GERUSALEMME NEL CONFLITTO

GERUSALEMME NEL CONFLITTO

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Il problema Israele-Palestina è ancora aperto e sembra difficile trovarne la soluzione: un passo avanti e tre indietro…a volte sembra sia così…ma il cerchio si stringe e una soluzione dovrà essere trovata anche alla luce dei più recenti avvenimento nell’area.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

Il 17 marzo si svolgeranno in Israele le elezioni anticipate ottenute dal Premier Benjamin Netanyahu che auspica una conformazione del Knesset con una solida maggioranza e la formazione di un Governo più stabile.

Da Israele vengono due importanti segnali distensivi in questa fase difficile per l’intero Paese, in bilico per attentati eseguiti da palestinesi, ritorsioni israeliane, il perdurante confitto tra il movimento islamico Hamas e il partito laico Fatah, entrambe critiche per l’ondivaga posizione del Presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP).

A febbraio, 400 rabbini di Israele, Gran Bretagna e altri Paesi dell’associazione “Rabbini per i diritti umani” chiedono al Premier Netanyahu di revocare l’ordine di demolizione di 400 strutture abitative palestinesi. I Rabbini descrivono la decisione del Governo “contraria al diritto internazionale e alla tradizione ebraica”.

Due settimane dopo, il movimento ebraico “Peace Now” pubblica uno studio sui bandi per la costruzione di nuove unità abitative in Cisgiordania e Gerusalemme Est, sottolineando la triplicazione di queste iniziative dal 2013: 4.485 gare d’appalto nel 2014 contro le 3.710 dell’anno precedente e le 858 dal 2007. La crescita dei coloni nei Territori Palestinesi è del 5,5% contro l’1,7% degli israeliani residenti in Israele. Dal 1967 a oggi il numero dei coloni tra Gerusalemme e Cisgiordania – come indicano i dati dell’Istituto Israeliano di Statistica del Governo e dall’Associazione ebraica B’Tselem – i coloni sono 700 mila in Cisgiordania e 300 mila a Gerusalemme Est.

Come si è arrivati a questa situazione? Che ne è degli Accordi di Oslo nel 13 settembre 1993 e delle successive “iniziative di Pace”? Limitiamoci ai più recenti eventi.

Il 20 novembre 2014 i quindici membri del Consiglio di Sicurezza ONU (i cinque permanenti e i dieci a rotazione) condannano l’attentato compiuto da due palestinesi nella sinagoga di Har Nof dove sono stati uccisi quattro rabbini e un agente di Polizia e feriti sette fra i presenti in preghiera. La strage è rivendicata dal Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), non nuovo a questi attacchi dagli esiti dirompenti nelle fasi ad alta instabilità.

Furono, infatti, le Brigate Abu Alì Mustafà dell’FPLP ad assassinare il 17 ottobre 2001 il Ministro del Turismo Rehavam Zeevi, unico politico israeliano a essere ucciso durante l’Intifada Al-Aqsa. In ritorsione, Tel Aviv rispose su due fronti: militare, invadendo Gaza e Cisgiordania, e mediatico, delegittimando il Presidente Yasser Arafat nella comunità internazionale già sopraffatta dall’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre dello stesso anno. HAMAS non perde l’occasione di festeggiare il feroce attentato in danno di fedeli in preghiera in un luogo di culto, strage di massima barbarie che calpesta il rispetto dei luoghi sacri e la pietas per gli innocenti uccisi. Il Premier israeliano addebita la strage di Har Nof al Presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), Mahmoud Abbas, accusandolo di sostenere il terrorismo.

Il mese di novembre 2014 si era aperto per i palestinesi con l’annuncio del riconoscimento dello Stato di Palestina da Stoccolma. Segnale incoraggiante perché se lo Stato Palestinese è già stato riconosciuto da 134 Stati sin dalla dichiarazione di Arafat al Convegno di Algeri il 15 novembre 1988, la Svezia è il primo Paese europeo a farlo. Mentre insorgono gli USA, che rinviano l’eventuale riconoscimento “al momento opportuno”, la posizione svedese spinge Gran Bretagna, Spagna e Francia a muovere un passo analogo al suo.

