RETE ISLAMISTA LIBICO-TUNISINA. ORIGINI

RETE ISLAMISTA LIBICO-TUNISINA. ORIGINI

(Fonte: Encarta)

(Fonte: Encarta)

Una sintesi molto interessante di come si sono costituiti i pericolosi legami della rete islamista libico-tunisina… una situazione indubbiamente molto pericolosa.Una rete che risale agli Anni ‘80.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

La veloce parcellizzazione della Libia dalla morte di Gheddafi e i recenti attentati in Tunisia suscitano sorprendenti allarmi nei media per lo stretto legame tra organizzazioni armate di matrice islamista appartenenti a due Stati con storie diverse.

L’ ”International Centre for the Study of Radicalization” rivela che si tratta di reti risalenti agli anni’80 con la guerra portata dall’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche in Afghanistan che attirò combattenti provenienti anche da alcuni Paesi del Maghreb.

Mentre la guerra russo-afghana polarizzava lo scontro fra le varie etnie e religioni del Paese, militanti del neonato “Libyan Islamic Fighting Group” (LIFG) vicini al gruppo afghano “Ittihad-e-Islami”, anche grazie al supporto logistico assicurato dell’ala radicale della tunisina EN Nahda, si trasferiscono in Afghanistan.

Proseguendo nella ricerca, emergono altri dati utili a meglio comprendere natura e origine della connessione libico-tunisina.

Nel decennio’80 – ’90, militanti di En Nahda, accusati di supportare la guerriglia afghana, vengono esiliati in Belgio, Gran Bretagna e Italia.

Un centro di reclutamento e aiuto logistico a jihadisti di diversa matrice opera dall’inizio degli anni ’90 nel Centro Islamico di viale Jenner, a Milano, in coincidenza con due eventi: la guerra scatenata dalla NATO in Yugoslavia e il conflitto apertosi in Algeria nel gennaio 1992, quando l’ “Islamic Salvation Front” (FIS) viene dichiarato fuorilegge per impedirne la sicura vittoria elettorale.

Nel primo caso, dopo il crollo del blocco sovietico, la Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia diviene il teatro di sanguinose guerre civili nei Balcani (1992 – 1995) e in Kossovo (1996 – 1999), con focolai tuttora in corso.

In Bosnia, la popolazione a prevalenza musulmana deve combattere serbi e croati e in suo aiuto arrivano militanti di matrice salafita- wahabita molti dei quali, dopo gli Accordi di Dayton del novembre 1995, rimangono nel Paese sposando donne locali e ottenendone la cittadinanza.

Lo stesso fenomeno si espande anche in Kosovo, Macedonia e Sangiaccato serbo, dove negli ultimi anni aumentano gli scontri fra i conservatori dell’Islam radicale/wahabita finanziato dai Paesi del Golfo, e l’islam “moderato” dei Fratelli Musulmani.

Nel secondo caso, dal FIS si separa un gruppo combattente “Armed Islamic Group” (GIA) che, come i bosniaci, si avvale di foreign fighters prevalentemente provenienti da Libia e Tunisia per combattere con algerini e marocchini contro Algeri.

In questo periodo libici e tunisini formano alleanze con altri militanti di cellule islamiste sparse per l’Europa, tra i quali spiccano Sami Essid bin Khamis, che avrebbe poi formato nel 2000 Ansar al Sharia in Tunisia AST), e il libico Lased Ben Heni, operante a Francoforte, da dove avrebbe pianificato nel 2000 l’assalto alla Cattedrale di Strasburgo.

Jihadisti di Ansar-al-Sharia

Jihadisti di Ansar-al-Sharia

Dopo l’11 settembre 2001, militanti libici e tunisini combattono in Algeria con il “Groupe Salafiste pour la Prédication et le Combat” (GSPC, subentrato al GIA), come responsabili della “Zona 5” , ai confini con la Tunisia, assumendo il nome “El-Fatah El-Moubune”.

