EUROPA. ITALIA. I JIHADISTI DI RITORNO.

EUROPA. ITALIA. I JIHADISTI DI RITORNO.

Una dettagliata intensa panoramica della situazione dei jihadisti ‘di ritorno’.      

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini                                                                                                                                             

EUROPA. ITALIA. I JIHADISTI DI RITORNO.

Il problema dei jhadisti di ritorno per l’Italia è giuridico, oltre che sociale: per chi rientra dopo aver combattuto all’estero, l’articolo 270 bis del Codice Penale si applica solo se emergono indizi che faccia parte di gruppi terroristici.

In altri termini, si può punire chi arruola ma non gli arruolati per i quali l’incriminazione è possibile se esiste la prova che l’indagato sia interno a un’organizzazione terroristica.

imagesIn altri Paesi, come Gran Bretagna, Olanda e Norvegia, basta aver combattuto in zone come Siria, Iraq, Afghanistan. Il problema per l’Italia esiste…

Secondo il “Soufan Group” negli ultimi 3 anni sono andati in Siria 12 mila stranieri a fronte dei 20 mila recatisi in Afghanistan per combattere per 10 anni contro i sovietici.

La maggioranza è prevalentemente araba: 3.000 tunisini, 2.500 sauditi, 1.500 marocchini, 3.000 occidentali, di cui oltre 300 rientrati in Europa.

Gli occidentali sono andati in maggioranza in Siria per raggiungere le formazioni qaediste Isis (espulsa da Al Qaeda nel gennaio 2014 e da luglio denominatasi IS), Al-Nusra e Ahrar al-Sham.

Si tratta di persone fra i 18 e i 29 anni, 18% donne, 6% convertiti, con vissuti diversi: sbandati alla ricerca di identità con un passato di criminali comuni e con poca conoscenza dell’Islam, emarginati con scarsi rapporti sociali, disoccupati privi di prospettive, convertiti all’Islam.

I ”veterani” italiani di cui si hanno notizie in Siria sarebbero tra i 20 e i 50, divisi fra i gruppi di Jaysh al-Mujahidin, Sham al-Islamyya, Liwa al-Umma, Harakat Sham al-Islam e Katibat Sukur al-Izz.

Per quanto riguarda l’Italia, il fenomeno del rientro dei jihadisti si verifica già negli anni ’90.

Il militante egiziano Arman Ahmed el-Hissiny, già mujahidin in Bosnia, arriva a Milano e diventa la figura chiave dell’ “Istituto Culturale Islamico”, da dove addestrava e inviava militanti in Afghanistan dopo l’11 settembre 2001.

Di analogo profilo il tunisino Jarraya Khalil, ex colonnello del Battaglione dei mujahidin di Zanica; raggiunge Bologna e, subito tratto in arresto, riesce in sole tre settimane a convincere il suo compagno di cella Kammoun Walid, giovane connazionale, a convertirsi e abbracciare l’ideologia salafita.

Nel 2009, il francese Raphael Gendron, è fermato per emigrazione clandestina al porto di Bari con un camper nel quale trasportava 3 siriani e 2 palestinesi. Trovato in possesso di una pen drive con discorsi di Al Qaeda inneggianti al jihad, viene condannato per terrorismo in 1° grado e assolto in appello. Tornato in Siria, resta ucciso in un combattimento fra Al-Nusra e Isis, di cui faceva parte, mentre degli altri 5 si sono perdute le tracce.

Clamoroso il caso di 3 jihadisti entrati in Italia all’inizio del 2014 con regolare visto d’ingresso rilasciato dall’Ambasciata d’Italia a Pristina. Uno dei tre, tutti musulmani originari del Kosovo, poco tempo dopo, si è fatto esplodere in Iraq, mentre degli altri non si sa nulla.

Anche a Venezia è in corso un’inchiesta su un imbianchino bosniaco, 37 anni, Ismar Mesinovic, arrivato nel bellunese dalla Germania nel 2009 con la moglie cubana. Dopo aver frequentato a Longarone il “Centro Culturale Assalam”, nel dicembre 2013 parte dall’Italia con un figlio di 2 anni e va in Siria passando per i Balcani per combattere contro il Governo. E’ morto ad Aleppo pochi mesi dopo, durante una battaglia. Sui contatti di Mesinovic è in corso un procedimento nei confronti di 5 persone per associazione sovversiva, provenienti dai Balcani e attivisti islamici che vivono tra Belluno, Treviso e Pordenone.

