IL SALAFISMO SUNNITA: SINONIMO DI JIHADISMO?

IL SALAFISMO SUNNITA: SINONIMO DI JIHADISMO?

Osama Bin Laden

Osama Bin Laden

Una interessante e approfondita analisi del salafismo sunnita. La Umma e la Sharia…

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

Da quando è scoppiata la rivoluzione in Tunisia e successivamente in Egitto, in Siria, in Libia, nello Yemen e in altri paesi ancora, l’interesse dell’opinione pubblica per il movimento salafita è notevolmente accresciuto.

Un movimento che si è rapidamente sviluppato e in breve tempo diffuso in tutte le comunità sunnite, concentrato nella ricerca della formazione di un’Umma basata sui dettami della Sharia.

Il salafismo è divenuto sinonimo di jihadismo e l’idea che il salafita incarna l’aguzzino alla ricerca del kafir, il miscredente per eliminarlo, è entrata nell’immaginario collettivo.

Una semplificazione che non aiuta la comprensione dei tempi duri che stiamo vivendo, giacché non tutti i salafiti sono jihadisti e, per contro, non tutti i jihadisti sono salafiti; di certo il salafismo non rappresenta una minaccia per gli occidentali, se non nelle sue forme e manifestazioni più esasperate.

Il problema, a ben guardare, non è la contrapposizione tra il musulmano e il cristiano, il musulmano contro l’ebreo, l’oriente verso l’occidente capitalista; il problema è la convivenza pacifica all’interno della stessa religione giacché esistono dei musulmani intolleranti non solo verso lo straniero, bensì verso altri musulmani.

Parte dei mali che affliggono il Medio Oriente ha proprio origine dalla contrapposizione tra gli sciiti e i sunniti nell’applicazione dei precetti coranici, ma non solo anche perché, in definitiva, entrambi pregano cinque volte al dì, osservano i pilastri dell’Islam e rispettano i precetti del Corano.

Ovviamente ci sono altri importanti fattori, le tradizioni, gli usi e i costumi dei diversi paesi, la lotta per il potere, la voglia di dominazione, il petrolio, le diversità etniche, il deficit di democrazia ecc…

Se è vero che non tutti i jihadisti sono salafiti e viceversa, è anche vero che la maggior parte dei foreign fighters, che da diverse parti del Nord Africa e in numero crescente anche dall’Europa sono partiti e partono per la “guerra santa”, provengono o sono stati istruiti e “catechizzati” in ambienti salafiti.

Per comprendere il fenomeno a un livello puramente accademico, possiamo affermare che il jihadista è un salafita che, nella sua personale evoluzione, ha deciso di passare all’azione diventando un combattente

Salafiti sono anche gli estremisti dell’Isis e i seguaci del Califfo Abu Bakr e, a ritroso nel tempo, salafiti erano anche Osama bin Laden e tutti i suoi affiliati di al Qaeda.

L’origine etimologica del salafismo proviene dall’arabo antico salaf, che significa “passato, ritorno all’Islam degli antenati”.

Il salafismo è un movimento che è nato nella seconda metà dell’Ottocento quale reazione al colonialismo inglese e francese nel mondo arabo; in seguito si è diffuso e diversificato in varie correnti, tra cui i Fratelli Musulmani in Egitto e i wahabiti in Arabia Saudita.

Dei Fratelli Musulmani si è parlato molto, meno dei wahabiti, che si rifanno ai precetti teologici di Muhammad ibn Abd el Wahab, considerati più estremisti degli stessi Fratelli Musulmani.

L’obiettivo primario del salafismo è stato il recupero della tradizione e dei valori antichi perduti, il ritorno a un Islam puro e a un’interpretazione rigida del Corano.

Una severa lettura del Corano, ma non così tradizionalista come quella portata avanti dai sufisti, considerati i mistici sunniti e, in alcuni casi, dei veri e propri eretici.

C’era la necessità, da parte dei salafiti, di dar vita a una vera e propria rinascita non solo religiosa, ma anche sociale, culturale e politica dell’Islam.

