Operare in stretta alleanza con l’Iran (impegnato in Siria con forze speciali e Pasdaran), con le forze armate siriane e d’intelligence irachene, permette alla Russia di coordinarsi con i governi di questi paesi così da rendere la propria strategia d’intervento flessibile e modificabile in base alle necessità, agli effetti che produce e di creare una exit strategy, che non sia quella fallimentare americana in Afghanistan, anche nel caso di un maggiore coinvolgimento.

Il motivo di un intervento russo è semplice: garantire i propri interessi in termini di sicurezza. Permettere all’IS di consolidare il potere in Siria e Iraq significherebbe permettere ad un largo numero di terroristi ceceni ben preparati, ora in Siria per addestrarsi, di tornare nel Caucaso del Nord e aumentare la tensione in quell’area. Secondo stime russe, 5000 su 70.000 combattenti dello Stato Islamico, sono russi o originari della CSI. Quindi, optare ora per uno sforzo bellico ancora relativamente a basso costo in Medio Oriente, fornirà maggiori guadagni a lungo termine dopo.

In questo periodo gli obiettivi sono colpire certamente l’IS, ma anche il Fronte Al-Nusra (affiliato di Al-Qaeda), a nord da Idlib e Aleppo, insieme a vari gruppi ribelli sostenuti da membri della coalizione a guida Stati Uniti nei pressi di Homs e Hama, a est delle posizioni sotto controllo del governo siriano. Mosca ha assicurato pieno sostegno a Siria ed Iran (presto probabilmente anche all’Iraq) potendo agire indipendentemente dall’Occidente. Le risorse economiche e militari della Russia sono sufficienti per mantenere un impegno efficace a lungo termine in Siria, ma comunque la flessibilità di tale strategia permette anche un’immediata exit strategy.

La decisione della coalizione internazionale di combattere l’IS dallo spazio aereo siriano, senza supportare le forze armate del governo legittimo, rende il successo dell’operazione molto difficile. Pensare di combattere l’IS armando ed addestrando alcuni militanti d’opposizione, di cui non sappiamo con certezza le reali intenzioni post-Assad, non è sufficiente per garantire il successo in un teatro difficile come quello siriano. La situazione nel paese è diventata molto complessa nell’ultimo periodo, anche a causa dell’intervento russo, ma la decisione di Mosca di prendere parte al conflitto, non è stata presa in maniera avventata.

Putin pensava al suo coinvolgimento diretto, almeno dal 2013, quando ha proposto di sostituire le forze di pace austriache, in uscita dalle alture del Golan, con propri peacekeepers. Dal 2013, Mosca ha poi un ruolo importante nel dialogo sul disarmo delle armi chimiche siriane e i primi contatti con Damasco, per combattere l’estremismo islamico, iniziarono allora. Inoltre, già nel 2012, la Russia avviò un dialogo strategico-militare con l’Iraq, raggiungendo un accordo da 4,2 miliardi di dollari per la fornitura di armi ed equipaggiamento militare a Baghdad, tra cui dei Su-25 arrivati nel 2014. Nel luglio 2015 la Russia ha poi raggiunto un accordo con l’Iran per promuovere sforzi comuni contro l’IS e garantire la vittoria nella guerra in Siria. Da quel momento la questione non era più se Mosca sarebbe intervenuta, ma quando e come.

Uno dei principali fattori che ha permesso questo intervento in Siria riguarda i leader della comunità sunnita russa (circa 14 milioni di persone) che sostengono le mosse del Cremlino e sfidano l’ideologia dell’IS. Nel mese di settembre, la Russia ha aperto a Mosca “la più grandi moschea sunnita di tutta Europa” – Ha affermato Putin – rafforzando così il sostegno del clero musulmano. Il presidente russo, presente alla cerimonia di apertura, ha affermato inoltre che la moschea contribuirà a diffondere le “Idee umanistiche e veri valori dell’Islam” in Russia ed ha accusato “lo Stato Islamico di compromettere una grande religione come l’Islam”. Questo ha permesso a Putin di agire in Siria senza pericoli di ritorsioni da parte sunnita in patria.

Gli sviluppi

La strategia russa in Siria potrebbe svilupparsi in vari modi, ma il più probabile sembrerebbe il seguente: in primo luogo, colpire le infrastrutture terroristiche così da rallentare il progredire dello Stato Islamico, senza la necessità di sconfiggerlo completamente. Il motivo è distruggere le strutture di formazione ed altre infrastrutture, prima che miliziani ceceni IS tornino in Russia.

La base navale siriana di Tartus

La base navale siriana di Tartus

In secondo luogo, Mosca cerca di sostenere un regime amico e investe nel suo primo grande stabilimento militare navale nel Mediterraneo (Tartus) che potrebbe garantire il primato in progetti di estrazione di gas in Siria, Cipro e Israele.