La diplomazia italiana, astenutasi al voto per l’istituzione di una Commissione d’inchiesta ONU sugli eventuali crimini commessi da Israele durante la guerra dei 51 giorni (luglio – agosto 2014) nella Striscia di Gaza, assume la posizione statunitense. Lo stesso mese porta all’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) del Presidente Mahmoud Abbas ha anche un altro problema che si aggiunge alla continua espansione e creazione di colonie e alla “pace fredda” tra il laico movimento FATAH e l’islamico HAMAS.

Le prime tre settimane di novembre sono caratterizzate da forti tensioni a Gerusalemme per i continui raid di coloni fondamentalisti, accompagnati da Polizia e militari, sulla Spianata delle Moschee. I “fedeli del Tempio” rivendicano la proprietà della Spianata perché precedente sede del Tempio ebraico di Salomone prima della (seconda) distruzione del 70 D.C. ad opera dei Romani guidati da Tito Flavio Vespasiano poi divenuto imperatore. La proprietà è amministrata dal WAQF, fondazione pubblica per la gestione dei luoghi musulmani, e area alla quale gli stessi rabbini da secoli vietano persino l’accesso “prima della fine del tempo” considerandolo “non puro” sin dalla distruzione.

La chiusura della Spianata ai fedeli musulmani e le notizie secondo cui è in atto il tentativo di modificare lo status del sito contribuiscono agli scontri dei dimostranti islamici con la Polizia.

Benjamin Nehtaniau

Benjamin Nehtaniau

La situazione degenera quando palestinesi investono e uccidono in pochi giorni quattro cittadini israeliani. Il vile massacro nella sinagoga eseguito dai due palestinesi accade nel momento peggiore.

Torniamo agli Accordi di Oslo del 13 settembre 1993.

Secondo la versione di Israele e USA una soluzione del conflitto può arrivare solo attraverso negoziati diretti fra le parti con l’intermediazione statunitense. I fatti dicono che dopo 20 anni questo approccio non funziona, come scrive Richard Falk, incaricato del Rapporto sul recente conflitto a Gaza nel luglio/agosto 2014.

Lo stesso Abbas, nel discorso del 26 settembre all’Assemblea Generale ONU, annuncia due importanti novità:

  • il rifiuto di continuare le iniziative diplomatiche rivelatesi un fallimento;
  • l’impegno a presentare al C.d.S. ONU la richiesta del ritiro di Israele ai confini del 1967 inclusa Gerusalemme Est riconosciuti da due Risoluzioni ONU, non oltre la data di novembre 2016.

Risoluzione alla quale gli USA opporranno il veto se non otterranno la maggioranza di voti contrari dai nove Stati membri a rotazione.

Abbas provvede il 24 novembre a togliere d’imbarazzo gli USA perché rinvia la presentazione della bozza di Risoluzione al luglio 2015, dopo l’eventuale Accordo sul nucleare iraniano   che, fallito il 24 novembre, prevede altri negoziati sino a fine giugno 2015.

A due giorni di distanza il Premier israeliano presenta alla Knesset un disegno legge che sarà votato il 4 dicembre p.v. e definisce Israele “Stato della Nazione ebraica” e afferma che l’ebraismo sarà fonte del diritto nella legislazione, sosterrà solo l’educazione ebraica mentre gli altri gruppi sociali, religiosi ed etnici dovranno provvedere da soli. La bozza è sostenuta dalla destra e criticata dai Partiti laici, parte del Likud e dal Presidente israeliano Reuven Rivlin che ritiene possa indebolire il Paese.

Il Presidente dell'Autorità palestinese

Il Presidente dell’Autorità palestinese

Anche per l’accusa ad Abbas di incitare la popolazione al terrorismo, il suo vissuto passato e presente racconta una storia diversa. Esponente del PLO e di FATAH, Abbas si è sempre occupato di investire le finanze dell’organizzazione senza mai prendere parte a conflitti armati. Dopo la morte di Arafat, eletto Presidente dell’ANP, ha fatto della collaborazione del comparto di sicurezza palestinese con quello israeliano un punto fermo, come dimostrano i più recenti e significativi interventi.