Per i salafiti esiste il bianco e il nero, non il grigio, esistono i musulmani e i non musulmani, null’altro.

Il salafita è un musulmano praticante che “cerca” di vivere come i suoi antenati. Abbiamo scritto “cerca” nel senso che il salafita di oggi non rifiuta la modernità, tanto meno lo sviluppo tecnologico occidentale, a differenza per esempio degli Amish negli Stati Uniti d’America.

Nelle strade mediorientali -e non solo- il salafita è riconoscibilissimo per il modo in cui si veste, per la barba incolta, per i lunghi intercalari coranici che condiscono qualsivoglia sua conversazione.

E’ importante sottolineare che il salafismo e la scuola salafita a esso ispiratasi, non ha nulla a che fare con l’evoluzione “militante” del salafismo attuale.

Con il passare del tempo e la genesi storica e geopolitica lunga un secolo, il salafismo è mutato ed è diventato l’espressione per indicare quella parte di musulmani che vogliono implementare la sharia, la legge islamica.

In Egitto i salafiti hanno sempre avuto un ruolo di secondo piano nella vita politica, almeno sino alla caduta del Rais Mubarak, manifestando un’avversione per il concetto di democrazia, soprattutto nella sua massima espressione delle libere elezioni.

Un ruolo di secondo piano in conformità al dettame secondo cui ogni associazione politica sia dannosa per lo Stato islamico giacché è portatrice di fitna, di divisione all’interno di una comunità.

Nel corso degli ultimi anni i salafiti hanno però implementato la loro partecipazione politica con la creazione di due partiti politici: Hizb al Nur, il Partito della Luce, e Bina’a ua Tanmiyya, Costruzione e Sviluppo.

In Tunisia i salafiti si sono caratterizzati per le battaglie contro la “democratizzazione” del Paese e contro l’emancipazione femminile; dura la battaglia per imporre alle donne il divieto dell’uso del bikini.

In Libia hanno dato vita ad una sorta di revisione storica, cercando di distruggere ogni traccia del sufismo, attaccando e danneggiando numerosi luoghi di culto, santuari, mausolei, biblioteche e profanando le tombe di antiche figure religiose. Stesso atteggiamento nel Mali, con il tentativo di rovinare il patrimonio storico di Tinbuctu.

In Libano la popolarità dei salafiti è accresciuta per la forte attrazione di alcuni esponenti religiosi sulla popolazione, tra cui gli Sceicchi Salma el-Awda, el-Ar’our, Ahmad el-Assir, critici e pungenti nei confronti della parte sciita della popolazione musulmana.

Un antagonismo esacerbato a seguito dell’appoggio fornito dagli Hezbollah al regime alawita siriano considerato dai sunniti, e in particolare dai salafiti, quale prova della volontà degli shiiti e, in particolare degli Hezbollah di Hassan Nasrallah, di diventare la forza dominante nel Paese. Sunniti, preoccupati che un Libano a guida sciita, con il supporto dell’Iran, possa trasformarsi in un tassello della mezzaluna sciita nel Levante e in Mesopotamia.

I salafiti, pertanto, sono una presenza “ingombrante” in molti paesi mediorientali; una componente con cui il resto del mondo musulmano è costretto a interloquire e che di certo non può ignorare.

Non si può ignorare tanto più se si è alla ricerca di una pace interreligiosa che aiuti una stabilizzazione politica di tutta la regione.

Il compito, lo vediamo, è estremamente complicato, alla luce anche del fatto che nell’Islam non esiste una figura catalizzatrice come nel cristianesimo. In Medio Oriente non c’è un Papa, non c’è un’autorità in grado di convogliare tutte le anime, bensì esistono più autorità in grado di parlare solo alla propria parte. Ciò vale per l’Istituto di al Azhar per la parte sunnita e Qom e Najaf per quella sciita.

Il problema quindi non è l’Islam in quanto tale, piuttosto come esso è interpretato e spiegato dai religiosi e, soprattutto percepito ed applicato dai credenti.

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Ahmad el-Assir

Ahmad el-Assir

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