SOMALIZZAZIONE DELLA LIBIA

SOMALIZZAZIONE DELLA LIBIA

 

I risultati di alcuni interventi militari occidentali….

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini                 

Nella zona di Benina, vicino all’aeroporto di Benghasi, fra il 3 e il 6 ottobre, gli scontri tra islamisti di Ansar al-Sharia e le forze dell’ex Generale Haftar Khalifa hanno provocato fra i combattenti 52 morti e oltre 90 feriti.

E’ il bilancio di 5 attacchi kamikaze e 3 autobombe utilizzati dai jihadisti per costringere Khalifa a ritornare al Cairo dove si era rifugiato dopo il fallito colpo di Stato del maggio 2014.

E’ anche il chiaro messaggio di Ansar al-Sharia: l’aeroporto di Benghasi sarà presto conquistato, come quello di Tripoli anche se al prezzo di oltre 200 morti.

Qualche giorno prima, il 29 settembre, la riunione svolta a Ghadames sotto l’egida dell’ONU con 12 deputati del Parlamento eletto il 25 giugno – riparato con il Governo legittimo di Abdullah al-Thinni su un’imbarcazione greca a noleggio al largo di Tobruk – e altri 12 di Misurata ha avuto esito negativo.

Bernardino Leon

Bernardino Leon

Nonostante la mediazione tentata dal rappresentante ONU, Bernardino Leon, la delegazione di Misurata si è ritirata, accusando l’Esercito obbediente ad Haftar di aver lanciato nella primavera un’offensiva contro gli islamici di Benghasi utilizzando anche raid aerei.

In tal senso si è espresso anche il Dar al-Ifta, Consiglio della Shura dei rivoluzionari di Benghasi e corpo religioso con il potere di emettere un verdetto.

L’Ente ha chiesto la sospensione del dialogo con i parlamentari di Tobruk, che ha accusato di avere violato la Costituzione per aver invocato l’intervento internazionale contro “Faji Libia” (Alba della Libia) definendone i militanti terroristi.

Dall’interruzione negoziale si è arrivati subito agli scontri armati anche per il pressante intervento dell’Egitto.

Il Presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, già Comandante delle Forze Armate e Ministro della Difesa, ha offerto l’addestramento delle Forze lealiste del Governo di Al-Thinni e da almeno due mesi incontra a Tobruk i parlamentari per discutere di addestramento e assistenza a livello intelligence.

Il Presidente egiziano ritiene le milizie islamiche operanti nel Sinai, e, in specie, Ansar Beit al-Maqdis dichiaratasi fedele a Daish (al Dawla al- Islamyyiah fi Iraq wa al-Sham), in collegamento costante con Ansar al-Sharia, che ha proclamato nell’agosto 2014 il Califfato a Benghasi.

Fa parte dell’area islamica anche “Lo Scudo” di Misurata, cioè il braccio armato che protegge a Tripoli Parlamento, aeroporto e il Governo di Omar al-Assi, non riconosciuto dalla Comunità Internazionale. “Lo Scudo” di Misurata, vicino ai Fratelli Musulmani e contrario alla rigidità di Ansar al- Sharia, è inviso ad al-Sisi, che ha deposto e incarcerato l’intera leadership della “Confraternita” (insieme di militanti dei F.M. dotati anche di un’ala militare), decimata da migliaia di arresti e oltre 800 morti.

E’ contigua alla Confraternita anche “Alba della Libia”, dispiegata da settembre nella capitale dove ha preso posizione davanti ai Ministeri e all’aeroporto; occupato l’Ambasciata USA; convocato il Consiglio Generale Nazionale, il cui mandato è scaduto dopo le elezioni del 25 giugno, per insediare come Premier Omar al-Assi con il mandato di formare un “Governo di Unità Nazionale”.

Per il Presidente egiziano si tratta, quindi, di combattere anche in Libia lo stesso nemico.

Dopo aver riottenuto il sostegno USA di 1,3 miliardi di dollari ed elicotteri Apache, interrotto per il colpo di Stato del 3 luglio 2013, al Sisi avrebbe anche facilitato il raid aereo del 15 settembre degli Emirati su Tripoli e favorito la riunione del 29 settembre.

