Una sintetica panorama della posizione del Qatar nell’attuale politica mediorientale complessa e convulsa
Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini
Il Qatar, un piccolissimo emirato incastonato nella penisola arabica, confinante con l’Arabia Saudita e circondato dal golfo Persico, semisconosciuto sino a pochi lustri fa, considerato un paese povero e senza importanza strategica al cospetto delle altre monarchie del Golfo, negli ultimi anni è entrato di prepotenza nello scenario del variegato scacchiere mediorientale.
In realtà il Qatar non è stato mai un paese povero poiché già a cavallo degli anni cinquanta e sessanta vantava un reddito pro capite superiore ai trentacinque mila dollari, ma sembrava essere destinato ad avere un ruolo marginale e, in proiezione massima, divenire nel corso degli anni un semplice satellite dell’Arabia Saudita.
Le cose sono radicalmente mutate nel corso degli anni novanta, in coincidenza con la realizzazione di un impianto per l’estrazione del gas presente in grande quantità in un giacimento al largo delle coste qatariane.
Nonostante vent’anni fa il gas era considerato poco conveniente a causa dei costi elevati per la sua estrazione, l’Emiro al Thani decise di investire; il risultato è stato una straordinaria crescita economica basata proprio sui ricavi provenienti dallo sfruttamento del gas.
In poco più di tre lustri il Qatar è divenuto il primo esportatore mondiale di gas liquido ed il suo Prodotto Interno Lordo è lievitato da meno di 10 a quasi 190 miliardi di dollari.
L’Emirato detiene le terze riserve a livello mondiale di gas, dietro solo alla Russia e all’Iran, con una quantità di più di 800 mila miliardi di metri cubi, inoltre possiede riserve petrolifere stimate in più di 20 miliardi di barili. Mantenendo gli attuali livelli di produzione e di estrazione, il Qatar potrà contare sulle entrate derivanti dal gas naturale ancora per tre secoli e per altri ottant’anni su quelle derivanti dal petrolio.
Il Qatar ha dei rapporti commerciali privilegiati con l’Asia, soprattutto per ciò che riguarda le esportazioni di gas e di petrolio, in particolare con il Giappone e la Corea del Sud, mentre le importazioni risultano essere molto trasversali.Il settore industriale e quello delle costruzioni è in continua espansione, con il settore terziario e dei servizi che si basano principalmente sul sistema bancario.Gli ingenti fondi a disposizione sono stati la base di partenza per strutturare un’ambiziosa politica internazionale ed in poco tempo il Qatar è divenuto il simbolo del lusso esagerato, della cultura raffinata e dello sport.
L’emirato è uno dei più grandi investitori mondiali con un patrimonio derivante dal proprio fondo sovrano, la Qatar Investment Authority, stimato tra i cento e i duecento miliardi di dollari.
Negli ultimi anni il Qatar ha investito una cifra annuale oscillante tra i quaranta e i cinquanta miliardi di dollari, non solo in Medio Oriente ma anche in Occidente, principalmente nel settore dell’edilizia, della tecnologia, del turismo, della moda ed anche dello sport, con l’acquisto delle squadre di calcio del Malaga e del Paris Saint Germain e la controversa assegnazione della fase finale del Campionato mondiale di calcio del 2022.
Parallelamente alla strategia “finanziaria” è stata messa in campo una massiccia “campagna” mediatica: il canale satellitare al Jazeera, un mix di panarabismo ed islamismo, s’è fin dall’inizio dimostrato un potente e moderno mezzo di diplomazia diretta, puntando su un palinsesto martellante e su alcuni argomenti e tematiche di facile presa capaci di stimolare emozioni, sentimenti e orgoglio del mondo arabo, su tutti il conflitto tra israeliani e palestinesi.
Sfruttando questa formidabile cassa di risonanza, il Qatar si è proposto negli anni come mediatore nella regione mediorientale, in Afghanistan, in Palestina, in Sudan, in Libano, nello Yemen, finanche nella definizione dei confini tra l’Eritrea e il Gibuti.