Negli ultimi giorni, i Servizi di Sicurezza palestinesi hanno arrestato oltre 30 persone simpatizzanti di HAMAS, collaborato con quelli israeliani nelle recenti settimane ad arrestarne altri novanta e coadiuvato ai posti di blocco di Qalandya, Nablus, Ramallah e Gerusalemme Est nella repressione dei palestinesi che protestavano per le incursioni dei “Fedeli del Tempio” sulla Spianata delle Moschee. L’11 novembre, durante la commemorazione della morte di Arafat, Abbas attacca HAMAS accusandolo di distruggere l’unità palestinese, rallentare la ricostruzione della Striscia di Gaza e della responsabilità degli attacchi contro FATAH a Gaza impedendo la commemorazione della morte di Arafat nella Striscia.

La striscia di Gaza

La striscia di Gaza

La ricostruzione di Gaza

In merito al piano per la ricostruzione della Striscia di Gaza, le condizioni internazionali prevedono che nessuno è autorizzato a portare nella Striscia materiale edile tranne la legittima Autorità, l’A.N.P..

Appena ottenuto il piano – denominato “Serry Plan” dal nome dell’Inviato ONU per la pace i Medio Oriente, Robert Serry – il Presidente Abbas dichiara di aver raggiunto un “Agreement” con Israele e ONU, senza rivelarne il contenuto.

Nell’intesa Mazen soddisfa tutte le richieste di sicurezza imposte da Tel Aviv:

  • telecamere di sorveglianza sulle 24 ore nei siti di stoccaggio del materiale, protetti da alte barriere;
  • dotazione di localizzatori GPS che la sicurezza israeliana applicherà a veicoli e macchinari pesanti;
  • costante presenza di guardiani di sperimentata affidabilità;
  • ispezioni a sorpresa da parte di ispettori ONU incaricati di redigere un rapporto per ogni minimo oggetto fornito.

HAMAS e Palestinian Islamic Jihad (JIP) rigettano il piano appena conosciutone il contenuto perché significa la perpetuazione del blocco della Striscia e l’imposizione di un meccanismo che dilata il tempo della ricostruzione. Inoltre, l’ONU chiede a tutte le persone in attesa della ricostruzione dell’abitazione distrutta di fornire: i loro dati con nome e numero della carta di identità; fotografie personali recenti; ubicazione della casa distrutta, luogo in cui ne chiedono la ricostruzione, piantina della vecchia e nuova abitazione.

Per la documentazione è necessario rivolgersi all’Autorità palestinese, la sola autorizzata a rapportarsi con l’Ufficio delle Nazioni Unite per l’assistenza ai Rifugiati (UNWRA), cioè al Ministero dell’Abitazione e dei Lavori Pubblici, dai cui funzionari gli interessati vengono a conoscenza che l’A.N.P. ha già accettato il “Piano Serry” e che bisogna indicare anche dati e quantità del materiale richiesto.

Il risultato è che il processo di ricostruzione non è ancora iniziato ed è in fase di stallo mentre da Ramallah l’A.N.P. ordina di implementare il piano, senza riserve.

I movimenti armati di Gaza sono orientati a ricercare insieme all’UNWRA un piano alternativo che non confermi il blocco della Striscia.

Una spiegazione sull’odio che contraddistingue molte di queste vicende.

Nei sotterranei della Moschea di Abramo sorge la Grotta dei Patriarchi, considerata il sepolcro di Abramo, Isacco e Giacobbe. Il 25 febbraio 1994, un medico proveniente da Brooklyn, Barukh Goldstein, membro del Partito estremista Khach, entra nella sala delle preghiere riservata ai fedeli musulmani, indossando la divisa da soldato. Barukh Goldstein apre il fuoco con il fucile d’assalto Galil sui fedeli in preghiera, uccide 29 persone e ne ferisce 125 prima di essere ucciso dai fedeli superstiti.

