I riflessi della Primavera Araba sulla condizione della donna in Medio Oriente

I riflessi della Primavera Araba sulla condizione della donna in Medio Oriente

Una sintetica interessante panoramica dell’attuale situazione femminile in Medio Oriente. C’è ancora molto da fare in quella regione: alcuni Stati hanno già fatto numerosi progressi; altri devono farli. L’avanzata dell’IS pregiudica però l’avanzamento dei diritti femminili visto che nell’autoproclamato Califfato si sta tornando a prima del Medio Evo….quasi a prima di Maometto, cioè prima della Legge Coranica.

Da non dimenticare: le donne sono una grande forza!

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

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I diritti umani hanno sesso neutro, legati all’essere umano, ma c’è un innegabile gap storico tra l’uomo e la donna basato su una pretesa superiorità maschile radicata e diffusa tanto in occidente (ieri più di oggi), quanto in oriente (ieri come oggi).

Il concetto d’uguaglianza va oltre il pari trattamento delle persone; trattare in modo identico soggetti che si trovano in situazioni di diseguaglianza significa perpetuare piuttosto che eliminare l’ingiustizia.

Le ineguaglianze, a parte quelle ataviche, sono cresciute nei decenni scorsi come risultato di un aumento della povertà, problema generale e non esclusivo del terzo mondo, una limitata rappresentazione politica intesa come disparità tra sessi, tagli governativi nelle politiche sanitario-educative.

Le donne sono le vittime invisibili di tutte le atrocità umane che si sono succedute in questi ultimi decenni di storia, e a parlarne si rischia di rimanere intrappolati in gabbie ideologiche.

La maggior parte delle vittime di guerra sono donne e bambini, la maggior parte dei rifugiati e degli sfollati sono donne e bambini, la maggior parte dei poveri nel mondo sono donne e bambini e la maggior parte di queste donne combattono quotidianamente per cercare d’allevare al meglio e proteggere i loro bambini.images-1

Donne espressione delle relazioni storicamente ineguali tra i sessi, della violenza fisica, sessuale e psicologica nell’ambito della famiglia e nella comunità, perpetrata e tollerata dallo Stato. Atti di violenza contro le donne includono anche il terrorismo, la sterilizzazione e l’aborto forzato, l’uso coercitivo dei mezzi anticoncezionali, la soppressione del feto femminile, le violazioni dei diritti in situazioni di conflitto armato.

La donna, nella storia, ha sempre avuto un ruolo subalterno rispetto all’uomo, relegata a compiti giudicati meno allettanti, e ciò ha contribuito non poco a creare un abisso tra i sessi, uno strappo che faticosamente nel corso dei secoli, soprattutto nell’era moderna e nel mondo “civilizzato”, s’è cercato di ricucire.

Verso la metà del diciannovesimo secolo, quello della prima rivoluzione industriale, si diffonde tra le donne l’interesse per la politica e le successive lotte porteranno all’ottenimento del diritto al voto. Diritto raggiunto in quasi tutti i paesi europei all’inizio dello scorso secolo; tuttavia, nell’immediato dopoguerra, esistevano ancora una gran quantità di leggi che discriminavano le donne nel lavoro e in famiglia.

Nacque così, per sostenere le rivendicazioni femminili, tra gli anni sessanta e settanta, il femminismo. Definire il femminismo non è facile, anche se ci sono molti esempi di letteratura femminista che sono rilevanti in materia di guerra, pace e cultura e che contribuiscono positivamente, quando rigorosamente distinti da altro materiale intriso di un estremismo deleterio, alla comprensione di una battaglia condivisibile.

E in Medio Oriente? Certamente la situazione della donna è molto più complicata. L’emancipazione femminile in Medio Oriente ha origine con la riforma ottomana del Codice di famiglia del 1917; da quell’anno le donne in alcuni paesi mediorientali e africani hanno iniziato a ottenere alcuni miglioramenti nel campo dei diritti civili, comunque ben lontani dal raggiungimento di una parità di genere.

images-3Nell’ultimo Gender Gap Report pubblicato dal World Economic Forum, il primo paese mediorientale a figurare nella lista mondiale per equità di genere -escluso Israele- sono gli Emirati Arabi al 109° posto.