L’attivismo del Qatar ha giocoforza più volte urtato la sensibilità dello Stato d’Israele che considera la politica dell’Emirato aggressiva e contraria ai propri interessi, ed incrinato i rapporti con l’Arabia Saudita.
La diffidenza israeliana ha trovato il suo apice nel 2006 allorquando il Qatar si oppose all’intervento d’Israele in Libano, giudicando tale ostracismo un chiaro segnale d’appoggio politico e diplomatico agli Hezbollah.
Una diffidenza che è proseguita con il sostegno finanziario del Qatar per la resistenza palestinese e per l’atteggiamento di condanna ai ripetuti attacchi israeliani contro la Striscia di Gaza nel 2008 operation Cast Lead, nel 2012 operation Pillar of Defence e nel 2014 operation Protective Edge.
Nel corso degli ultimi due anni in Israele si sono alzati i toni di demonizzazione del Qatar, non solo da parte dei media ma anche di politici di primo piano, tra i quali il primo ministro Benjamin Netanyahu, il ministro
degli esteri Avigdor Lieberman, il ministro della sicurezza Moshe Yaalon, l’ex presidente Shimon Peres, ecc…
Peres ha accusato il Qatar di finanziare i movimenti terroristici e di sovvenzionare Hamas, mentre Lieberman ha affermato che il Qatar è la spina dorsale delle organizzazioni terroristiche.L’obbiettivo, per la verità non raggiunto appieno, è stato quello di far apparire il Qatar come un attore internazionale irresponsabile, non affidabile e sponsor del terrorismo internazionale.
Permangono le tensioni con l’Arabia Saudita, anche dopo la recente morte del Re saudita Abdullah bin Abdulaziz al Saud e la nomina dell’erede Salman. L’Arabia Saudita ed il Qatar sono due stati con visioni antitetiche in cui il ruolo ed il peso della religione e dei suoi vertici sono differenti. In Arabia i leader religiosi sono uno dei cardini del processo decisionale politico, al contrario di quanto accade in Qatar in cui non esiste una vera propria classe di Ulama e l’Emiro gode di una certa libertà di manovra.
In tutto questo attivismo, c’è più di un sospetto che il Qatar, soprattutto in passato, abbia giocato una doppia partita: abilissimo nel mantenere buoni rapporti con le potenze regionali ed anche con gli Stati Uniti, a seguito della copertura finanziaria dei costi della base aerea americana di Al Uded da cui sono partite tutte le missioni in territorio afghano ed iracheno, altrettanto astuto e lesto nel finanziare la Fratellanza musulmana egiziana una volta preso il potere dopo la cacciata del Rais Mubarak, e nel sovvenzionare Hamas.
D’altro canto i rapporti con i Fratelli Musulmani sono di lungo corso e quando alcuni dei loro più influenti esponenti a più riprese sono stati messi al bando in vari paesi arabi, soprattutto nell’Egitto di Sadat e di Mubarak, hanno trovato facile asilo in Qatar. Inoltre, alcune tribù del Qatar hanno fatto proprie alcune particolari interpretazioni del Corano della Fratellanza, distanziandosi così dall’Islam professato in Arabia Saudita.
Questo atteggiamento spregiudicato sembra però essersi allentato negli ultimi mesi, in coincidenza con l’ascesa al trono del nuovo e giovane emiro Tamin al Thani, che ha preso le redini del Qatar dal padre Hamad bin khalifa al Thani.
Il possibile cambio di rotta potrebbe essere stato dettato dalla assunzione di consapevolezza degli scarsi risultati strategici ottenuti, a fronte degli imponenti investimenti finanziari elargiti. Probabilmente gli imprevedibili sviluppi delle primavere arabe in Tunisia, in Egitto, in Siria ed in Libia stanno costringendo il Qatar ad una rimodulazione della propria strategia regionale. Ciò non significa che il Qatar non rimanga una realtà influente ed importante nello scacchiere politico mediorientale, solo che una visione strategica di lungo periodo impone scelte diverse da quelle fatte in precedenza.
©www.osservatorioanalitico.com – Riproduzione riservata
Commenti recenti