SIRIA. Siria in bilico? Difficile comprendere bene la situazione siriana

SIRIA. Siria in bilico? Difficile comprendere bene la situazione siriana

 

Il punto della situazione sulla complessa vicenda siriana: alleanze, IS, interventi stranieri…

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini               

Nell’incontro svolto in Kuwait a fine marzo 2014 l’inviato di ONU e Lega Araba Lakhdar Brahimi aveva dichiarato l’impossibilità di riprendere i negoziati a Ginevra fra regime e opposizione per le rispettive inconciliabili posizioni.

Lakdar Brahimi

Lakdar Brahimi

Inoltre secondo l’inviato, la probabile elezione di Assad nelle imminenti elezioni avrebbe indotto l’opposizione a disertare il tavolo negoziale.

L’ipotesi prospettata dal Segretario ONU Ban Ki Moon nella conferenza stampa del 2 aprile di una Ginevra 3 rimase allo stadio velleitario. E con ragione per almeno due motivi.

L’Osservatorio siriano per i diritti umani con sede a Londra e vicino all’opposizione ha diffuso i dati sulle vittime del conflitto dopo 3 anni di guerra aggiornati al marzo 2014, atteso che quelli raccolti dall’ONU si fermano a luglio 2013.

L’ong britannica fa stato di 220 mila vittime: 38 mila fra i ribelli considerando anche i combattenti del Fronte Al Nusra e dello Stato Islamico dell’Iraq e dello Sham; 58 mila i lealisti compresi i militari e le milizie pro-Assad con i 364 morti di Hezb’Allah e i 605 delle altre formazioni. A novembre 2014 sono aumentate di molto, anche se non vi sono ancora dati certissimi. Vi sono inoltre 18 mila dispersi, scomparsi dopo la detenzione nelle prigioni damascene, e 8 mila detenuti ribelli. Le cifre non sono comunque esaustive perché le condizioni sul campo non consentono stime accurate.

La lotta intestina fra i diversi gruppi di opposizione che avrebbe provocato oltre mille caduti e l’escalation dei combattimenti nelle diverse aree del Paese potrebbero modificare in modo significativo i dati.

Nella sola giornata del 2 aprile fu la Commissione Generale della Rivoluzione siriana a comunicare che il regime avrebbe ucciso oltre 50 persone nel Nord di Aleppo mentre infuriava la battaglia sull’Osservatorio 45, sommità della collina nel Nord di Latakia e zona strategica per il controllo area, fra i lealisti e gli oppositori che se ne contendono la conquista.

La zona costituisce la roccaforte degli alawiti e della famiglia Assad, dove i ribelli dalla fine di marzo 2014 hanno lanciato l’assalto e conquistato Kasab alla frontiera siro-turca con il duplice scopo di garantirsi i rifornimenti di armi con l’arrivo di altri militanti e distogliere i lealisti dal confine siro-libanese.

Ahmad Tlass

Ahmad Tlass

Non meno importante è la singolare intervista resa nell’aprile al quotidiano francese Le Monde da Ahmed Tlass, figlio del potente Alì Habib Ministro della Difesa siriano per decenni e riparato in Turchia dal settembre 2013.

Ufficiale delle relazioni nel Ministero della Difesa dal 2008 fino al luglio 2012 quando si rifugiò ad Amman, Ahmed Tlass si dice testimone della presenza in Siria di una specie di “Stato nello Stato”, un potente centro decisionale dipendente solo dal Presidente.

In merito dichiara che gli ordini di uccidere non sempre provengono dai militari o dall’intelligence ma spesso da ufficiali scelti singolarmente, allocati nel Palazzo Presidenziale e operanti senza alcun vincolo gerarchico.

E cita alcuni episodi.

Il 1° luglio a Homa un’oceanica folla di oltre un milione di persone si riunì pacificamente per una marcia di protesta. D’improvviso vennero esplosi colpi d’arma da fuoco contro i partecipanti. La Polizia accertò che avrebbero sparato 22 soldati della Sicurezza Militare ma non fu esperita alcuna inchiesta.

Il 23 dicembre 2011 a Kafra Sousseh non lontano da Damasco c’era stato un attentato davanti al Palazzo della Sicurezza di Stato. Il 17 marzo 2012 gli attentati furono due: uno di fronte alla sede dell’intelligence aeronautica e uno presso la sede della Sicurezza Criminale.

Gli attentati e la strage di Hama – secondo Tlass – sarebbero stati pianificati dal regime. Il numero delle vittime venne indicato in oltre 70 ma secondo il dichiarante alcuni erano deceduti altrove e sarebbero stati trasportati sul posto.

Una semplice considerazione: elemento essenziale nelle guerre è l’attenzione mediatica su quanto accade, disinformante e no.

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E’ dell’8 luglio 2014 il più recente Rapporto pubblicato dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite focalizzato sulle 150 mila donne siriane costrette a fuggire da Suheli, nella provincia orientale siriana di Deir Ezzot, e dalle cittadine di Kosham e Tabia verso Giordania, Libano, Turchia e persino Iraq. Profughi che vanno ad aggiungersi agli altri 4 milioni di sfollati presenti in Egitto, Giordania, Iraq, Marocco e Yemen e ai 2,5 milioni di rifugiati.

