La seconda e ultima parte delle ipotesi di studio sulla situazione attuale con particolare riguardo al duello fra Mosca e Washington
Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini
(parte seconda. La prima parte: pubblicata 28 agosto 2014)
Altra chiave di lettura in quest’affascinante storia, è il ruolo della sempiterna irrealizzata “favola” turca. Sempre in bilico nella sua veste di ponte tra occidente e oriente e il suo ruolo di Paese islamico. Fino allo scorso anno la Turchia aveva una base a 50 km dal confine siriano che provvedeva all’addestramento di miliziani anti Assad del fu Free Syrian Army, la cui quasi totalità di esponenti sono stati assorbiti dall’ISIS. La frontiera turca così come la direttrice del Caucaso funziona come una sorta di membrana semipermeabile per garantire alle forze Jihadiste l’osmosi di materiale umano proveniente dall’Europa, dalla Russia e dalla valle di Fergana all’ISIS (الدولةالإسلاميةفيالعراقوالشام, al-Dawla al-Islāmiyya fī al-Irāq wa al-Shām, tradotto come Stato Islamico dell’Iraq e della Grande Siria). Questo fattore semipermeabile funge da valvola di sfogo per i Turchi, i quali hanno imparato che far fluire è meglio di contenere.
Le manifestazioni che hanno sconvolto il Paese un anno fa, sono dovute all’influenza di attori esterni quali Qatar e l’Arabia Saudita che con il loro flusso di liquidità hanno garantito grandi investimenti e crescita alla Turchia. Quando i due Paesi del Golfo sono passati alla cassa a ritirare, trovando chiuso, hanno pensato di dare ad Ankara una dimostrazione delle potenzialità delle loro agenzie d’intelligence, destabilizzando il Paese. Compreso il messaggio, la Turchia si è presto adeguata alla strategia dei Paesi del Golfo, rendendo il Bosforo un vero e proprio ponte per tutti coloro che dall’Europa vogliano combattere la guerra santa contro il nemico Sciita e Crociato.
L’unica vera mossa per arginare l’ISIS può essere quella di colpire gli interessi finanziari di Qatar e Arabia Saudita. Questi due attori stanno letteralmente conducendo una guerra nei confronti dell’asse Sciita Siro-Iraniano e della Russia. Personaggi come Al Baghdadi sono creati forse ad hoc per determinati compiti. Quello dell’Emiro (cioè il nuovo ‘Califfo’), all’inizio della sua carriera da jihadista, era di creare disordine in seno ad Al Qaeda, conducendo una guerra fratricida contro Jabhat al-Nusra in grado di destabilizzare e creare un’antagonista abbastanza potente da contrastare Al-Zawahiri. Una metodologia già seguita da USA e UK con Bin Laden. Il Capo dell’ISIS, al servizio degli Americani, è stato addestrato dalle SAD della CIA e dalle Special Air Service Britanniche, come accadde per Bin Laden, è poi sfuggito alla longa manus dell’intelligence americana e, una volta compreso che Washington, assolto il compito per cui era stato creato, avrebbe visto molto volentieri una sua dipartita in qualche luogo sperduto della Siria, ha pensato bene di travalicare i suoi compiti e agire per conto delle monarchie del Golfo[1].
L’Emiro, pertanto, sembra aver cambiato padrone e questo costituisce un paradosso imbarazzante per lui. I suoi nuovi possibili datori di lavoro, cioè Sauditi e Qatarini, sono da sempre, infatti, sostenuti dagli Stati Uniti nella lotta contro Teheran. In sintesi: dare le armi ai Curdi per combattere l’ISIS è un altro modo per nascondere la strategia americana nei confronti di Mosca e Teheran, continuando a creare caos e incertezza nella regione. Un indebolimento dell’asse Sciita con il conseguente dilagare dell’estremismo sunnita nel Nord dell’Iraq e poi nel Caucaso gioverebbe favorevolmente agli USA che assesterebbero un duro colpo ai Russi?
La partita tra Mosca e Washington, aperta fin dalla crisi georgiana, si gioca per le risorse del Caspio e contro le potenze emergenti del Sud Est Asiatico. Chi controllerà il Caspio e le sue risorse, possiederà per i prossimi 100 anni una supremazia in grado di alterare a suo favore gli equilibri energetici del globo. Sparigliare le carte è solo un modo per indebolire Iran e Russia che geograficamente sono gli attori che, più di tutti, potrebbero trarre beneficio da uno sfruttamento intensivo dei giacimenti del Caspio, favorendo un competitor diretto degli USA come la Cina, grazie alla rete di oleodotti e gasdotti che dall’Asia Centrale confluiscono nella terra del Dragone.
