TERRORISMO. LA GUERRA DEI DRONI. A margine dell’uccisione di Giovanni Lo Porto…e altri.

TERRORISMO. LA GUERRA DEI DRONI. A margine dell’uccisione di Giovanni Lo Porto…e altri.

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Un’analisi lucida, esaustiva ma sintetica di quel che accade e perché…perché ci sono ‘danni collaterali’? Che significa tutto questo…da dove ha origine? La ricostruzione della situazione attuale con i conflitti in atto.

Ricordiamo in questo modo sobrio e attento, senza retorica Giovanni Carlo Lo Porto.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini                                                        

Solo il 23 aprile in Italia si è appreso che Giovanni Lo Porto, sequestrato da Al Qaeda nel 2012, è stato ucciso a gennaio del 2015 da un drone USA nell’area tribale del Waziristan al confine fra Afghanistan e Pakistan in un’operazione finalizzata a colpire due americani inseriti nell’elenco dei terroristi approvato dal Presidente.

Giovanni Lo Porto, siciliano di 38 anni, era impegnato nell’O.N.G tedesca “Welt Hunger Hilfe” (Aiuto alla Fame nel Mondo) nella ricostruzione di un’area in Pakistan.

La guerra dei droni con il corollario di numerose innocenti vittime civili – indicate con il singolare eufemismo di “danni collaterali” – è da qualche tempo un dato acquisito dall’opinione pubblica statunitense. Anzi ne è sostenuta, come risulta dalle dichiarazione del senatore repubblicano Lindsay Graham “Si chiama guerra e in guerra i danni collaterali sono inevitabili..”.

Non mancano le critiche di organizzazioni come “Reprieve” che nel “Rapporto sulle violazioni estreme di diritti umani” calcola come i raid uccidano in media 28 altre persone prima di colpire l’obiettivo. “Amnesty International” e “American Civil Liberties Union” chiedono al Presidente di scusarsi per la “ dirty war” (sporca guerra) combattuta in Afghanistan, Pakistan, Yemen, Gaza, Siria, Iraq e altrove.

Sono davvero “inevitabili” nella guerra dei droni i “danni collaterali”? E chi sono i terroristi, dei quali non esiste ancora una condivisa definizione internazionale?

Il bilancio della “guerra al terrorismo” condotta dal 2001 è nell’ordine di milioni di morti ma ancora impreciso. Il bilancio geostrategico è noto.

Dal 2001, Usa e alleati iniziano guerre in Afghanistan, Iraq, Libia, Mali e hanno presenze attive in Sahel, Pakistan, Siria, Yemen, Sud Sudan, Somalia.

In Afghanistan, gli USA che a dicembre 2014 avevano ritirato le truppe lasciando solo nove mila soldati ora riposizionano altri militari per la situazione instabile a livello economico, sociale e di sicurezza, dopo le richieste di Kabul, incapace di contrastare i Taleban.

Iraq e Siria vivono una guerra civile che ha coinvolto anche il Libano e hanno perso gran parte dei rispettivi territori caduti nelle mani dell’Islamic State of Iraq and Sham (ISIS).

La Libia non esiste più. Divisa in Tripolitania, Cirenaica e Fezzan, ha due Governi e due Parlamenti in guerra fra loro, centinaia di milizie indipendenti, la presenza di ISIS a Derna, Sirte e Benghasi.

Mali e, più recentemente, Yemen sono in guerra civile dopo gli interventi della Francia nel primo Paese (gennaio 2014) e di Arabia Saudita e una coalizione di 10 Paesi nel secondo (marzo 2015).

Il Sud Sudan, divenuto indipendente dal 9 luglio 2011, dopo decenni di guerra civile con Khartoum che ne sfruttava con USA e poi con Cina le ricchissime risorse petrolifere, è, di nuovo, dal 13 dicembre 2013 in guerra per conflitti interni e le intrusioni degli interessati Paesi, sensibili alle sue risorse energetiche. Il “più giovane Stato del mondo” è sull’orlo del collasso.

