NON SOLO KOBANE. La guerra fra il Partito di Unità Democratica e la Turchia

Kobane dall'alto

Kobane dall’alto

Kobane è diventato un nome ormai conosciuto per la battaglia che vi si svolge da mesi….ruolo della Turchia, ruolo importantissimo dei combattenti curdi, uomini e donne, contro l’avanzata del cosiddetto Califfato. Le ultime vicende in quella zona, in sintesi.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

Nella notte fra il 16 e il 17 giugno, combattenti delle Unità di Protezione maschili e femminili (Ypg e Ypj) organizzati dal Partito Democratico Unito (Pyd) sconfiggono l’Islamic State e riconquistano il villaggio di Tel Abayat (Collina Bianca).

Dopo tre anni di assedio, il Cantone di Rojava si è riunito e i Partiti curdi PKK e PVD da Turchia e Siria possono arrivare a Kobane dal valico di Qamishli. Permangono i danni di una guerra lunga tre anni con residui scontri nel villaggio che i militanti di IS hanno disseminato di mine e autobombe.

Non inferiore a quella jihadista è l’ostilità della Turchia che vieta il deflusso dei profughi a Tel Abayad e nega agli stranieri con aiuti umanitari di attraversare la frontiera. Per Kobane la lotta continua anche a livello politico.

Il 1° luglio a Bruxelles sono stati presentati entità dei danni e progetti concreti discussi anche con Organizzazioni umanitarie di tutto il mondo per la ricostruzione del Cantone, distrutto al 90%, senza acqua né elettricità, con solo 3 scuole riaperte delle 445 del periodo precedente, con 32 mila studenti su 50 mila abitanti.

Il Leader del PKK, Abdullah Ocalan

Il Leader del PKK, Abdullah Ocalan

E sarà possibile sensibilizzare la Comunità Internazionale sul problema curdo, anche alla luce della vittoria del partito della sinistra curda e turca Hdp alle elezioni politiche del 7 giugno avviando una fase di riconciliazione fra tutti i curdi.

La ricerca di fondi per il Pyd e il suo vicino Partito dei Lavoratori curdi (PKK) è necessaria. Pyd e PKK non hanno contatti economici neppure con il Kurdistan iracheno di Barzani, che durante l’assedio si è limitato a inviare pochi aiuti e 160 peshmerga che hanno lasciato Kobane dopo appena due mesi. Inoltre, nella stessa Siria, i curdi non hanno cittadinanza e le opposizioni al regime damasceno sono ostili a tutte le minoranze.

La vittoria di Kobane sull’IS non è la sola sul piano militare.

Il giorno prima in Iraq, milizie sunnite inviano i loro reparti nelle fila delle “Unità di Mobilitazione Popolare”, la formazione che riunisce le Forze tribali sciite formate nel 2014 dal Governo iracheno con il diretto sostegno e l’addestramento dell’Iran.

Sono già migliaia i combattenti sunniti a fianco delle formazioni sciite che combattono IS nelle zone prese dai jihadisti di Ibrahim al Badr al Baghdadi, Anbar e Niniveh.

Khalid Abdullah, comandante del battaglione sunnita di Salahuddin, ora parte di Asaib Ahl al-Haq, milizia sciita irachena da tempo sostenuta da Teheran, spiega che nelle UMP vi sono numerosi gruppi sciiti:

  • lo zoccolo duro: Organizzazione Badr, Hasaib Ahl al-Haq e Kataib Hezb’Allah-Iraq;
  • milizie di formazione recente: al-Nujabaa, ala fuoriuscita da Asaib, Jund al-Imam, creata nel 2014, Alì al-Akbar Bregaid, risalente a pochi mesi fa, e Kataib Sayyid al-Shuhada, la più recente.

Al loro fianco combattono decine di reparti sunniti con 250-600 militanti.

Di fatto, i combattenti criticano quei capi tribali che hanno impedito il dispiegamento dei rinforzi sciiti e sono gli stessi che vivono a Irbil e negli hotel di Dubai e Amman, vicini a quell’esercito corrotto, con poche armi e una catena di comando inadeguata a contrastare IS.

Sulle reali capacità militari di IS, rimane perplesso il giornalista iracheno del think tank egiziano Al Haram, Salah al-Nasrawi. In una recente intervista, al-Nasrawi sottolineava due fragilità di IS, che negli ultimi mesi, ha perso terreno a Diyala e Salah-a-din e a Bajiii.

In primo luogo, sul piano militare le Forze Armate di Iraq e Siria dimostrano che il supporto degli sciiti libanesi di Hezb’ Allah e delle Unità d’élite iraniane hanno sempre sconfitto IS, con o senza i raid aerei della Coalizione Anti-IS, che rifiutano il coordinamento con Teheran e Damasco e supportano l’ ”opposizione moderata siriana” con addestramenti, logistica e armamento.