Questo gruppo avrebbe lasciato verso il 2005 il GSPC per confluire in “Al Qaeda in the Islamic Maghreb” (AQIM) nella formazione “Katibat ‘Ubqa ibn Nafi, operante nelle Chaambi Mountains lungo il confine tunisino-algerino.

Nello stesso anno, i restanti militanti del LIFG assicurano logistica e armi ai foreign fighters presenti in Iraq con l’ “Islamic State of Iraq” (ISI), poi divenuto “Islamic State of Iraq and Sham” (ISIS), ora noto in Occidente come IS e nei Paesi arabi come Daesh.

I jihadisti tunisini si avvalgono delle reti libiche per raggiungere l’Iraq, grazie agli stretti contatti operativi coltivati per anni con le formazioni libiche, molte delle quali confluite dal 2011 in Ansar al Sharia in Libya (ASL) e nell’Islamic State (IS) in Libia.

Dall’uccisione di Gheddafi (ottobre 2011), la Tunisia è diventata una sorta di centro logistico non solo per la Libia.

AQIM continua a trafficare armamento dalla Libia verso la Tunisia e da lì verso la fascia sahelo- sahariana.

E’ stretta la cooperazione tra AST e ASL, con scambio di assistenza logistica da parte tunisina e knowledge addestrativo da parte libica nelle vaste aree controllate da Ansar al Sharia in Libia.

A partire dal 2014, vi sarebbe – secondo la collezione informativa curata dall’ “ICSR” – un crescente attivismo in Libia con IS.

Il dato trova la conferma del Governo tunisino che ritiene presenti nella sola Libia oltre mille combattenti, in addestramento o già operativi, mentre altri 3000 avrebbero raggiunto la Siria o l’Iraq per combattere a fianco di IS.

Inoltre, in Libia sarebbero rimasti uccisi durante azioni decine di tunisini, come era tunisino uno dei terroristi che ha attaccato l’Hotel Corinthia di Tripoli.

Gli attentati al museo Bardo del marzo 2015 e la più recente strage a Sousse (giugno) eseguiti da tunisini addestrati in Libia non costituiscono eventi isolati, ma parte di una strategia coltivata e cresciuta nel tempo.

Per la Tunisia lo stato di emergenza, la chiusura di 80 moschee, il progetto di un muro che circondi il poroso confine libico-tunisino e la repressione non basteranno a eradicare la minaccia incombente sul Paese.

20150711-Province_ottomane_della_Libia-300x400Costituiscono emergenza anche l’irrisolta questione economico-sociale, i “Piani di aggiustamento strutturale” imposti dal “Fondo Monetario Internazionale” con aumento di tasse e imposte, blocco dei salari e azzeramento delle misure di compensazione per le fasce più deboli della popolazione. E’ emergenza il neoliberismo passivamente adottato dai Governi da Ben Alì ai più recenti senza mai curarsi della disoccupazione, della corruzione, della disparità di reddito fra le Regioni.

La Libia, dalla guerra USA/NATO, non è più un Paese ma tre aree formate da Tripolitania, Fezzan e Cirenaica, con due Governi e due Parlamenti, preda di 1700 milizie in conflitto fra loro, una terra in cui cresce il traffico di essere umani, armamento, droghe.

C’è da stupirci se sin dal 2013 il Rapporto dell’ “International Crisi Group” scrive che “i giovani salafiti appartengono alla stessa gioventù rivoluzionaria che ha combattuto le Forze dell’Ordine durante la sollevazione e che, disoccupata,… trova nel salafismo un’identità” ?

La sola logica repressiva e l’approccio militare non riusciranno mai a risolvere situazione prodotte da cadute socio-economiche antiche e sempre ignorate.

La soluzione sarà la prossima guerra, come insegnano Afghanistan, Iraq, Libia, Siria, Sud Sudan, Mali, Yemen?

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