Durante il suo funerale parlano due rabbini: Yaacov Perrin dichiara che “neanche un milione di arabi vale quanto una sola unghia ebrea”; Samuel Hacohen definisce Goldstein “il più grande ebreo vivente, l’unico che poteva fare quello che ha fatto, l’unico perfetto al 100%”.

Sulla tomba di Barukh, seppellito non lontano dalla Grotta dei Patriarchi, nell’epitaffio è scritto: “Diede la sua vita per il popolo d’Israele, per la Torah e la terra”. La sua tomba è costante meta di pellegrinaggio di fondamentalisti israeliani.

Il primo attentato kamikaze contro civili israeliani eseguito da Hamas avviene dopo i tradizionali 40 giorni di lutto trascorsi dall’eccidio nella Grotta dei Patriarchi, episodio che segna l’adozione della strategia stragista da parte del movimento islamico e poi adottata anche dalle altre organizzazioni armate palestinesi.

Da quel momento, il conflitto israelo-palestinese si trasforma in un orrore che non risparmia nessuno.

Orrore che continua negli anni e diventa la caratteristica della c.d. Seconda Intifada (o Intifada al Quds), iniziata nel settembre 2000 con la passeggiata sulla Spianata delle Moschee di 300 militari a tutela del leader Ariel Sharon.

Gli scontri fra militari e Polizia d’Israele e i dimostranti palestinesi diventano l’innesco che accende la fase delle stragi più efferate.

Nel tentativo di realizzare una tregua, il leader spirituale di Hamas, Sheikh Ahmed Yassin, decide di schierarsi con le formazioni armate, laiche e islamiche, che avevano diffuso un documento in cui veniva proposta a Israele una tregua temporanea.

La sera del 22 luglio 2002, Sheikh Yassin dichiara la diponibilità di HAMAS alla tregua nei confronti dell’ “occupante” per un periodo di 10 anni, al termine del quale sarebbe stato il popolo a pronunziarsi con un referendum per un Accordo sulla Palestina nei confini del 1967.

Di fatto, un riconoscimento dello Stato di Israele.

Salah al-Din Mustafà Alì Shahada

Salah al-Din Mustafà Alì Shahada

Qualche ora dopo, le Forze di Difesa Israeliane inviano un Caccia F 16 che sgancia una bomba di una tonnellata nel quartiere gazawi di al-Darraj a Madinat Ghazza, ad alta densità abitativa e dove viveva con la famiglia anche Salah al-Din Mustafà Alì Shahada, che viene ucciso. Shahada era membro di Hamas fin dalla fondazione nel dicembre 1987, arrestato più volte da Israele o dall’A.N.P., diventa un leader con Mohammad Dayf e Adnan al-Ghul e comanda le Brigate Ezzedin al al-Qassam, braccio armato di HAMAS, responsabile di attacchi suicidi contro obiettivi civili israeliani che causano la morte di centinaia di persone.

Nel raid aereo vengono uccisi 15 civili, tra cui moglie e figlia di Shahada, di 14 anni, e altri 6 minori di 1, 2, 3, 4, due di 5 anni e uno di 11, mentre i feriti sono fra i 50 e i 150. Otto case, tra cui quella di Shahada, sono rase al suolo, 9 parzialmente distrutte e 20 danneggiate in maniera meno grave.

Nel 2005 una class- action viene intrapresa dal Center for Constitutional Rights che accusa l’ex Direttore dello Shin-Bet, Avraham Dichter, comandante militare dell’operazione, dell’uccisione di Shahada e di avere “sviluppato, implementato e ampliato la pratica dell’ ”omicidio mirato”, citando l’eliminazione di oltre 300 leader palestinesi e il ferimento di centinaia di presenti occasionali.

Nel 2007, la Procura della Repubblica israeliana annuncia una Commissione d’inchiesta indipendente per indagare sulla morte di quattordici civili palestinesi innocenti. Le sue conclusioni non sono mai state rese pubbliche.

Una terza Intifada contro Israele e contro la stessa ANP è possibile con il suo carico di stragi, vittime innocenti, devastazione diffusa in tutto il Paese.

E la bandiera della pace si allontanerà sempre di più. Se prevale l’odio.

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