In Lombardia si indaga su 4 siriani legati ad Haisan Sakhan, già leader del “Coordinamento siriani liberi di Milano”, che ha vissuto 10 anni tra Milano e Cologno Monzese prima di partire nel 2012 per la Siria. L’inchiesta è allargata ad altre 40 persone, tutti immigrati di 2° e 3° generazione come Mesinovic, partite per Siria e Iraq.

Nell’inchiesta è coinvolto anche Bilal Bosnic, imam, 41 anni, bosniaco, sostenitore dell’IS, sospettato di coinvolgimento nell’attentato di Sarajevo nel 2011. Bosnic ha vissuto a Bergamo, Pordenone e Cremona, invitando i giovani ad avviarsi al jihad. Intervistato ad agosto in Bosnia, Bilal dichiara che: dall’Italia arrivavano finanziamenti per i jihadisti; in Siria vi sarebbero molti italiani fra i jihadisti; i combattenti per comunicare utilizzano la chat su “Tor”, considerata la più anonima e sicura sul web per parlare.

Il primo italiano convertito e ucciso in Siria è Giuliano Ibrahim Delnevo, genovese di 23 anni, morto nel giugno 2013 combattendo contro i governativi,

Altro esempio è Nasr Riad Barhoum, noto come Abu Dujani, detenuto e torturato nel carcere di Guantanamo, dove era chiamato “Nasr l’italiano”, pur essendo in realtà tunisino ma vissuto a lungo a Bologna, dove era arrivato nel 1994. Diventato uno dei capi delle milizie infiltrate in Libia, va in Afghanistan e fonda la “Casa dei Tunisini” a Jalalabad. Tornato in Italia, era stato arrestato per aver fatto parte dal 1997 al 2002 di una cellula legata al “Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento” (GSPC) algerino con base a Milano con il comito di reclutare jihadisti da avviare in Medio Oriente per “operazioni di martirio”. Condannato a Milano a 6 anni per “terrorismo internazionale” e assolto in appello, torna a Tunisi, e poi raggiunge Ansar al-Sharia in Libia e si unisce al nuovo leader Sheikh Seifallah Ben Hassine (Abu Ayad), già imam a Londra e reduce dall’Afghanistan, dove aveva sostituito proprio “Nasr l’italiano”.

Altro caso è quello di Abdel Ben Marzouk, tunisino, morto nell’agosto 2013 mentre combatteva con al-Nusra. Nato nel 1979, faceva il barbiere a Milano, da dove raggiunge Al Qaeda in Afghanistan. Catturato dagli USA, è detenuto a Guantanamo e rinviato in Italia nel 2008. In Italia è di nuovo arrestato perché due collaboratori islamici confessano che sta programmando un attentato al Duomo. Dopo 2 anni di carcere, va in Siria dove muore durante uno scontro.

Infine, a livello di quanto emerso, è indicato Ammar Bacha, 37 anni, arrivato a Cologno Monzese proveniente dalla Siria dove militava nell’opposizione armata contro il regime damasceno.

Ancora da sottolineare, per quanto riguarda l’Italia, il forte rapporto con i jihadisti libici di Ansar al-Sharia. Il braccio destro di Abu Ayad è un tunisino vissuto per anni a Milano, Sami Essid ben Khemais, piccolo imprenditore delle pulizie a Gallarate ma in realtà “Emiro” per l’Italia di una cellula di terroristi che progettavano stragi in Europa. E’ la Germania a comunicare che nell’abitazione di complici di Sami Essid, da lui ospitati anche a Milano, erano stati sequestrati 30 kg di TAP, lo stesso esplosivo usato dai 12 Kamikaze che nel 2003 aveva causato la morte di 45 persone a Casablanca. Sami Essid dopo 8 anni di carcere a Milano è tornato in Tunisia. Con lui era stato processato anche Mohammed Aounabi, condannato a 4 anni. Rientrato in Tunisia alla fine della pena, si è poi recato in Libia per militare nella “squadra omicidi” di Ansar al-Sharia. Di nuovo in Tunisia, è stato arrestato per aver partecipato nel 2013 agli omicidi di due leader della sinistra, Balaid Chuokri e Mohammed Brahimi, omicidi che portarono Tunisi alle soglie di una guerra civile.

Nel 2004, a Milano viene arrestato anche Osman Rabei, ideatore delle stragi di Madrid.

In Italia, l’unico terrorista fattosi esplodere – a Milano, davanti a una Caserma nel 2003 – è Mohamed Game, libico, 40 anni, rimasto ferito. Arrestato, resterà in carcere fino al 2023.

