Il Terrorismo in conflitti a bassa intensità

Il Terrorismo in conflitti a bassa intensità

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Riflessioni sintetiche sul …terrorismo…

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

Il termine “terrorismo” deriva dal francese terrorisme, la radice trae la sua origine da: “terror” (grande paura), a sua volta associato al verbo latino terrere (spaventare). L’accezione negativa della parola si è però consolidata solamente dalla fine del secolo scorso, poiché fino alla fine del XIX secolo il vocabolo non possedeva quella connotazione antigovernativa che oggi universalmente gli viene riconosciuta. Un celebre aforisma britannico recita: “one man’s terrorist is another man’s freedom fighter” (chi per alcuni è un terrorista, per altri è un combattente per la libertà). Queste parole ci fanno comprendere come il concetto di terrorismo sia un’idea soggettiva e non categorizzata in senso assoluto.

Il fattore che accomuna le organizzazioni eversive è che sono caratterizzate dalla segretezza e conseguentemente da una prudenziale limitatezza numerica dei suoi membri. In molti casi i terroristi si considerano i precursori di un esercito di futura costituzione, pertanto, s’identificano con lo status di soldati che combattono una vera e propria guerra rivoluzionaria contro un nemico associato, dai suoi membri, a un male assoluto da debellare.

Data la forte connotazione soggettiva di questo fenomeno, per averne un’idea scevra da qualsiasi dottrina ideologica, si deve per prima cosa indagarne la sfera operativa. Il terrorismo opera attraverso pattern quali: sabotaggi, sequestri, pestaggi, attentati mirati, omicidi e stragi indiscriminate.

Carlos Marighella

Carlos Marighella

A sostegno di questa tesi, Carlos Marighella politico e rivoluzionario italo brasiliano del XX secolo, sostiene nella sua opera sulla guerriglia urbana che: “L’atto terroristico, a parte l’apparente facilità con cui può essere eseguito, non è diverso dalle altre azioni di guerriglia il cui successo dipende dalla pianificazione e dalla determinazione. E’ un’azione che il guerrigliero deve eseguire con la massima calma e determinazione.”. Possiamo, quindi, iniziare a inquadrare il fenomeno del terrorismo come una tipologia operativa tipica della guerra non convenzionale.

La guerriglia è una soluzione tattica (un metodo) che si colloca all’interno di una strategia di lunga durata. Quando si analizza una tale tipologia di conflitto, non si deve fare riferimento a questa come a uno scontro di tipo asimmetrico. Una guerra di tipo asimmetrico non si traduce per forza in guerriglia. E’ possibile, infatti, che i contendenti abbiano una quantità di assetti e risorse differenti, ma la loro strategia preveda di affrontarsi attraverso tattiche convenzionali.

La guerra di fuoco, per usare l’espressione coniata da Polibio, è assimilabile a un tipo di conflitto armato non convenzionale, in cui uno dei due contendenti non è organizzato operativamente o logisticamente per combattere alla pari. Tale archetipo produce nell’attore che si affida alle tipologie di scontro convenzionali quello che può essere chiamato uno squilibrio del COG (Centro di gravità Militare).

Per comprendere a pieno la sclerotizzazione del centro di gravità militare bisogna fare riferimento al concetto di attrito e frizione. Per Clausewitz, questo concetto, costituisce l’inevitabile irrazionalità che s’insinua nei movimenti delle grandi masse, degli uomini e nella linea di comando, rendendo inutilizzabili i piani militari.

La guerriglia con la sua imprevedibilità amplifica esponenzialmente il concetto di attrito, scompensando al pari di un virus in un organismo, quelle che sono le potenzialità difensive di un esercito regolare. Per il teorico prussiano in una strategia convenzionale la difesa è più sostenibile dell’offesa, perché si può far affidamento su un maggior numero di risorse che producono come conseguenza un più grande accanimento nella difesa.

Nella scienza militare convenzionale a una maggior difesa si ovvia, pertanto, con un aumento esponenziale delle forze (uomini, mezzi, tecnologia) basando il proprio calcolo su modelli di grandezze determinate e producendo, a volte, un dispendio di risorse inutile al fini della campagna.

Le forze non convenzionali sconvolgono questa teoria, perché invece fondano la loro struttura su modelli di calcolo a grandezza variabile seguendo quella che è la curva della crisi del conflitto. In una campagna militare, infatti, le condizioni delle proprie risorse e di quelle del nemico sono sempre in continuo mutamento. Tale calcolo è condotto dalle forze non convenzionali al fine di poter conseguire quella che è chiamata supremazia relativa.

La superiorità relativa è una condizione che si genera quando un reparto militare che attacca, generalmente piccolo, consegue un vantaggio decisivo su una formazione nemica più grande o meglio difesa. Solitamente questa condizione si ottiene attraverso alcuni elementi quali un volume di fuoco maggiore, l’elemento della sorpresa, tecniche innovative e un miglior utilizzo delle capacità d’intelligence nella fase della pianificazione.

In una crisi il raggiungimento della superiorità relativa non costituisce però la fine delle ostilità, perché è solo una situazione transitoria. Questa va sostenuta, è per tale motivo che negli eserciti più moderni esistono degli assetti che sono costituiti proprio con la funzione di supportare quelle piccole formazioni che operano in ambito non convenzionale.

Se per un esercito regolare che si avvale di nuclei d’intervento non convenzionali, esistono dei reparti con il compito di ausilio, per le organizzazioni terroristiche che operano in regime di clandestinità e con assetti limitati, la sostenibilità della superiorità relativa è affidata per la sua interezza a quella condizione psicologica che è chiamata intimidazione.

L’atto terroristico, in sintesi, non può quindi essere letto come un episodio a se stante. Dev’essere valutato all’interno di una strategia di lunga durata, per permetterne una valutazione tale da consentire agli analisti ipotetiche previsioni sullo svolgersi del conflitto.

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