SUD SUDAN. LA TREGUA DOPO LA GUERRA

Non se ne parla già più ma in Sud Sudan si continua a morire….in mezzo a milioni di sfollati,  le emergenze umanitarie epocali di questo XXI secolo pieno di incognite.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

Riek Machar

Riek Machar

Dopo cinque mesi di guerra inter-etnica, un milione e mezzo di sfollati e migliaia di morti, il 9 maggio è stato firmato l’accordo di cessate il fuoco fra il Presidente del Sud Sudan Salva Kiir e il suo ex vice Riek Machar. La tregua, raggiunta su forte pressione internazionale, prevedeva la formazione di un Governo di transizione nazionale per le elezioni previste nel 2015. Le parti si sono impegnate a facilitare l’ingresso agli aiuti alimentari e sanitari per la popolazione.

La rivalità fra il Presidente e il suo vice era esplosa il 15 dicembre 2013 quando Salva Kiir accusò Machar di tentato colpo di Stato costringendolo alla fuga.

L’antica ostilità tra i Dinka che costituiscono il 38% della popolazione e i Nuer che ne sono il 17% riemerse fra Kiir, d’etnia Dinka, e Machar, d’etnia Nuer.

La tensione si è ripercossa in seno al Movimento per la Liberazione del Popolo Sudanese divenuto Esercito governativo e i soldati delle due etnie hanno iniziato a combattersi.

Una prima tregua mediata il 14 gennaio 2014 sotto l’egida del blocco regionale dell’Africa Orientale, l’Intergovernamental Authority on Development (IGAD), naufragò subito mentre i contendenti si scambiarono accuse di violazioni.

Salva Kiir

Salva Kiir

La missione ONU con ottomila peacekeeper ha calcolato nei primi 4 mesi di guerra oltre 1 milione di sfollati, di cui 803 mila nel Paese e 254 mila fuggiti nei Paesi limitrofi. Oltre 67 mila sono i civili ospitati presso le basi delle United Nations Missions in Sudan (UNMIS).

Durante il conflitto è stata commessa ogni atrocità: omicidi di uomini, donne e bambini, esecuzioni a sangue freddo, stupri, devastazione di interi quartieri. I campi profughi gestiti dall’UNMIS sono in piena emergenza umanitaria a rischio colera, malaria, malnutrizione.
Fino all’attacco alla base ONU di Bor a 120 km dalla capitale Juba che ha causato 58 morti e oltre 100 feriti costringendo i Governo a inviare l’Esercito a difesa della Missione.

Il numero degli sfollati nel compound di Bor dopo l’assalto è passato dagli iniziali 5 mila a oltre 12 mila, per la maggioranza radunati nel Benti Hospital e nella sede del World Food Program. Da allora, mentre USA e Unione Europea minacciano sanzioni mirate contro chiunque ostacola i fragili tentatici di tregua, i militari sono dovunque.

Le pressioni vengono anche da Cina, Russia e Malesia, fra i maggior investitori petroliferi nel Sud Sudan, ricchissimo di fonti energetiche, dove fra le altre operano la China National Petroleum Corp., l’Indian ONGVidesh e la Petronas della Malesia.

Risolutiva è stata la missione nella prima settimana di maggio del Segretario Generale dell’ ONU Ban ki Moon e del Segretario Generale del Dipartimento di Stato John Kerry che hanno paventato i timori dell’intera Comunità Internazionale sulla situazione che sta assumendo i contorni di quella della Repubblica del Centro Africa.

Sulla tenuta dell’accordo è difficile un pronostico.

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