In secondo luogo, i milioni di sfollati e profughi di Iraq e Siria dimostrano che la popolazione sunnita, tradizionalmente panarabi e nazionalisti non sono certo pronti ad abbracciare un programma islamista risalente ai secoli VIII e IX.

Quanto ai baathisti e ai fedeli di Saddam Hussein che appoggiano l’IS non si sono mai ideologicamente piegati a Baghdadi ma perseguono per mero tatticismo il progetto di ricostruire il loro potere.

In sintesi sarebbero gli interessi strategici di USA e Arabia Saudita a tenere in piedi IS: gli americani per parcellizzare i Paesi sul modello libico e i sauditi per isolare l’Iran privandolo dei suoi alleati sciiti.

Ipotesi che spiega l’immediata guerra della Coalizione a guida saudita nello Yemen contro gli sciiti zaiditi Houthi (pari al 4% della popolazione).

La guerra fra il Partito di Unità Democratica e la Turchia

In soli tre giorni, il 28 giugno, le Unità curde di protezione Popolare maschili e femminili (Ypg e Ypj) hanno riconquistato Kobane e liberato la città di Tel Abyad, lungo il confine siro-turco, dall’ Islamic State (IS).

Le aree riprese dai curdi la settimana precedente dopo oltre un anno di assedio di IS erano state attaccate dai jihadisti di IS con assalti a sorpresa dopo aver attraversato il valico di Murstitpinar all’alba del giorno 25.

Secondo testimonianze, la frontiera dal lato turco era rimasta senza controllo di Polizia ed Esercito, dando via libera ai jihadisti che avevano fatto esplodere una moto al posto di frontiera e due autobombe nella periferia a Sud-Est di Kobane.

In merito, il Presidente Erdogan respinge le accuse e si dichiara pronto a inviare in Siria 18 mila soldati per creare una zona di sicurezza al fine di evitare la formazione di un’entità statale curda al confine con il suo Paese.

Il progetto, elaborato nell’autunno del 2014 e respinto dagli USA, prevede che l’Esercito confischi e occupi un corridoio lungo 110 km e largo 33 comprendente lo strategico valico di Jarablus che separa i cantoni di Kobane, a Est, verso l’Iraq, e Afrin, a Ovest. L’ipotesi manca dell’approvazione del Parlamento e viola la Costituzione turca perché priva di una Risoluzione ONU.

Contro questo progetto il PYD, principale Partito curdo in Siria, comunica alle Autorità turche che nel caso d’intervento militare nel Rojava le milizie curde sono pronte ad affrontare qualsiasi aggressione.

Rivolgendosi alla Comunità Internazionale, il PYD rappresenta che l’eventuale attività turca avrebbe ricadute negative locali, regionali e internazionali, complicherebbe la situazione in Siria e Medio Oriente e minaccerebbe sicurezza e pace a livello globale.

Il comandante del Partito dei Lavoratori Curdi (PKK), Murat Karavilan, sottolinea che un attacco a Rojava verrebbe considerato un attacco a tutto il popolo curdo e trascinerebbe la Turchia verso la guerra civile. Segnali in questo senso si coglierebbero da tempo.

Il Presidente Erdogan si è allontanato sin dall’inizio delle prime dimostrazioni in Siria dall’ex alleato Bashar al-Assad, contro il quale ha chiesto per mesi alla Coalizione a guida USA l’autorizzazione a realizzare una “buffer – zone” al confine con la Siria e una “no fly zone” per impedire a Damasco il volo nell’area confinaria.

Il popolo curdo, infine, non dimentica che la Turchia supporta logisticamente le formazioni jihadiste che combattono in Siria e che l’Esercito è rimasto a guardare i curdi di Kobane attaccati da IS e ha impedito il passaggio di loro Unità di rinforzo, bloccando tuttora gli aiuti umanitari. Tutto questo, mentre il leader Ocalan, dal carcere, continua a sostenere il “processo di pace” con Ankara, chiedendo non più l’indipendenza ma l’autonomia.

Al contrario, le Autorità turche, edulcorando le dichiarazioni del Presidente, sottolineano che l’obiettivo del progetto resta solo quello di respingere i militanti di IS dal confine turco-siriano.

La situazione resta ad alta instabilità.

Intanto, sul terreno con la liberazione di Tel Abyad i curdi sono a soli 50 km da Raqqa e hanno il collegamento diretto con Kobane, con un controllo territoriale dell’Ypg che si estende per 180 km da Ras al-Ain a Jarablus.

In questa ultima località i combattimenti sono ancora in corso e l’eventuale vittoria dei curdi consentirebbe la loro controffensiva verso Azez e Afrin, oltre l’Eufrate, con una frontiera di 300 km con la Turchia.

Il conflitto continua e continuerà.

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Donne curde combattenti, molto temute dall'IS. 'Donne coraggio'.

Donne curde combattenti, molto temute dall’IS. ‘Donne coraggio’.

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