Guerriglia e insorgenza. Elementi psicologici e intimidazione nei conflitti a bassa intensità.

Guerriglia e insorgenza. Elementi psicologici e intimidazione nei conflitti a bassa intensità.

 

Una sintetica analisi di guerriglia e insorgenza e degli elementi psicologici in questo tipo di conflitti. La Setta degli ‘Assassini’: chi erano?

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

La differenza fondamentale tra un guerrigliero e un soldato regolare sta nelle motivazioni, che ne sorreggono la volontà anche nelle condizioni più difficili. L’insorgente trae le sue motivazioni dalla propria coscienza. Questo lo rende, in un conflitto di lunga durata, psicologicamente più forte di un soldato regolare.

Emblema dei Nizariti. Calligrafia sciita che simboleggia la 'Tigre di Dio'.

Emblema dei Nizariti. Calligrafia sciita che simboleggia la ‘Tigre di Dio’.

Il vigore di una qualsiasi unità militare sta nella creazione del gruppo e nella fiducia che i vari membri nutrono reciprocamente tra loro. Il gruppo, simile a una famiglia, è lo scudo che protegge tutti. Questa concezione è figlia delle dinamiche sociali e militari antiche che hanno permesso l’evoluzione da un combattimento di tipo individuale a quello in formazione.

Studiando il fattore “gruppo” vanno prese in esame quattro aree psicosociali: la leadership, l’addestramento, la motivazione personale e la socioterapia. La coesione dell’insieme dei combattenti è il risultato di situazioni individuali, la loro dinamica fa sì che questi elementi ne aumentino o diminuiscano la forza.

Il guerrigliero non si trova in una situazione stabile, vive costantemente in una continua situazione di stress emotivo. E’ proprio questa situazione ambientale ad aumentare la sua fiducia nel gruppo: tali processi si riscontrano anche in epoca antica, dove il fattore della leadership è decisivo.

La figura del comandante, nel mondo antico, consente di trascendere i limiti tribali della guerriglia, coagulando entità assai più vaste. Questo fattore disgregante, tuttavia, è meno influente in epoca contemporanea, dove l’ideologia oltrepassa il fattore collante di un singolo individuo e cementifica la comune resistenza nei confronti del nemico demonizzato.

Per l’Oxford Dictionary si può definire ideologia: “Un sistema d’idee e ideali, che sono alla base di una teoria della politica economica o di un sistema politico” definito come “l’insieme delle credenze tipiche di un gruppo sociale o individuale”. Comprendere l’elemento culturale insito nei fenomeni d’insorgenza è importante; permette di penetrare il sistema di valori dei guerriglieri e di poter vedere il mondo circostante con i loro stessi occhi.

Di notevole importanza è la percezione che il singolo ha del raggiungimento delle mete e la soddisfazione dei bisogni. La motivazione deve continuamente essere alimentata nel combattente. Questa consente all’individuo di adottare un comportamento adeguato in qualunque situazione.

'The defence of terrorism', scritto nel 1920

‘The defence of terrorism’, scritto nel 1920

Un’operazione di guerriglia può essere considerata come un atto di propaganda col fatto (tipologia di azione diretta molto usata soprattutto nel movimento anarchico fine del XIX e XX secolo) in cui il fattore psicologico della vulnerabilità è l’elemento imprescindibile al fine del raggiungimento della superiorità relativa.

L’uso dell’intimidazione all’interno di un conflitto a bassa intensità è fondamentale per alimentare esponenzialmente l’elemento ideologico. Questo si proietta sul nemico attraverso l’idea della propria vulnerabilità generando un effetto a cascata.

Lev Trockij, nell’opera The Defence of Terrorism, sottolinea che: “Intimidation is a powerful weppon of policy, both internationally and internally…” (L’intimidazione è una potente arma politica, sia a livello internazionale che interno). L’uso di questa proiezione della paura come sostegno a una strategia di lungo periodo è quindi la ragione d’essere di un atto terroristico o di guerriglia.

