TALEBAN. LA SVOLTA?

TALEBAN. LA SVOLTA?

Ashraf-Ghani

Ashraf-Ghani

La situazione di ieri…prima della notizia della morte del Mullah Omar…se è vera e attuale….

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

Il 14 luglio, contestualmente all’annuncio dell’avvenuto Accordo a Vienna tra il G 5 + 1 (i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza ONU + la Germania) e l’Iran, un messaggio firmato da mullah Omar, leader dei Taleban, comunica l’avvenuto primo incontro ufficiale tra le delegazioni di Taleban ed emissari del Governo di Kabul a Murree, in Pakistan.

In un messaggio, Mullah Omar precisa che la lotta armata continua, l’obiettivo rimane la liberazione dall’occupazione straniera ma questo non esclude colloqui e incontri con gli infedeli.

A questo fine esiste un organo ufficiale, l’“Ufficio Politico della Shura (Consiglio) di Quetta”, con sede in Iran, a Mashad, per il controllo delle attività politiche anche delle altre due Shure di Peshawar e Miran Ashah.

La svolta dei Taleban avviene sulla spinta dell’Accordo di Vienna ma era in gestazione da tempo.

Origini della svolta

Le guerre eterodirette iniziate dopo l’attacco dell’11 settembre 2001 riversano dalla Libia all’ Afghanistan e fino allo Yemen i loro frutti avvelenati. Il quadro geo-strategico di quell’area è in continuo movimento che spesso sfugge al controllo di chi lo ha generato.

Devastati, instabili e destrutturati in frammentate aree si presentano i Paesi dove “Coalizioni” improvvisate sono intervenute.

In Afghanistan (ottobre 2001 – dicembre 2014) e Iraq (marzo 2003 – dicembre 2011) le guerre continuano smentendo gli occupanti americani che ne avevano decretato la fine ma si trovano costretti a rientrare in un panorama che coinvolge Paesi contermini, da una parte il Pakistan e dall’altra il Libano.

La veloce guerra in Libia (marzo – ottobre 2011) a guida USA/NATO ridisegna l’intera fascia sahelo-sahariana fino al Corno d’Africa e allo Yemen.

L’eterogenea Coalizione degli “Amici della Siria”, dopo aver trasformato le proteste pacifiche in scontri armati, riesce ad attrarre – come in Iraq – combattenti jihadisti provenienti dagli altri conflitti in corso e migliaia di “foreign fighters” anche occidentali.

L’intervento “umanitario” francese in Mali del gennaio 2014 previsto per sei mesi è tuttora in corso nonostante la mediazione algerina che coinvolge ONU, Unione Europea, Unione Africana, Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale, Organizzazione della Cooperazione Islamica, Burkina Faso, Mauritania, Niger e Chad.

Se il colpo di Stato in Egitto il 3 luglio 2013 contro il legittimo Presidente e il suo altrettanto legittimo Governo trovato la protesta della sola Turchia, non è stato così per lo Yemen.

L’occupazione della capitale dal settembre 2014 da parte della piccola minoranza Houthi – sciiti zaiditi – arrivati al colpo di Stato contro il legittimo Presidente Hadi e il suo Governo nel marzo 2015 fornisce il pretesto per un’altra “Coalizione”.

La formazione, questa volta a guida saudita, in solo tre mesi provoca 3.500 morti, 13.000 mila feriti e 1 milione di rifugiati.

Soprattutto, il 17 luglio l’Arabia Saudita riprende dagli Houthi la città marittima di Aden con lo Stretto di Bab al-Mandab, strategico passaggio di risorse energetiche verso mercati europei. Questa volta, Riyadh oltre ai raid aerei invade lo Yemen con militari suoi e degli Emirati Arabi Uniti schierandoli con 100 veicoli blindati.

Secondo il quotidiano “The Wall Street Journal”, alla battaglia avrebbero partecipato militanti di “Al Qaeda in the Arabian Peninsula”, le cui bandiere sarebbero state viste sventolare in Aden mentre trascinavano corpi di combattenti Houthi.

La situazione attuale

Con il venire meno dei finanziamenti di Arabia Saudita e Qatar, le 4 Shure del movimento si trovano in sofferenza finanziaria.

Situazione che registra il ritiro di molti capi militari, impossibilitati a mantenere i miliziani, attratti dal richiamo dell’ “Islamic State” di Abu Bakr Ibrahim al-Baghdadi.

Inoltre, la protezione assicurata dal Pakistan ai Taleban e il rifugio offerto dall’Afghanistan ai Taleban pakistani spingono i due Paesi a coordinare una comune policy per contrastare Taleban e loro reti ovunque operino.

In conseguenza, diviene comune policy per i Taleban affidarsi ai finanziamenti iraniani cui attingono non solo la Shura di Mashad ma anche le altre.

I Taleban guardano con preoccupazione al crescente ruolo di ASAP nello Yemen contro gli Houthi ma soprattutto ai supporti in termini di logistica, addestramento, armamento che verrebbero assicurati da anni a IS che ormai ha solide basi in Iraq, Siria, Libia, Egitto e reti nella fascia Sahelo-sahariana (AQIM), in Nigeria (Boko Haram), Somalia (al-Shabaab).

Ancorati a una visione nazionalista, i Taleban poco dopo le elezioni presidenziali dell’aprile 2015 presentano al neo-Presidente Ghani una proposta negoziale sulla base di due condizioni: condivisione del potere nel futuro Governo e una modifica della Costituzione.

Il Presidente, disponibile sulla prima condizione, rigetta chiaramente la seconda, temendo una deriva integralista della Sharia.

Mentre il Congresso americano inizia l’esame dell’Accordo di Vienna, dopo un lungo silenzio Abu Omar avrebbe ripreso da leader il filo negoziale impossibile sino alla Presidenza Karzai ma….sarebbe notizia odierna (29 luglio) della sua morte. Se è vero. Qualche equilibrio potrebbe cambiare.

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Mullah Mohammed Omar

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