La Somalia, in guerra dal 1991, è uno Stato fallito che da anni insegue i suoi stessi “pirati” e il crescente jihadismo dei militanti Shabaab, obbedienti a ISIS e autori di attentati anche in Kenya e Uganda.

L’intera fascia sahelo-sahariana diventa dopo la devastante guerra USA/NATO in Libia (marzo – ottobre 2011) la base ideale per tutte le formazioni combattenti, a cominciare da “Al Qaeda In the Islamic Maghreb” (AQMI), che operano in Algeria, Marocco, Niger, Ciad, Nigeria, Mali.

In Pakistan i Taleban, divisi in diverse organizzazioni combattenti, hanno raggiunto picchi di violenza inarrestabile.

Condoleezza Rica

Condoleezza Rica

Tutto ciò è la risultante della teoria – più volte richiamata – del “caos costruttivo”, evocata da ultimo nel 2005 dall’allora segretaria di Stato Condoleezza Rice per spiegare la politica del Presidente nella regione e annunciare un futuro prossimo che avrebbe costruito la democrazia.

Dieci anni dopo, il caos di Condoleeza si è esteso, proprio come voleva la dottrina presidenziale al “Grande Medio Oriente”, dal Pakistan al Sahel.

Si ripete ancora che il caos si è visto ma la costruzione no.

I fatti.

Decine di migliaia di civili sono vittime di “bombe mirate e/o intelligenti”, droni, furia di “commandos” speciali, arresti arbitrari, torture, sequestri guidati importanti Paesi Occidentali.

Feste di matrimonio, funerali, feste per la nascita di bambini sono bombardate perché ritenute raduni di terroristi.

Il nemico è de-umanizzato, diventa minaccia esistenziale e va contrastato con ogni mezzo, oltrepassando i confini della legislazione internazionale e le Convenzioni sui Diritti dell’Uomo.

Resta in bilico la bozza di accordo sul nucleare raggiunta il 2 aprile a Losanna dall’Iran con Gruppo 5 P + 1 (i 5 membri permanenti del Consiglio di Sicurezza ONU) per le proteste di Israele (che ha la bomba atomica dagli anni’60 e non aderisce all’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica), Arabia Saudita e repubblicani USA.

Passano nel silenzio generale le bombe atomiche in possesso di Pakistan e India (non aderiscono all’AIEA) e le iniziative di Turchia e Arabia Saudita che pubblicamente dichiarano l’intenzione di costruire o acquistare un programma nucleare.

Inoltre, sin dall’ottobre 2014, solo il New York Times documenta il piano presentato dall’Amministrazione del Presidente al Pentagono che prevede la costruzione di 12 sottomarini da attacco nucleare, 100 bombardieri strategici e 400 missili balistici intercontinentali con base a terra. Programma che secondo lo Studio del Monterey Institute verrà a costare circa mille miliardi di dollari come spesa nel periodo 2024 – 2029.

L’accelerazione della corsa agli armamenti militari vanifica le intese sul disarmo stabiliti dal “Trattato Start” firmato da USA e Russia nel 2010. E spinge Russia e Cina a potenziare le rispettive forze nucleari per neutralizzare lo “scudo antimissili” che gli USA stanno realizzando per ottenere la capacità del “first strike” nucleare senza essere colpiti dalla rappresaglia.

La situazione oggi.

ISIS sta riproducendo nel nome dell’Islam moduli di combattimento già utilizzati dagli Almoravidi dell’XI secolo che imposero in Spagna la sharia con la spada e più recentemente imitati in Algeria dal “Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento” (GSPC) negli anni ’90 (la decapitazione dei monaci di Tibhirine,1996) e nei primi anni del 2000 da Boko Haram nigeriano.

La differenza fra oggi e il passato è che un tempo anche i cristiani usavano gli stessi metodi degli attuali fondamentalisti islamisti. E non solo nelle Crociate ma anche, nel tempo, alla conquista dell’America, dove, come riferisce Cristoforo Colombo nel suo Diario di Bordo, “mettemmo in fuga quella moltitudine di ignudi e indifesi” che erano 7 milioni di persone all’arrivo dei conquistatori e ne resteranno solo 15.600 sedici anni dopo. Questo avveniva per condurli alla fede con il battesimo mentre ne acquisivano la ricchezza.