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In Europa, l’allarme “rosso” scoppia il 24 maggio 2014, quando nel Museo ebraico di Bruxelles Mehdi Nemmouche, 29 anni, viene arrestato a Marsiglia con il kalashnikov con cui aveva ucciso 4 innocenti civili nel Museo ebraico. Cresciuto in Francia, Nemmouche, arrestato più volte per crimini comuni, si radicalizza nel circuito carcerario e nel 2012 si reca in Siria dove combatte con ISIS per oltre 1 anno.

 L’episodio fa ricordare che dopo l’11 settembre 2001, molte stragi sono state eseguite in Europa, a Madrid (2004), Londra (2005), oltre a quelle di Casablanca (2003) e Mumbai (2008) e tutte sono state portate a termine da jihadisti indottrinati in Afghanistan, Pakistan, Yemen e altri fronti di crisi.

In Gran Bretagna, fra i 500 jihadisti inglesi segnalati dall’Intelligence in seno all’IS, circa trenta cercano contatti con l’Autorità per patteggiare un rientro che escluda il carcere e preveda l’inserimento in un programma di de-radicalizzazione, che non è ancora ammesso per i “convertiti” che siano stati in Iraq o Siria.

Il gruppo di Shiraz Maher del “Centro Internazionale per lo Studio della Radicalizzazione” del King’s College è da tempo in contatto con oltre 50 jihadisti pronti a sottostare a un regime di sorveglianza e a un corso di riabilitazione. Intanto, sono molti gli imam britannici che durante la preghiera del venerdì ripetono che il movimento IS è contrario all’Islam.

Khadijah dare, jihadista inglese...

Khadijah dare, jihadista inglese…

Sarebbe britannico il terrorista che ha decapitato James Foley, il giornalista indipendente sequestrato da IS. I sospetti cadono su: Abdel Majei Barey, 24 anni, Abu Abdallah al-Britani, Abu Hussein al-Britani, che avrebbero creato un gruppo musicale chiamato The Lions o The Beatles.

Abu Hussein è un rapper di origine egiziana i cui video erano stati mandati in onda anche dalla BbC radio. Suo padre è un rifugiato egiziano che la sicurezza britannica accusa di coinvolgimento negli attentati alle Ambasciate USA in Kenya e Tanzania dell’agosto 1998.

Fra le nuove misure adottate – e fatte proprie anche dall’Olanda – una legge consente di privare del passaporto chi sia sospettato di andare a combattere all’estero.

Ed Hussein, ex militante estremista, attualmente assunto nel Think Tank di Tony Blair, in un’intervista dichiara che molti migranti giovani non si sentono europei e non si sentono integrati per cui possono essere influenzati dai predicatori, specie nei Paesi come la Gran Bretagna dove la comunità musulmana è molto chiusa al contrario di quanto avviene negli USA. Altri “convertiti” provengono dalla micro-criminalità e dal circuito carcerario, mentre altri ancora sono sensibili alle informazioni acquisibili in alcune Reti e nei campus universitari. E che molti non conoscono neppure la religione.

Infine, secondo il “Soufan Group”, sono a rischio anche i Paesi di seguito indicati:

–       Russia: oltre 800 jihadisti provenienti per la maggioranza dal Caucaso sarebbero in Siria;

–       Germania: 270 jihadisti sarebbero in Siria e della colonna tedesca avrebbe fatto parte anche Denis Mamadou Cuspert, in arte Deso Dogg, ucciso in un attacco suicida di Al-Nusra contro IS, di cui lui faceva parte;

–       Spagna: nell’agosto 2014 sono state arrestate due cittadine di 14 e 19 anni che volevano aggregarsi a IS, mentre a maggio, nell’enclave di Melilla, sono stati arrestati 6 uomini che volevano reclutare terroristi per la Siria;

–       Bosnia: è stata varata la legge per condannare fino a 10 anni chi proverà ad andare all’estero per combattere;

–       Norvegia: l’Intelligence teme un attentato da parte di “reduci”, per cuoi ha approvato una legge anti-terrorismo.

Infine, per quanto riguarda gli Stati Uniti, fa scalpore il caso di Moner Mohammad Abu Salah, teenager della Florida, appassionato di basket, che si è recato in Siria e a maggio ha guidato un camion pieno di esplosivo contro un ristorante.

Non saranno purtroppo gli ultimi episodi di questo tipo.

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Jihadisti...?

Jihadisti…?

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