Nel Paese che conta oltre 160 mila morti, il Califfato Islamico, proclamato a fine giugno nei territori occupati di Siria e Iraq da Abu Bakr al Baghdadi si estende da Aleppo nel Nord della Siria a Diyala nell’Est dell’Iraq. I prossimi eventi siriani sono strettamente legati al progetto di Baghdadi che vuole restaurare negli antichi limiti territoriali il primo Califfato Islamico degli Omayyadi del 661 – 750 d.c. .

Iracheno di Samarra, 43 anni, Baghdadi ha militato nei gruppi qaedisti nel 2003 e, dopo una carcerazione di 7 anni, dal 2010 al 2013 quando ne venne allontanato dal leader di Al Qaeda Aymah al Zawahiri che ne criticava brutalità e disobbedienza.

Abu Mohammed Al Adnani

Abu Mohammed Al Adnani

Ne è braccio destro il portavoce del movimento, Abu Mohammad al Adnani, di 30 anni, (sembra sia morto in un recente raid aereo americano), abilissimo nella propaganda e che ha ribattezzato la formazione “Islamic State of Iraq and Sham” in “Islamic State” per sottolinearne la continuità con il Califfato Islamico originale di cui ha ricalcato i confini. E per questo motivo che l’IS punta a riconquistare le vecchie capitali: Damasco e Baghdad che designavano la terra dello Sham.

Al momento, il Califfato Islamico si estende dalla provincia siriana settentrionale di Aleppo al confine con la Turchia attraverso i Governatorati di Raqqa e Deir Ezzor, nell’esteso entroterra a Est di Homs sino alla provincia irachena di Al Anbar. Dopo la conquista di Mosul, il territorio occupato ha raggiunto il Nord dell’Iraq nel Governatorato di Ninive fino ad arrivare verso Sud all’avamposto orientale di Diyala e consolidarsi a Ovest nell’ Al Anbar.

La guerra siriana è scivolata velocemente da un movimento di disobbedienza civile in sollevazione popolare per la reazione brutale del regime e l’ingerenza di potenze esterne.

USA, Israele, Arabia Saudita, Qatar, Giordania, Turchia e Iran hanno acuito le tensioni religiose interne alle due tendenze rivali: sciiti, rappresentati dalla minoranza alawita al potere, e la maggioranza sunnita dando avvio a una guerra civile alimentata da un’opposizione finanziata, addestrata e armata ma suddivisa in numerosi e confliggenti gruppi. Mentre gli oppositori all’estero non conoscono neppure i gruppi armati, questi ultimi cercano sostegno nel Nord del Paese da Turchia e Qatar e dal Sud ricevono armi e logistica da Giordania, Arabia Saudita e USA.

Queste ingerenze esterne impediscono una lettura di questo conflitto come strettamente confessionale anche per la presenza della divisione tra forze laiche e islamiste.

L’Esercito Siriano Libero (ESL) si rivendica laico mentre la maggior parte dei gruppi comprende islamisti moderati, salafiti, jihadisti qaedisti e ora i radicali di IS per la creazione del Califfato Islamico.

Questa frammentazione è fonte di un crescente disaccordo sino a favorire sanguinosi scontri dall’inizio del gennaio 2014 fra l’ESL e l’ISIS (ora IS) nel Nord e nel Centro della Siria dando luogo a una guerra civile dispersa nel territorio che diventa per il regime sempre più incontrollabile.

Per mantenere la sua supremazia militare, Damasco necessita di rinforzi da parte delle Brigate Al Quds dell’Iran , delle Unità d’èlite di Hezb’Allah libanese e delle milizie locali.

La principale minaccia viene ora dalle formazioni più radicali. Il Fronte Al Nusra e l’ IS, pur confliggenti, ricevono aiuti dai Paesi del Golfo.

Dall’altro canto l’ESL è cambiato profondamente per l’ingerenza dell’Arabia Saudita, che ne ha preso le redini dalla battaglia di Qusayr nell’aprile 2013, dopo gli scontri con le Brigate Al Quds e quelle di Hezb’Allah che hanno vinto la battaglia impiegando le truppe divise in piccole unità mobili organizzate come milizie.

Il conflitto sembra destinato a durare anche per gli interessi degli attori esterni. Sembrava che gli USA avessero rinunciato all’opzione guerra (ma dalle recenti dichiarazioni del Presidente Obama, ci potrebbero essere ripensamenti sulla quesitone): seguono la situazione di una Siria in bilico tra una vittoria degli Islamici e quella di Assad e ritengono la prima ipotesi peggiore della seconda.

Arabia Saudita e Israele sono interessati alla caduta di Assad perché indebolirebbe la mezzaluna sciita spezzando la coalizione con Iraq, Iran, ed Hezb’Allah. Mosca invece rimane alleato di Damasco perché non intende perdere l’accesso al Mediterraneo garantito dai porti di Latakia e Tartous.

Nel breve e medio termine la pace è impossibile. Nel lungo periodo la Comunità Internazionale sentirà il peso della responsabilità per aver lasciato cadere le poche occasioni per interrompere il massacro che si sta svolgendo nell’indifferenza generale.

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IL porto di Tarous

IL porto di Tartous

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