TERRITORI OCCUPATI AL CAPOLINEA ?

TERRITORI OCCUPATI AL CAPOLINEA ?

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Gli errori sono da sempre da ambi le parti. Se riuscissero a ragionare e…comunque dovranno farlo. La Comunità Internazionale appoggia i palestinesi che hanno i loro torti…come Israele ha le sue ragioni e i suoi torti. Lucidamente occorre fare questo tipo di considerazioni.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

Nel silenzio che circonda la questione palestinese, recenti eventi ne indicano situazione attuale e le prospettive.

Con singolare fretta, il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) convoca a settembre il Consiglio Nazionale Palestinese (parlamento della popolazione nei Territori Occupati e in esilio) e nel novembre successivo il settimo Congresso di FATAH, il suo partito. Il fine sarebbe il rinnovamento dell’Organizzazione per la Palestina e del suo Comitato Esecutivo e di quelli di FATAH.

Abu Mazen, dopo aver assistito al ritiro della metà dei diciotto membri del C.E. del PLO, vi presenta le dimissioni. Viene sostituito un modo interinale da Saeb Erekat, il negoziatore con Israele, che dovrebbe cedere il passo a Majed Faraj, capo dell’intelligence dell’ANP, supportato da Abu Mazen e gradito a USA ed EU.

Dopo oltre venti anni di fallimentari politiche negoziali, l’80enne presidente insedierebbe in pratica al Vertice del PLO e poi di FATAH il suo uomo di fiducia, restando presidente dell’ANP, dove arrivano gli aiuti economici dei Paesi donatori.

Nei dieci anni della sua presidenza, Abu Mazen, troppo debole per imporre alla Comunità Internazionale il problema della decolonizzazione, si concentra sul foro interno.

Negli ultimi anni, liberatosi di Mohamed Dahlan, già capo dell’intelligence nella Striscia di Gaza, va allo scontro con il suo decennale primo ministro Salam Fayyad e mette alla porta Abed Abu Rabbo, portavoce del PLO durante la prima Intifada ed esponente di spicco negli anni successivi agli accordi di Oslo del 1993.

Il pugno di ferro contro i suoi avversari dissidenti va in parallelo allo zelo con cui impone la cooperazione di sicurezza tra intelligence palestinese e israeliana assicurando a quest’ultima ogni supporto. Assistenza fornita anche durante i devastanti attacchi di Tel Aviv nella Striscia di Gaza nel 2008-2009, 2012 e 2014 con migliaia di morti, decine di migliaia di feriti e altissimo numero di civili, donne e minori.

Abu Mazen è il maggior responsabile della mancata formazione del Governo di unità nazionale nel gennaio 2006, quando, dopo le elezioni legislative, HAMS risultò il primo partito e venne ostacolato da FATAH sino alla frattura dell’anno successivo.

Abu Mazen

Abu Mazen

La riconciliazione con HAMAS, proclamata nell’aprile 2014, ma in realtà mai resa esecutiva, è stata unilateralmente azzerata dal presidente dell’ ANP che ha dimissionato il governo in carica nominandone un altro.

Non inferiori sono gli errori di HAMAS.

Il movimento islamico, isolato dalla Comunità Internazionale sin dal 2003 che lo scheda come “organizzazione terroristica”, è da 8 anni sotto assedio da terra, mare e cielo da Israele dopo la rottura con FATAH.

Mentre a Gaza rimane come leader Ismail Haniyeh, ex Premier del Governo di unità nazionale del 2006 mai accettato da FATAH, la Direzione Esterna del movimento guidata dal segretario generale Khaled Meshaal, grazie all’intervento dell’Iran, si trasferisce in Siria.

Dopo le tre guerre scatenate contro la Striscia di Gaza da Tel Aviv, Meshaal si lega a Turchia, Qatar e ai Fratelli Musulmani egiziani che avevano insediato alla presidenza del Paese Mohamed Morsi.

La situazione del movimento precipita di nuovo con il colpo di Stato in Egitto che nel luglio 2013 scatena la guerra contro l’intera leadership della Fratellanza, arrestandone oltre 40 mila, compreso il presidente, e uccidendone più di 2 mila.

In questo quadro Khaled Meshaal dal Qatar rende noto alla fine d’agosto che con la mediazione dell’ex premier britannico Tony Blair, il sostegno della Turchia e il supporto economico del Qatar è pronto a un accordo con Israele.

L’intesa prevede da parte di Tel Aviv: revoca del blocco di Gaza; permesso di un porto galleggiante a tre km dalla costa per importare ed esportare le merci; rotta marina aperta fino a Cipro dove i prodotti da e per la Striscia saranno controllati da militari della NATO; ingresso in Israele di migliaia di lavoratori pendolari da Gaza.

In cambio, HAMAS assicura: una tregua di dieci anni; il controllo delle altre formazioni armate della Striscia per impedirne anche con la forza il lancio di razzi; il divieto di scavare gallerie sotterranee sotto il confine; la restituzione dei prigionieri israeliani vivi (l’ebreo etiope Avira Mengistu e un beduino entrati illegalmente nella Striscia di Gaza) e morti (i resti di due soldati rimasti uccisi nell’attacco israeliano del 2014).

Contro HAMAS sono FATAH, il FRONTE POPOLARE per la LIBERAZIONE DELLA PALESTINA, il PALESTINIAN JIHAD ISLAMI, l’intera sinistra e le altre forze politiche. L’area di opposizione sostiene che la divisione tra Cisgiordania e Gaza accreditata da Israele renderà impossibile la creazione di uno Stato palestinese in cambio di Gaza che rappresenta solo il 2% della terra di Palestina.