Questi metodi si rinnovano nel colonialismo che ha introdotto un’interpretazione sui generis del cristianesimo in un sistema di istituzioni: democrazia, mercato, tecnologia.

Ritorno al passato? Scontro di civiltà? Si ritiene di no.

La domanda è: ci può essere un rapporto fra distruzione di Somalia, Iraq, Libia, Siria, Mali e l’ascesa di ISIS? E tra gli “omicidi mirati” e i “danni collaterali” e l’odio contro l’Occidente?

Graham Fuller

Graham Fuller

Dal libro di Graham Fuller, già consulente della CIA e specialista dell’Islam “Yes, It is islamic Extremism – But Why?” (22 febbraio 2015, http://grahamefuller.com) si riportano le sintetiche conclusioni:

“Esistono…. buone ragioni al di là dell’Islam e della religione per cui i rapporti tra Occidente e Medioriente sono cattivi..:

crociate.. imperialismo, colonialismo, controllo occidentale sulle risorse energetiche mediorientali, sostegno attivo alle dittature filooccidentali, costanti interventi politici e militari occidentali, frontiere ridisegnate, creazione per mano dell’Occidente dello Stato di Israele, invasioni e guerre statunitensi…

Niente di tutto questo ha alcun rapporto con l’Islam… (anche se) le reazioni della regione sono.. in termini religiosi e culturali… (perché) in ogni grande scontro si cerca di difendere la propria causa con il più elevato modello morale…”.

A supporto della valutazione esposta resta una singolare indicazione.

L’ex colonnello dei servizi segreti dell’Aeronautica di Saddam Hussein, Samir Abd Muhammad al- Khlifawi (Haji Bakr) imprigionato dagli USA nel 2003 a Camp Bucca e ad Abu Ghraib e uscitone solo nel 2008, aveva conosciuto nel circuito carcerario Abu Musab al-Zarkawi e Abu Bakr al-Baghdadi, con i quali aveva stretto forti legami.

Trasferitosi ad Aleppo, in Siria nel 2012, Haji Bakr apre gli uffici della “Dawah”, un’organizzazione caritatevole, nella quali istruisce giovani su tecniche di intelligence per destabilizzare e conquistare un Paese, spiega i piani per organizzare finanza, scuole, asili, mezzi di comunicazione e trasporto.

Infine, addestra al combattimento in improvvisati campi, volontari provenienti da Iraq, Tunisia, Arabia Saudita, Turchia, Egitto, Giordania, Indonesia, Europa, Cecenia e Uzbekistan.

Nel suo progetto di rivincita, sin dal 2010 Haji Bakr, come capo del circolo degli ex Ufficiali iracheni, designa come leader del nascente Califfato Abu Bakr al-Baghdadi, definito “nazionalista e non un islamista” e religioso quanto bastava per attrare i giovani conferendo al gruppo una dimensione religiosa. Haji Bakr viene ucciso nel gennaio 2014 a Tal Rifaat da militanti dell’Esercito Siriano Libero che non sapevano neanche chi fosse.

Solo recentemente, dalla documentazione trovata nella sua casa siriana a Tal Rifaat, e pubblicata sulla rivista tedesca “Spiegel” (aprile 2015) si realizza la valenza di schemi, elenchi, programmi e progetti che descrivono le tecniche per la graduale destabilizzazione e conquista di un Paese. E tra le carte e schemi non c’è neppure una copia del Corano, il libro che ogni fedele musulmano dovrebbe avere.

Se ciò non basta, va sempre rammentato che, in tutto il mondo, l’intera leaderhip religiosa, sunnita e sciita, sin dall’inizio dell’insorgere dell’ISIS ne ha condannato l’attività dichiarando il movimento fuori dall’Islam e dall’ “Umma”, la comunità globale in cui si riconoscono i musulmani.

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