Al-Sisi vuole riprendere il ruolo svolto dall’Egitto al tempo di Nasser e non ha esitato a consentire la lunga permanenza di Haftar al Cairo, dopo l’attentato al quale era sfuggito, e a fornire il pieno appoggio ai suoi referenti che sono i miliziani di Zintan e il Governo dell’ex Ministro della Difesa e Premier confermato dal Governo legittimo con voto del Parlamento eletto il 25 giugno, Abdullah al-Thinni.

Questa parte degli eventi, ampiamente nota, nasconde un altro aspetto poco conosciuto.

Altri protagonisti sono comparsi in Libia. Iniziamo dalla confinante Algeria.

Il Presidente Abdel Aziz Bouteflika non concorda con l’iniziativa dell’omologo egiziano e, soprattutto, non ne appoggia lo stretto rapporto con il “mancato golpista”, l’ex Generale Khalifa, sospettato di essere un agente CIA reclutato durante il ventennio trascorso negli USA.

Il Presidente algerino Bouteflika

Il Presidente algerino Bouteflika

Algeri sostiene invece i Fratelli Musulmani per cui ha ottenuto contatti con Turchia e Qatar avvalendosi dei buoni rapporti con il leader di En Nahda, Rashid Ghannouchi. In sostanza, Bouteflika individua alla base degli scontri fra le 1.700 milizie libiche la lotta per il potere. Lotta che oppone, da una parte la Confraternita e, dall’altra, i gruppi jihadisti e le milizie di supporto. La sicurezza algerina avrebbe da tempo contatti ufficiosi con Turchia e Qatar, pur avendo finalità diverse. L’Algeria è interessata solo a tutelarsi da possibili infiltrazioni di jihadisti provenienti dalla Libia.

Più articolata è la strategia di Turchia e Qatar.

I due Paesi sono a conoscenza del fatto che le rivalità tra la Confraternita e i jihadisti è iniziata ben prima della battaglia per l’aeroporto della capitale.

Da mesi, a Derna e Misurata si sono verificati scontri armati, arresti eseguiti da milizie e non dalla Polizia, esecuzioni sommarie contro attivisti e simpatizzanti dei Fratelli Musulmani, che vengono addebitati ai jihadisti.

Questi ultimi, forti anche dell’esperienza in Siria, dove sin dall’inizio della rivolta disarmata avevano inviato oltre 500 combattenti, vedono la Confraternita come un pericolo da eliminare.

Proprio in Siria, l’area libica del radicalismo islamico è testimone del fatto che lo scontro fra lo “Islamic State of Iraq and Sham” (ISIS) e il Fronte Islamico, formatosi nel 2013 dall’unione delle forze vicine ai Fratelli Musulmani, è stato preceduto da reciproche accuse di apostasia. Per passare dallo scontro sui valori religiosi alle armi. Questa frammentazione dei militanti sunniti è presente anche in Libia.

Infine, a Tripoli si muove anche un altro, potente attore, gli USA, e con un programma diverso. Secondo l’Intelligence algerina, gli Stati Uniti avrebbero dislocato nel Paese “commandos” addestrati alla cattura dei terroristi inseriti nella loro black list.

Nell’elenco sarebbero stati inseriti: Mahmoud Alì Zahawi, Emiro di Ansar al-Sharia; Abu Obeida al-Zawi, comandante degli ex ribelli libici del “Gruppo Islamico Libico Combattente” (GILC), vicino ad Al Qaeda e successore di Abu Anas dopo la sua cattura nel 2013; l’algerino Mokhtar Belmokhtar, leader di “Al Qaeda in the Islamic Maghreb” (AQMI) e ritenuto mandante dell’attacco all’impianto gasiero algerino di As Amenas nel gennaio 2013, che vivrebbe da tempo nel Sud-Est della Libia.

Per questo progetto gli USA intenderebbero stabilire una base ad Agadez, nel Niger settentrionale a 350 km dalla frontiera algerina e a 200 da Arlit, dove stazionano truppe francesi per la tutela degli stabilimenti per lo sfruttamento di uranio.

Gli USA hanno ottimi rapporti con la Francia cui avrebbero destinato 10 milioni di dollari per rinforzare aerei e trasporto truppe. Gli americani utilizzerebbero droni armati per monitorare la situazione libica e intenderebbero aprire un’altra base in Senegal.

Non appaiono segnali di possibile stabilizzazione di un Paese oramai nel caos.

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