RUSSIA E UCRAINA. Uno scenario in fieri….

RUSSIA E UCRAINA. Uno scenario in fieri….

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Lo stemma ufficiale del Servizio d’intelligence militare russo (GRU)

Un punto di vista sulla questione che minaccia la pace mondiale e ha rovinato i rapporti fra Mosca e l’Europa e che rischia invece di avvicinare forse troppo Atene a Mosca…

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

La Russia con la sua operazione in Ucraina dimostra una notevole e spesso sottovalutata capacità di adattamento alla nuova condizione geostrategica e geopolitica degli Stati che la circondano, sviluppando forze d’intervento rapide e altamente specializzate che le permettono di conseguire obiettivi limitati a corto raggio, ma in maniera molto efficace, impiegando una serie di operazioni che superano di gran lunga quelle adottate in Georgia e Cecenia.

L’intervento

Le operazioni sono state certamente studiate per molto tempo dagli strateghi del Cremlino. Molto poco è stato lasciato al caso nello scenario ucraino. Mosca ha subito provveduto a fornire ai guerriglieri una serie di abilità, competenze e del personale, che difficilmente sarebbero state ottenute nel breve periodo. Piccoli contingenti di forze speciali russe (spetsnaz), altamente addestrati, hanno affiancato le bande armate sin dall’inizio degli scontri. Questi operativi sono molto qualificati, preparati a operare in teatri dove sono presenti dei civili e a pensare come agire di conseguenza. All’apparenza, la natura strategica di queste operazioni potrebbe essere analoga a quella che della politica americana del win hearts and minds, sviluppata per le operazioni in Medio Oriente. Militari e agenti del GRU (Glavnoye razvedyvatel’noye upravleniye, Servizio informazioni delle Forze Armate russe) hanno portato avanti operazioni di confidence building tra la popolazione per reperire consenso, evitando rischiose e dannose azioni di ribellione da parte di civili. Per la Russia, è vitale operare nel massimo consenso della popolazione nell’Est ucraino per potersi concentrare su un solo nemico, il governo di Kiev.

Agenti dei servizi segreti hanno poi provveduto all’organizzazione di bande armate di auto-difesa tra i civili e al loro rifornimento con mezzi e armi. Le operazioni hanno visto, infatti, l’impiego di mezzi e uomini senza contrassegni, chiamati green men che sono considerati illegali secondo il diritto internazionale.

A livello tattico, una messa in sicurezza di obiettivi minori e secondari con azioni rapide e leggere hanno preceduto interventi su larga scala. Una volta assicurate le vie di rifornimento e i palazzi governativi locali, si è quindi passati alla fase di manovra, preceduta da attacchi di artiglieria pesante sulle posizioni ucraine. Un esempio ne sono le piccole ma continue e molto efficaci, incursioni da sud est e da est che hanno spinto il governo ucraino a firmare un “cessate il fuoco”, dopo il fallimento del primo dialogo sul tema a Minsk. Mosca ha poi utilizzato quest’ accordo per ottenere una prima legittimazione dei ribelli e per posizionare le forze per la fase di manovra offensiva a Settembre 2014. L’obiettivo primario era l’aeroporto di Lugansk. La tregua e l’aver stabilito una linea di contatto smilitarizzata, hanno permesso il riposizionamento dell’artiglieria la quale è stata impiegata nell’offensiva contro l’aeroporto suddetto. La struttura era stata progettata dai sovietici come un ostacolo strategico, in grado di resistere un attacco ingente. Comunque il governo centrale ucraino, non potendo e non volendo ingaggiare i russi in uno scontro aperto, ha deciso per un corridoio di evacuazione per i propri reparti preposti alla difesa della struttura, lasciando pochi uomini a presidiare la posizione.

La presa dell’aeroporto (esattamente come le operazioni estive di Novoazovsk e Ilovaisk) ha permesso ai separatisti di spingere per ottenere nuove concessioni territoriali. Nonostante gli ultimi accordi e il nuovo “cessate il fuoco” gli scontri proseguono, così come le rivendicazioni da parte dei miliziani filorussi di avere maggiore autonomia ed indipendenza da Kiev.

I teatri d’azione

Donetsk e Luhansk: questi territori rappresentano la chiave del piano di azione russo. Fino a quando esisterà uno Stato autoproclamato e sostenuto da Mosca all’interno dei confini ucraini, la NATO non accetterà il paese come membro restando evitando di arrivare al confine russo. I movimenti separatisti in queste zone all’inizio dell’estate del 2014 hanno ricevuto l’appoggio militare di Mosca, potendosi così dichiarare repubbliche indipendenti e garantire il controllo della parte orientale della regione al Cremlino. Le forze ucraine operano sempre nelle aree di Mariupol, Avdiivka e Pisky e l’artiglieria bombarda Donetsk. Nonostante la tregua, pare che gli scontri continuino al confine sud di Luhansk soprattutto nell’area sud di Pervomaisk. Inoltre si sono intensificate le attività terroristiche nelle zone ancora sotto controllo del governo ucraino.

Debaltseve: è un importante collegamento ferroviario tra Luhansk e Donetsk e sembra essere sotto controllo delle forze separatiste. Le operazioni di conquista dei ribelli sono state condotte sia da sud ovest sia da nord est, conquistando la città in breve tempo e lasciando alle truppe ucraine la possibilità di ripiegare verso Arteminsk. L’impiego dei veicoli corazzati russi e dell’artiglieria pesante è stato vitale per il successo dell’operazione. La perdita della città è stata logisticamente una grande sconfitta per gli ucraini poiché era uno degli ultimi baluardi strategici che l’esercito governativo aveva all’interno dei territori separatisti. Adesso le forze filorusse si trovano in una posizione molto avvantaggiata, avendo un collegamento ferroviario diretto tra la Russia e la nuova linea di contatto.