Gli USA necessitano quindi di mantenere il colosso cinese sotto un costante deficit energetico. La Cina acquista idrocarburi dai Russi attraverso il Kyrgyzstan. Gazprom ha rilevato, per la precisione poco prima di Natale 2013, la compagnia di bandiera Kirghiza iniziando a costruire condotti per portare gas e petrolio in Cina. I combustibili fossili giungono in Cina attraverso due corridoi: il primo via mare dall’Iran e il secondo dal Kazakistan via Kyrgyzstan. Se il jihadismo si espandesse nel Caucaso e in Asia Centrale, Mosca e Teheran dovrebbero rivedere le loro politiche di sicurezza e di esportazione del petrolio e l’intera SCO (Shangai Cooperation Organisation) soffrirebbe di un deficit energetico, colmabile solamente attraverso i Sauditi e i Qatarini. Delocalizzare la guerra e appaltarla concorda pienamente con il detto latino divide et impera e garantisce un ingente risparmio di risorse, mantenendo allo stesso tempo il controllo di un’area ad alto valore geostrategico. La questione ucraina è un altro “fulgido” esempio di questa strategia. Washington, tramite tale modus operandi, tenta a più riprese di mettere Mosca in una situazione d’isolamento internazionale, rendendo la triangolazione della fornitura d’armi alla Siria e all’Iran più difficile. I Russi giocando d’anticipo e impossessandosi della Crimea, al rischio di un vero e proprio di uno scontro armato con la NATO, hanno limitato i danni continuando a sostenere Assad con lo scopo di difendere se stessi e le loro risorse petrolifere nel Caucaso e nel Caspio.
I principali Paesi dell’UE, legati a doppia mandata con Washington, non gradiscono questa guerra segreta. Proprio perché il vero partner commerciale dell’Europa è la Russia. L’accenno di recessione nell’economia tedesca è in parte dovuto, alla situazione in Ucraina. Sotto questa luce può essere letto il ruolo della Cancelliera Merkel, che continua a farsi garante tra Mosca e Kiev per una veloce risoluzione della crisi, che non giova all’UE ma solo agli Stati Uniti.
L’Italia sta risentendo di questo effetto negativo a cascata; progetti come il South Stream da realizzarsi con la partnership tra ENI (Ente Nazionale Idrocarburi) e la russa Gazprom, sono fortemente a rischio. A loro volta le sanzioni nei confronti di Mosca non indeboliscono solo la Federazione Russa e la sua enclave, che per altro è titolare della quasi totalità dell’industria nazionale, ma soprattutto quella serie di attori come i Paesi europei che sono potenziali beneficiari degli investimenti che arrivano dai soggetti investiti dai provvedimenti restrittivi.
Siamo entrati o meglio stiamo transitando verso un nuovo assetto geostrategico, costituito da una sorta di protocollo Nemesi. Come per la dea della vendetta ogni attore di questo gioco così pervaso di machiavellismi si sente in diritto di favorire in ogni modo il proprio interesse nazionale. Tutto nella normale consuetudine dei rapporti internazionali, se non fosse che si sta perdendo di vista la vera ragione di quell’interesse, cioè acquisire un vantaggio senza tuttavia creare scompensi che non possano essere ricomposti.
Intaccare il centro di gravità in un conflitto convenzionale porta alla sconfitta di un avversario che è altrettanto seguita da una ricostruzione la quale non lascia spazi vuoti sulla mappa. L’utilizzo invece di forze non convenzionali per sclerotizzare gli equilibri di una determinata Area, in funzione di un disegno strategico più ampio può essere un apprezzabile esercizio d’intelligenza, ma non è consigliabile perché i rischi e i danni prodotti supererebbero i vantaggi effettivi sul lungo periodo. Pertanto più gli spazi vuoti sulla mappa si allargano sotto la spinta di forze irrefrenabili e più divengono simili ai maelstrom che risucchiano negli abissi tutto ciò che viene a contatto con le loro temibili correnti.
Link di approfondimento:
Sistemi d’arma complessi per la difesa aerea, di fabbricazione russa: http://pvo.guns.ru/index.htm
Aerei e veivoli di fabbricazione russa, completi di specifiche tecniche della casa costruttrice: http://www.sukhoi.org
[1] Abu Bakr al-Baghdadi, anche noto con i nomi di Ibrahim ibn Awwad ibn Ibrahim ibn Ali ibn Muhammad al-Badri al-Samarrai e Abu Du’a è stato formato (così sembra appurato secondo le notizie dei media), militarmente in occidente dalla CIA, MI6 e dal Mossad. L’obiettivo, legato all’arruolamento di al-Baghdadi, sarebbe stato quello di creare una sempre maggiore destabilizzazione dell’area mediorientale così da aprire il terreno, a livello diplomatico, a una nuova e rafforzata presenza militare occidentale in Iraq.Ha trascorso cinque anni di detenzione in strutture degli USA, così come tre dei quattro capi militari dell’IS (Islamic State) i quali hanno compiuto lo stesso percorso di formazione, venendo catturati e imprigionati dalle forze americane.
©www.osservatorioanalitico.com – Riproduzione riservata
Lascia un commento