L’uso dell’intimidazione attraverso tecniche operative non convenzionali è presente già in età antica e medioevale. I Nizariti, o setta degli assassini, erano una tribù sciita della Persia orientale. Formatasi dal VII secolo d.C. fu in attività per tutto il medioevo, ma ebbe il suo periodo più florido dal 1094. All’interno degli ismailiti (corrente dell’Islam Sciita) si costituì una setta intransigente i cui membri, i “Fidawi”, erano noti col nome di “Assassini” sotto la guida di Hasan ibn al-Sabbah detto “Sheikh-el-Jebel” (vecchio della montagna). Il gran Maestro dotò la setta di rifugi assolutamente inviolabili; il più famoso conosciuto come il Nido dell’Aquila, era ad Alamuth, una piccola città arroccata su una montagna tra Teheran e il mar Caspio ed era considerata inespugnabile.

La fama della setta si sparse immediatamente per il tutto il Medio Oriente; una serie di omicidi coronati dal successo accrebbe il terrore e il rispetto della setta, che presto arrivò a minacciare gli interessi cristiani in Terrasanta.

Gli iniziati potevano salire la scala gerarchica solo addestrandosi e facendo propri gli Shura maomettani estremizzati da Hasan. L’Ordine collocava al grado più basso il Fedele, seguito dai Laici, dai Compagni e infine dai Maestri (Giovani e Anziani) che erano i più stretti collaboratori dell’unico Sommo Maestro. Il colore del loro abito era bianco e rosso; simbolo di purezza, coraggio e invincibilità. Lo stesso Marco Polo nel Milione rimase stupito delle pratiche particolari alle quali erano dediti gli adepti della setta.

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La ritualità con la quale era perpetrato l’assassinio, produceva un effetto intimidatorio senza eguali, dato che tutte le vittime perivano trafitte da pugnali. L’omicidio si connotava come un atto sacrificale. Gli antichi culti di morte dell’oriente trovavano il loro sfogo all’interno dell’Islam e l’omicidio diventava non solo un atto di rispetto nei confronti del Maestro, ma un’azione sacrale, che santificava chi se ne macchiava. Sotto il comando di Hassan gli elenchi ismaeliti ricordano circa cinquanta omicidi, finalizzati a colpire personalità avversarie e a creare un clima di terrore.

L’intimidazione, inoltre, è la causa di uno dei primi problemi che incontra un soldato regolare nei conflitti a bassa intensità ovvero il cambiamento nei processi decisionali all’interno del ritmo della battaglia.

Gli ufficiali sono di norma addestrati a ritmi operativi fissi. Nelle operazioni di antiguerriglia questi cicli operativi sono però inadeguati, poiché la flessibilità di questa forma di combattimento richiede tempi di preparazione e operatività che variano continuamente. Le continue situazioni di stress mentale dovute alla costante minaccia di un nemico ritenuto invisibile comportano l’insorgere tra le forze regolari di patologie e di finti sintomi legati alla paura della morte.

In tal caso alcuni militari possono cercare deliberatamente di simulare una malattia o un eccessivo affaticamento. Una patologia molto presente è quella dell’autolesionismo: la decisione del soldato stesso di procurarsi lesioni per evitare di tornare in azione.

Ultimo fattore di studio del comportamento è la socioterapia ovvero il fattore di scarico delle tensioni accumulate. Queste portano all’imposizione di comportamenti e regole che favoriscano un ricambio delle truppe in prima linea, consentendo il riposo del sistema nervoso e la prevenzione d’insorgenza di patologie da stress. Nella guerriglia tale processo è quasi impraticabile anche perché il numero dei guerriglieri è ridotto e vivendo in una totale clandestinità con fronti mobili non si ha la possibilità di un ricambio di uomini adeguato a questa esigenza, ma l’attuazione di questo processo avviene tramite la condivisione delle proprie esperienze con il gruppo che le assorbe e alla turnazione della banda guerrigliera in zone meno calde.

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