TURCHIA. LA GUERRA BIFRONTE

TURCHIA. LA GUERRA BIFRONTE

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Non è semplice comprendere la politica turca…da sempre… anche perché il governo di Ankara è ben conscio della sua posizione chiave tra Europa e Oriente e sa prenderne vantaggio…da sempre, almeno da quando terminò l’Impero Ottomano.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

Ad agosto, militari e polizia turca fermano a Mesher, villaggio nel Kurdistan turco al confine con la Siria a 1 km da Kobane, la carovana internazionale organizzata dalla rete Kurdistan e da Uiki Onlus con circa 80 attivisti.

Dopo aver perquisito i passeggeri, la sicurezza ne impedisce il varco del confine, dove avrebbero consegnato medicinali, apparati di pronto intervento, materiale didattico e giocattoli in un’area le cui principali città curde sono assediate, questa volta dai turchi.

La fine del processo di pacificazione con il PKK dichiarata da presidente Recep Tayyip Erdogan ad agosto, in due settimane ha un bilancio di migliaia di arresti, 92 vittime civili, 1.116 combattenti del PKK morti a fronte dei 113 fra la sicurezza turca.

Le città da Mesher a Dyabakir, a Cizre, già provate dall’assedio dei jihadisti dell’IS, sono rimaste prive di ospedali, apparati medicali, medicine, elettricità, acqua, viveri. Popolazioni e civili subiscono di fatto punizioni collettive.

Come si arriva a questo?

Il motivo che a luglio spinge il presidente Erdogan ad aprire la base di Incirlik agli aerei della Coalizione a guida USA contro l’Islamic State ottenendo in cambio la creazione in territorio siriano una zona cuscinetto lunga 130 km e larga 40 è spiegato dagli accadimenti nelle ultime settimane.

Poco dopo la strage di Suruc, dove jihadisti dell’IS massacrano 32 giovani riunitisi per celebrare le vittorie curde di Kobane e Rojana contro il Califfato di Baghdadi, ad agosto il presidente turco dichiara finito il processo di pace con il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) che affronterà militarmente come farà contro IS.

Inoltre, dichiara necessario per il (suo) Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP) governare da solo per completare il programma di riforme.

In realtà, il successo elettorale ottenuto a giugno dal Partito Democratico dei Popoli (HDP, coalizione di partiti di sinistra e formazioni pro-curdi) con il 13% dei voti e 80 membri nel Parlamento impedisce all’AKP di avere la maggioranza dei seggi che si aspettava Erdogan.

Anche a causa del ritardo del presidente nella scelta del nuovo Premier per la formazione di un Governo di coalizione, non si riesce a trovare la maggioranza qualificata e si rende necessario, per dettato costituzionale, un’altra votazione essendo trascorsi i 45 giorni previsti per l’inizio delle attività del nuovo Governo.

Elezioni fissate il primo novembre, in ricordo del giorno in cui nel 1922 il sultanato dell’impero ottomano fu abolito. Le decisioni del presidente non appaiono casuali ma dettati da una precisa strategia.

Da premier, Erdogan riesce a tacitare con muscolari interventi delle forze di sicurezza le manifestazioni iniziate nella primavera 2013 a piazza Taksim. Furono poi adottate misure repressive contro gli oppositori, il settore giudiziario e quelli di sicurezza, intelligence e dei media pubblici e sociali.

Ad agosto 2014, l’elezione a presidente ne consolidò un consenso che lo indusse a predisporre una riforma costituzionale per un rafforzamento dei poteri presidenziali, che potrebbe ottenere alle legislative dell’anno successivo raggiungendo il controllo dei 2/3 del Parlamento.

Erdogan agisce sul piano internazionale e interno.

Sul primo obiettivo, abbandonato il presidente siriano Bashar al-Assad dall’inizio delle manifestazioni della primavera 2011, partecipa alla Coalizione degli “Amici della Siria” voluta dalla Francia pur evitando una presenza diretta.

Sostiene inoltre logisticamente oppositori siriani, fino a quando nel gennaio 2015 decide di allearsi a Qatar e Arabia Saudita per aiutare l’Esercito della Conquista (Jaish al- Fatah), un ombrello di formazioni jihadiste la cui punta è il Fronte al –Nusra, rappresentante di Al Qaeda in Siria e vicino ad IS pur se con mire nazionaliste e non internazionali.

Gli attentati eseguiti da IS in territorio turco, inducono Erdogan alla svolta di luglio-agosto.

La strage di Suruk, rivendicata, da IS viene seguita da forti proteste dei curdi che accusano Ankara di mancata tutela dei manifestanti. E per la prima volta dal 2012 il PKK esegue un attentato contro la polizia.

Ecco la svolta del presidente nel foro interno. La sua guerra avrà un duplice obiettivo: IS e i curdi.

I curdi e IS perché l’atteso contributo turco alla Coalizione anti-IS vanta solo un primo raid di 20 minuti seguito da promesse di una grande e coordinata azione militare.

In compenso, attaccare il PKK significa attaccare anche il suo alleato siriano, il Partito dell’Unione Democratica (PYD), le Unità di Protezione del Popolo Curdo (YPG) e l’opportunità di bombardarne le retroguardie nel Kurdistan iracheno, sollevando le proteste del presidente iracheno, compensato dall’appoggio di NATO e USA in nome della lotta al terrorismo.

Perché in Turchia apparato militare e presidente sono contrari alla formazione di un Kurdistan autonomo alle sue frontiere, come avvenuto in Iraq.

Non mancano poi attacchi giudiziari come le minacce di scioglimento dell’HDP e l’inchiesta già avviata del suo copresidente Selahttin Demirtas, accusato d’incitazione alla violenza e attentato all’ordine pubblico, nonostante questi abbia fatto appello al PKK di deporre le armi, non rispondere alla forza con la forza e visitato l’abitazione di Abdullah Araz, uno dei militari turchi uccisi a inizio agosto dal PKK. E non interessa che si tratti dei movimenti armati che, con Hezb’Allah libanese e unità speciali iraniane siano i soli a contrastare efficacemente IS.

Nelle prossime elezioni anche i sondaggi dicono che il presidente sta attraendo voti dei nazionalisti, dei gruppi contrari alla pacificazione con il PKK e del Partito di Azione Nazionalista (MHP).

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Il Presidente Turco Erdogan durante la campagna elettorale

Il Presidente Turco Erdogan durante la campagna elettorale

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