In terzo luogo, la Russia si sta affermando come una delle principali potenze in Medio Oriente in grado di avviare efficaci operazioni militari con una chiara visione geopolitica a lungo termine. In Siria, la Russia ha mostrato la sua rinnovata capacità di influenzare gli eventi, così da cambiare la geopolitica del Medio Oriente. Colpendo lo Stato Islamico in Siria con missili lanciati da navi situate nel Mar Caspio, Mosca ha anche rafforzato la sua presenza in quell’area. Infine, l’attuale situazione siriana permette al Cremlino di mettere in mostra il proprio armamento e tutta la logistica necessaria per attirare clienti, come i paesi mediorientali, nel mercato più grande al mondo: quello dell’industria di armamenti. Ciò certifica anche che l’industria della difesa russa è molto sviluppata e detiene materiali di ultima generazione per la guerra nel 21° secolo.

Un ampio coinvolgimento?

Gli obiettivi sopra citati sono i risultati minimi cui la Russia potrebbe puntare, purché la sua campagna di bombardamenti proceda senza problemi. Una strategia che preveda un maggiore coinvolgimento potrebbe anche verificarsi, ma è più rischiosa e ora non sembrano esserci le condizioni. Ad ogni modo, con l’aiuto di Siria, Iraq e Iran, la Russia potrebbe aspirare a sconfiggere l’IS in tutto il Medio Oriente, compresi i combattenti venuti da Caucaso e CSI. L’idea potrebbe essere di proseguire azioni aeree in Siria, un intervento di terra di truppe russe in Siria a supporto di Damasco e iraniane in Iraq, un aumento di rifornimenti militari a Siria, Iraq e Iran (qui grazie all’addio delle sanzioni con l’accordo sul nucleare), la creazione di un organo apposito per coordinare congiuntamente tutte le operazioni militari nell’area. Così Mosca potrebbe sconfiggere l’IS e guadagnerebbe un’ottima reputazione e influenza in questi paesi chiave, indebolendo quella americana. Questo risultato aprirebbe la strada per una restaurazione dei precedenti confini tra Siria e Iraq, porterebbe stabilità nei due paesi chiave e normalizzerebbe la vita in questi paesi: tutto grazie ad un maggiore e diretto intervento militare russo. Inoltre questo garantirebbe ottimi rapporti a lungo termine tra Siria, Iraq, Iran e Russia e la crisi dei rifugiati che arrivano in Europa, sarebbe notevolmente ridotta, se non risolta.

Tuttavia, queste sfide possono essere realisticamente affrontate solo mediante l’uso di risorse molto ingenti e in coordinamento con una coalizione più ampia, che dovrebbe includere potenze occidentali, che difficilmente accetterebbero una presenza maggiore di militari russi, e paesi arabi del Golfo Persico. In assenza di questi ultimi fattori, tale scenario non si realizzerebbe.

I rischi
L’impegno militare in Siria sembra avere obiettivi importanti, ma ci sono dei rischi. Entrare nel conflitto siriano è stato relativamente facile, ma uscirci può essere più difficile, anche per una potenza come la Russia che opera con una strategia d’intervento flessibile.

In primo luogo, la Russia rischia di deteriorare i legami con un importante partner regionale come la Turchia. Ankara è interessata a togliere Assad dal potere ma anche le milizie curde vicino al confine. Nonostante le affermazioni che la politica non debba interferire con le relazioni economiche tra i paesi, il rischio di compromettere il piano ambizioso di realizzazione del gasdotto TurkStream, è stato rinviato al 2017. Questa non è la prima volta che la Russia e la Turchia hanno differenze su questioni geopolitiche regionali, ma in passato sono riusciti ad evitare un confronto, mentre adesso ciò non è più scontato.

In secondo luogo, la Russia potrebbe rimanere bloccata in Siria, come l’Unione Sovietica in Afghanistan. È per questo che Mosca intende muoversi con gli alleati locali e avviare una strategia di impegno flessibile, che garantisca, a fronte di un eventuale maggiore impegno, una chiara strategia di uscita. Avendo avuto sia l’esperienza in Afghanistan sia quella in Cecenia, la Russia è ben preparata per una guerra dinamica a bassa intensità. Il rischio più grande, però, è di venir trascinati in un conflitto regionale tra sunniti e sciiti sostenendo la fazione sciita. Perciò avere una maggioranza islamica sunnita in Russia potrebbe essere un problema. Tale problema evidenzia ciò che attualmente manca nella strategia russa in Siria: coinvolgere seriamente una valida opposizione sunnita all’IS. Ben consapevole della propria esperienza nel conflitto ceceno, la Russia dovrebbe cercare un’intesa con i maggiori leader sunniti locali che vogliono unirsi alla guerra contro i terroristi di Al-Baghdadi. Se un sovrano sunnita dovesse emergere sugli altri, potrebbe colmare il vuoto di potere che lascerebbe l’IS, come ha fatto Ramzan Kadyrov in Cecenia.

Applicare lo scenario ceceno in Siria è molto difficile, ma potrebbe essere l’unico modo per raggiungere un accordo globale nel paese devastato dalla guerra. Questo è il motivo per cui la Russia ritiene che la proposta francese, di unire gli sforzi del governo siriano con “un’opposizione sana” nel Free Syrian Army , è un’idea interessante da approfondire.

Per approfondimenti:

http://www.forbes.com/sites/christophercoats/2014/01/16/russia-finds-path-into-mediterranean-gas-through-syria/

http://www.nytimes.com/2015/09/24/world/europe/putin-opens-moscows-most-elaborate-mosque.html?_r=0

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