Generazioni di donne che continuano a lottare: le palestinesi contro una società patriarcale, le egiziane contro la difficoltà di svolgere attività politica e sindacale, le turche contro l’omofobia del governo, le saudite per veder riconosciuti i propri diritti tra cui quello di guidare la macchina, le siriane, le libiche, le irachene, le yemenite contro le violenze, i rapimenti e gli stupri in una guerra senza fine, le curde per la libertà del loro popolo, le algerine contro l’introduzione di nuove leggi discriminatorie.

Il vento della primavera araba sembra non aver portato buoni frutti per l’universo femminile e le speranze delle donne, che sono state centrali nelle rivolte del 2011, non sono state pienamente realizzate.

A oggi in Medio Oriente meno del 30% della popolazione femminile lavora (70% in Oriente e 65% in Europa), con le percentuali migliori in Egitto, Giordania, Tunisia e Marocco.

Le nuove costituzioni in Tunisia (in assoluto la migliore in tutto il panorama mediorientale dal punto di vista femminile), in Egitto post Mubarak, in Giordania, in Marocco e in Libia garantiscono, seppur con diverse gradazioni, i diritti a entrambi i sessi.

In Tunisia è stata completamente abolita la poligamia e fortemente limitata in Egitto, in Marocco e in Algeria; in questi paesi, all’interno del matrimonio, uomo e donna hanno stessi diritti e obblighi; in Marocco le donne possono predicare i precetti islamici; in molti paesi la presenza delle donne nella vita pubblica è in ascesa.

Tuttavia permangono grossi limiti imposti dalla religione e dall’interpretazione del Corano, nonché da secolari tradizioni familiari e tribali dure da scardinare.

La shari’a continua dunque a scandire il sistema sociale mediorientale, nonostante la stragrande maggioranza dei paesi abbia adottato un sistema di diritto che si richiama, nella sua ossatura, a quello occidentale.

Pertanto, il diritto islamico, che ha la sua fonte nel Corano e nella Sunna è, di fatto, incontestabile. E nel diritto islamico lo sbilanciamento a favore dell’uomo nei confronti della donna assume una valenza particolare in virtù del fatto che la discriminazione non è solo il risultato dei comportamenti della società, ma ha un fondamento normativo. Basti pensare al costante richiamo, nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo nell’Islam e nella Carta araba dei diritti dell’uomo alla shari’a, segnale della presenza di un dualismo conflittuale, tra l’esigenza di modernità e il rispetto della tradizione, che non trova piena soluzione.

Per esempio, le donne arabe hanno difficoltà a svolgere un’attività imprenditoriale perché è complicato spostarsi; in Giordania e in Egitto una donna ottiene il passaporto solo con il consenso da parte del marito.

Sorvoliamo sulla parità retributiva, sulla discriminazione sessuale e sulle molestie sessuali, concetti ancora troppo astratti in alcune realtà.

Il quadro tracciato della condizione della donna in Medio Oriente non è confortante, ma non si possono negare i miglioramenti tangibili, seppur lenti e con battute d’arresto, avvenuti in pochi anni.

Di buon auspicio la recente nomina di Zekra Alwach, già Direttrice Generale al Ministero dell’Insegnamento iracheno, a Sindaco di Baghdad: primo sindaco donna di una grande città all’interno di tutta la Lega Araba.

L’acquisizione dei diritti da parte delle donne in Medio Oriente è un lungo percorso ad ostacoli non solo di natura politica, ma anche economica, sociale, giuridica e, soprattutto, culturale.

Per l’appunto, il problema più grosso è riuscire a scardinare la tradizione, la consuetudine e l’ignoranza: gli abusi in famiglia e le percosse date alle mogli sono considerate “normali” per il semplice fatto che così si è sempre fatto e chi subisce la violenza non si ribella perché semplicemente disconosce tale possibilità.

Prendiamo in prestito le parole dello scrittore Pablo Neruda “… potranno tagliare tutti i fiori, ma non potranno fermare la primavera… ” quale espressione di speranza che alcuni germogli portati dalle rivoluzioni abbiamo attecchito sul tessuto sociale di alcuni paesi mediorientali e che in futuro possano fiorire e garantire ulteriori e nuovi spazi di libertà per le donne.

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