TURCHIA. STRATEGIA REGIONALE

TURCHIA. STRATEGIA REGIONALE

La Turchia continua ad essere un elemento di grande importanza nell’equilibrio della regione strategica, ancora di più ora con l’avanzata dell’ISIS, la resistenza dei curdi che chiederanno di sicuro alla comunità internazionale, nel tempo, maggiori riconoscimenti per la loro autonomia se non la creazione di uno Stato indipendente.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini       

Ocalan

Ocalan

Le elezioni parlamentari di giugno spingono la Turchia alla ricerca di un consenso maggiore nella regione mediorientale.

All’inizio di marzo, per la prima volta viene letto in diretta televisiva e in presenza di rappresentanti del Governo turco uno storico appello di Abdullah Ocalan, Presidente del Partito dei Lavoratori del Kurdistan. Dal carcere di Imrali dove Ocalan è rinchiuso dal 1999 “chiede al PKK di tenere un Congresso straordinario in primavera ..per il disarmo…verso una pace definitiva”.

Altre analoghe iniziative di Ocalan non hanno ricevuto dalla Turchia alcun tangibile segnale nonostante le tregue rispettate dai curdi che hanno ripreso nel 2014 la lotta armata in un conflitto che ha già provocato più di quarantamila morti.

In realtà, sul terreno la posizione di Ankara non appare rivolta alle decisioni primaverili dei curdi ma al riavvicinamento con il “Consiglio di Cooperazione del Golfo” i cui pregressi contatti sono appannati sin dall’inizio della crisi siriana nel 2011.

All’inizio delle rivolte arabe del 2010-2011, il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan si è avvicinato ai Fratelli Musulmani contando sui loro successi in Tunisia, Egitto e Marocco e ai significativi risultati elettorali in Algeria, Giordania e Libia. Era confortato anche dai ripresi rapporti dell’Egitto con l’Arabia Saudita e gli Emirati, in particolare con il Qatar.

La caduta dei Fratelli Musulmani in Egitto con il colpo di Stato del 3 luglio 2014, l’arresto del Presidente Morsi e di tutta la leadership del Partito/movimento dichiarato “terrorista” e il successivo indebolimento della Confraternita in Tunisia, Algeria e Giordania hanno isolato la Turchia.

Nei giorni immediatamente successivi alle dichiarazioni di Ocalan, Erdogan si è recato in Arabia Saudita il cui nuovo re, Salman, condivide l’aggressiva politica turca nei confronti di Siria e Iran, esponenti della “mezzaluna sciita” che comprende anche Iraq, Libano e le formazioni “Palestinian Islamic Jihad” (JIP) e “Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina – Comando Generale” (FPLP-CG).

Il presidente della Turchia Erdogan

Il presidente della Turchia Erdogan

L’ ”Asse sunnita”, con epicentro nel CCG, è ostile agli sciiti e conta sulla rinnovata convergenza di correnti e istituzioni wahabite contro Iran e alleati e su un Esercito super-armato.

Riyadh ha ripreso eccellenti rapporti con l’Egitto, che supporta a livello politico, economico e di sicurezza, e ha interesse a trovare nella Turchia un altro partner in luogo di un avversario.

Subito dopo la visita del Presidente turco in Arabia Saudita, l’Emiro del Qatar Sheikh Hamed bin Khalifa al- Thani ha incontrato ad Ankara Ergogan.

Nei colloqui l’Emiro ha sottolineato la stretta alleanza durante il conflitto siriano e le rivolte arabe e ridato respiro politico alla comune scelta di favorire le formazioni di opposizione alla Siria.

Rimane in bilico la posizione turca nei confronti dei curdi. La nuova e totale apertura di Ocalan non ha mutato finora l’atteggiamento ostile della Turchia.

E i curdi, specie quelli del PKK, non perdonano ad Ankara non solo l’assenza ma addirittura l’ostilità durante la loro lotta contro l’Islamic State of Iraq and Sham (ISIS).

In particolare:

  • mentre i militanti dell’Unità di Protezione Popolare, braccio armato del Partito democratico Unito (Pyd), a Kobane erano impegnati contro ISIS, i carri armati turchi sostavano lungo la linea confinaria senza intervenire e anzi impedivano ai curdi iracheni di raggiungere i compagni in battaglia;
  • l’Esercito turco ha attaccato più volte la popolazione curda lungo il confine per consentire il transito di militanti e armi dell’ISIS.

Ma quello che i curdi non dimenticheranno mai è l’assassinio delle tre attiviste curde uccise a Parigi nel gennaio 2013. Vennero uccise Sakine Cansiz, fra i fondatori del PKK, Fidan Dogan e Leyla Soylemez. E lo stesso mese di gennaio, i francesi arrestarono Omer Guley, interprete e autista di Sakine. Guley si era infiltrato da anni nel movimento e avrebbe operato su mandato dell’intelligence turca legata a Fetullah Gulen, interessato a sabotare i colloqui di pace iniziati dall’allora Premier Erdogan con Ocalan.

La frattura insanabile tra il Presidente e Gulen iniziata nel 2014 non cambierà la posizione curda se Erdogan continuerà a ignorare le richieste del Congresso Straordinario curdo di primavera.
Le elezioni di giugno potrebbero spingere i Presidente a tangibili riconoscimenti dei diritti curdi.

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