In altri termini, la tregua a lungo periodo con Israele trasformerebbe Gaza in un’entità separata mentre la Cisgiordania sarebbe ridotta a un insieme di enclavi ad alta concentrazione di popolazione palestinese.

L’accordo negoziato da HAMAS costituirebbe insomma la fine della speranza di creare lo Stato palestinese e la perpetuazione dell’occupazione militare.

In Israele suscitò vasta eco il rogo che nella notte del 30-31 luglio briciò vivo Alì Dawabshah di 18 mesi a causa del lancio di bottiglie incendiarie da coloni estremisti contro l’abitazione della famiglia nel villaggio di Kafr Douma. Il mondo apprese la violenza di estremisti di destra e coloni israeliani nella Cisgiordania che i palestinesi denunciano invano da anni.

Il capo dello Stato israeliano e il suo primo ministro chiedono “tolleranza zero con gli estremisti” riconoscendo di aver affrontato il fenomeno del terrorismo ebraico troppo debolmente. Un mese dopo, mentre i membri superstiti della famiglia Dawabsha, Ahmad, di 4 anni, e la mamma Riham, 29 enne, sono ancora in ospedale fra la vita e la morte (il padre, Saad, è deceduto poco dopo il bambino), i loro assassini sono liberi.

La tolleranza zero è nei confronti dei palestinesi.

L’esercito israeliano, con la collaborazione della sicurezza dell’ANP, esegue continui raid in tutte le città della Cisgiordania, arrestando “elementi sospetti per motivi di sicurezza” destinati alla detenzione amministrativa, cioè arresto preventivo eseguito senza prove, senza difensore né familiari per sei mesi e rinnovabile ad libitum.

Non sono risparmiati neppure i morti. Infatti, dopo aver quasi totalmente distrutto il più antico cimitero palestinese di Mamilla risalente al VII secolo DC, all’inizio di settembre, le autorità israeliane di Gerusalemme occupano parte dello storico cimitero islamico di Bab al-Rahmeh (la Porta della Compassione), accanto alla moschea Al-Aqsa, e ne circondano ampie aree con filo spinato.

Con oltre un millennio di storia e protetto dal 1927 come sito storico dal Consiglio Supremo musulmano, oggi il 10% del cimitero sopravvissuto alle confische israeliane iniziate subito dopo il 1948 rischia di scomparire per fare posto a un albergo, un centro commerciale e centinaia di nuove unità abitative per coloni. Il progetto prevede la creazione di un parco nazionale intorno alla Spianata delle Moschee e alle mura orientali della Città Vecchia, realizzando un anello che separi il cuore di Gerusalemme dai contigui quartieri palestinesi.

Il piano si collega alla costruzione, già realizzata e in via di ulteriore espansione, della “Città di Davide” nel villaggio palestinese di Silwan e mira a rioccupare la Spianata delle Moschee, già sito sacro costruito dal re Salomone nel 960 A.C., distrutto nel 587 A.C. dal re di babilonia Nabucodonosor, ricostruito dagli ebrei nel 515 A.C. e distrutto due volte dai re romani Tito nel 70 D.C. e sessanta anni dopo Adriano che rase al suolo l’intera Gerusalemme.

L’obiettivo è cambiare il volto di Gerusalemme attraverso confische di terre, demolizione di case nei quartieri palestinesi, revoche di diritti di residenza – i palestinesi di Gerusalemme sono apolidi, non riconosciuti come cittadini israeliani ma semplici residenti – la costruzione del muro di separazione di 738 km con espropriazione di terre e posti di blocco in entrata e uscita dalle residuali aree palestinesi e il costante ampliamento delle colonie.

Misure che violano Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza ONU, tra le quali: Ris. 194, C.d.S. dell’11/12/1948, art. 7 – 9: protezione ai luoghi, controllo ONU su Gerusalemme, libero accesso a Gerusalemme; art. 11: ritorno dei profughi; Ris. 242 del C.d.S. 22/11/1967, ritiro delle forze armate israeliane dai territori occupati nella guerra 5 – 10 giugno 1967; Ris. C.d.S. 476, 30/0671980, nullità delle rivendicazioni israeliane su Gerusalemme; Ris. C.d.S. 452, 20/07/1979, (e successive) contro gli insediamenti nei territori occupati.

Due leggi antiterrorismo sono presentate alla Knesset. Con la prima, il premier Netanyahu chiede nuove un regole d’ingaggio per l’esercito autorizzando l’immediato uso di armi da fuoco nel caso di lancio di pietre e bottiglie incendiarie.

Con la seconda, il ministro della giustizia Ayelet Shaked, dopo aver ottenuto l’inasprimento della pena fino a venti anni di reclusione per chi lancia sassi, chiede la condanna per “terrorismo” – reato in Israele interpretato estensivamente, come il lancio di sassi – punibile fino a trenta anni e la legalizzazione delle detenzioni amministrative fino a tre anni.

Alla preparazione della legge “Terror Act” ha partecipato anche l’ex ministro della giustizia Tzipi Livni, ritenuta pacifista con la sua lista “Campo Sionista”, controllata dal Partito laburista. Le misure sono criticate dal Partito di sinistra Meretz e dalla Lista Araba Unita.

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Tzipi Livni

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