Maripuol: la tregua firmata a Minsk e il “cessate il fuoco” sono solo formalmente in vigore, in quanto Aleksandr Zakharchenko, capo delle forze separatiste di Donetsk ha dichiarato che: “Maripuol è un obiettivo strategico vitale, perché permetterebbe al territorio dell’auto-dichiarata repubblica un sicuro approvvigionamento di acqua potabile.” Lungo la città e parallela alla costa sud si trova l’autostrada H20, già oggetto di violenti scontri tra forze irregolari separatiste e soldati di Kiev. La città sarebbe un passaggio obbligato se forze ribelli decidessero di portare l’offensiva lungo la costa.

Slaviansk: questa città rappresenta una grande vittoria dell’esercito ucraino nello scenario bellico. Infatti, ad aprile, piccoli contingenti russi solamente con armi leggere, avevano preso il controllo dei palazzi governativi locali ma nello stesso mese il governo ucraino autorizzò un importante contrattacco, liberando la base di Kramatorsk con l’impiego di veicoli corazzati. A maggio, il governo lanciò un’offensiva su larga scala conquistando tutti e nove i checkpoint vicino alla città.

L’utilizzo di veicoli corazzati e la superiorità numerica sono stati i motivi principali del successo della missione. La conquista della città sembrò portare a una conclusione rapida del conflitto, perché l’offensiva governativa avvenne in maniera veloce ed efficace, ingaggiando gli avversari in maniera consequenziale e attiva. Tuttavia la presa di Slaviansk avvenne in un momento in cui sicuramente l’organizzazione, le capacità belliche e di fuoco dei ribelli erano assai minori rispetto a quelle di oggi, per cui adesso la guerra sembra essere ben lontana dalla fine, anche se la precedente impreparazione dei ribelli filorussi ha permesso la vittoria dei militari di Kiev.

 L’eccezione

La presa della Crimea, a differenza dei precedenti teatri, è avvenuta con un basso livello di violenza. Alle truppe ucraine era stato ordinato di non ingaggiare, salvo che non dovessero difendersi dal fuoco nemico. Ciò ha permesso l’accerchiamento in breve tempo delle basi militari ucraine da parte delle forze russe. La fanteria ha svolto quasi tutte le operazioni sul luogo. L’impiego di marina e aviazione è stato soprattutto a carattere preventivo e logistico. L’impiego di corpi speciali del GRU ha garantito di fare leva sulla comunanza etnica della popolazione russa. A questo va aggiunto che l’intelligence russa era cosciente che le potenzialità di offensiva da parte dell’Ucraina erano piuttosto limitate e la promessa mobilitazione delle forze sul territorio si è rivelata presto falsa non fermando in alcun modo l’avanzata di Mosca.

Gli scenari futuri

E’ molto difficile stabilire quale sarà e quando sarà la fine del conflitto. Agenzie d’intelligence e analisti di tutto il mondo producono costantemente scenari aggiornati sul possibile esito e sui desideri di Putin. Comunque i suoi piani rimarranno ancora segreti nel lungo periodo. Possiamo solo riportare una previsione teorica. Congelare il conflitto parrebbe una scelta abbastanza logica, considerando che la Russia ha già ottenuto quello che voleva, cioè bloccare l’adesione dell’Ucraina alla NATO grazie alla creazione di due stati auto-proclamatosi indipendenti (Repubbliche di Donetsk e Luhansk) e il controllo militare della parte più orientale del paese. Quindi Kiev, volendo evitare la disintegrazione territoriale, deve quantomeno ritardare il desiderio di aderire alla NATO e cercare una soluzione diplomatica alla crisi, come successo in Georgia nel 2008 con l’auto-proclamazione d’indipendenza da parte di Abkhazia ed Ossezia del Sud alla fine del conflitto, che ha impedito l’ingresso di Tbilisi nella NATO.

Inoltre, la scaltrezza russa, per quanto ingiustificabile, di minacciare i paesi Baltici, la Polonia e i Paesi scandinavi di azioni belliche, sta portando la stessa Alleanza Atlantica a sviluppare politiche di difesa più orientate a proteggere i propri membri nel Baltico o nell’Est Europa invece di un chiaro piano di adesione dell’Ucraina. Infatti, ogni decisione di ammetterla, sembra essere stata posticipata a favore di azioni volte a difendere gli alleati, creando, per esempio, una forza di reazione rapida di circa 6000 uomini, stanziata in Europa dell’Est e pronta a intervenire in 48 ore.

Inoltre il recente accordo con la Grecia per la costruzione del Turkish Stream, che bypassa l’Ucraina, sembrerebbe spostare l’asse d’interesse geopolitico ed economico verso il sud dei Balcani. Tuttavia non è chiaro quanto davvero la Grecia abbia interesse ad affiancarsi a una Russia in crisi economica e quanto invece quest’accordo con Putin sia solo un “ricatto” e una prova di forza con Bruxelles per “strappare” un accordo che allunghi i tempi di restituzione dei prestiti.

Il problema, però, è che il possibile desiderio di congelare il conflitto non sembra una soluzione attuabile nella crisi corrente. Le bande criminali sul territorio ucraino orientale sono ancora molte e Mosca deve fare i conti sia a Lugansk che a Donetsk con i sentimenti nazionalisti dei combattenti. I capi delle forze armate separatiste sono decisi ad andare fino ai confini amministrativi delle loro regioni e un’eventuale rottura con i gruppi armati significherebbe per Mosca una sconfitta, che non può proprio permettersi, “d’immagine” agli occhi del mondo.

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Il progetto del Turkish Stream

Il progetto del Turkish Stream

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