REGIONE MEDIORIENTALE. CHI COMBATTE CHI

REGIONE MEDIORIENTALE. CHI COMBATTE CHI

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La situazione mediorientale è sempre più difficile. Il territorio libico vede avanzare le milizie del DAISH (ISIS) senza che nessuno sembri opporsi se non l’Egitto che si trova ancora una volta a dover diventare un protagonista della politica di quella zona strategica.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

L’analisi della guerra portata dall’autoproclamato Califfo dell’ Islamic State of Iraq and Sham, Abu Bakr al-Baghdadi, in Siria, Iraq, Libano, Libia ed Egitto rivela la presenza di numerosi attori non sempre evidenziati dai media.

Da recenti informazioni emerge che USA e Giordania starebbero addestrando una forza di 100 mila uomini per rinforzare l’Esercito iracheno composto di 80.000 soldati e 20.000 sciiti governativi supportati dal Presidente al-Abadi. Nel Nord del Paese, i curdi possono contare su oltre 50.000 mila combattenti pur se divisi in fazioni.

In altri termini, tre Eserciti divisi per linee etnico-religiose costituiscono la premessa del progetto statunitense di uno Stato federale con un Nord curdo, un Centro-Ovest sunnita e un Sud sciita (the greater Middle East). In questo contesto operano anche, con obiettivi diversi, Turchia, Iran e Russia.

Ankara è sostenuta dall’Arabia Saudita e avrebbe già convinto gli USA a realizzare una buffer zone in territorio siriano al confine con la Turchia non per combattere ISIS ma per sconfiggere gli alawiti siriani di Assad e risolvere il problema curdo.

In sostanza, la zona-cuscinetto impedirebbe il sorvolo dello spazio aereo anche all’aviazione siriana, impegnata contro ISIS, e ostacolerebbe la saldatura dei curdi iracheni e del PKK (Partito Comunista Curdo) con quelli siriani.

L’Iran non resta a guardare. La Guida Suprema Ayatollah Alì Khamenei all’inizio di dicembre in un dettagliato discorso sulla situazione del “Grande Oriente” sottolineò la presenza sciita in Iraq, Siria, Libano e Yemen. In altri termini, Khamenei ha mandato un messaggio all’Arabia Saudita che condivide con lo Yemen una frontiera di 1.500 km e che sta assistendo al consolidamento degli sciiti zaidisti Houthis non solo nel Nord ma anche nella capitale Sana’a.

L’Ayatollah Khamenei evidenziò anche la presenza sciita nei Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo dove costituiscono la maggioranza in Bahrein e rappresentano significative minoranze in Arabia Saudita e Oman.

Contestualmente, Sheikh Hassan Nasrallah, Segretario Generale e guida di Hezb’Allah, incontrò anche l’ex Premier iracheno Maliki.

Nel corso di quei colloqui, Nasrallah avrebbe informato Maliki del tentativo dell’”Asse sunnita” di realizzare un’ampia area ricavata dalla suddivisione dell’Iraq.

Il tentativo di cui sarebbero protagonisti Arabia Saudita, Paesi del Golfo, Turchia e Giordania con l’appoggio politico-militare degli USA avrebbe l’obiettivo di assegnare questa zona alla Giordania per il futuro Stato palestinese e l’accoglimento dei rifugiati in tutti i Paesi arabi.

Per contrastare questo piano, Iran ed Hezb’Allah sono impegnati in Siria da almeno tre anni con considerevoli Forze Speciali sul terreno. Iran ed Hezb’Allah, inoltre, da mesi sostengono i curdi e il fragile Esercito iracheno guidandolo nella riconquista delle zone cadute sotto il controllo di ISIS. Teheran non fa neanche mistero dei raid aerei eseguiti nell’Est iracheno realizzando una notevole ed efficace sinergia con peshmerga curdi e milizie sciite irachene. L’obiettivo iraniano è quelle di azzerare la presenza militare di ISIS lungo i 160 km di frontiera fra Iran e Iraq. Progetto che è ostacolato da USA e Israele.

Al contrario, la Russia tenta una mediazione con gli USA per salvaguardare la Siria e il Presidente Assad attraverso la convocazione di un’altra Conferenza di Ginevra, la terza dopo il fallimento delle prime due.

Al momento la realtà sul campo registra da una parte Baghdad e aree sciite e dall’altra parte quelle sunnite. Non è un caso che l’intera regione di al-Anbar, sunnita, resti nella mani di ISIS, così come Mosul.

Interventi mirati in quelle aree potrebbero sconfiggere ISIS ma le zone resterebbero nelle mani delle tribù sunnite alleatesi con ISIS contro il nuovo Presidente al-Abdadi.

L’Egitto, infine, tende ad ampliare il suo spazio geografico alla Libia, o meglio alle sue ingenti risorse di energetiche di gas e petrolio, cogliendo l’occasione offerta da un Paese ormai di fatto diviso in Tripolitania, Cirenaica e Fezzan in balia di 1.700 milizie incontrollabili e confliggenti fra di loro.

Il Presidente egiziano al-Sisi, di formazione laica e acerrimo nemico degli islamici – dai jihadisti ai moderati come i Fratelli Musulmani – conta su Israele, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.

La linea geo-strategica abbozzata per ridisegnare il nuovo “Grande Medio Oriente” a guida statunitense non tiene in conto quanto già avvenuto e sta verificandosi in Afghanistan, Iraq, Libia, Siria dove tanti gruppi jihadisti dopo essere stati addestrati, armati, pagati e supportati anche a livello politico hanno rivolto l’armamento ricevuto contro i loro mentori.

L’intera regione Mediorientale sembra andare verso questa direzione.

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