ATTACCO ALL’ IRAQ. LA STRATEGIA DI ISIS E I SUOI ALLEATI

ATTACCO ALL’ IRAQ. LA STRATEGIA DI ISIS E I SUOI ALLEATI

 

Una incalzante analisi della situazione attuale in Iraq: chi combatte chi e perché? Cosa accade tra ISIS, peshmerga, Consiglio di Cooperazione del Golfo? Una situazione complessa che Madia, ottimo conoscitore di quelle zone, cerca di spiegare con molti particolari interessanti.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

Moschea in Kirkuk

Moschea in Kirkuk

In poco più di una settimana i militanti dell’Islamic State of Iraq and Sham consolidano le posizioni nell’arco Nord della Siria, da Ovest a Est lungo il confine con la Turchia e da Aleppo ad Hasakah passando per Raqqa e Deir al Zour.

ISIS valica il confine con l’Iraq e conquista a Nord Ovest la città sciita e turkmena di Tal Afar, nella provincia di Ninawa, tra Mosul e il confine con la Siria, scende verso il Centro a Kirkuk, difesa dai peshmerga curdi, prende il controllo della provincia di Baiji, ricchissima di petrolio, e si divide in due colonne, una a Tikrit, a Nord della provincia di Al Anbar, l’altra a Samarra, a 70 km da Baghdad.

Tal Afar è il corridoio strategico che consente a ISIS di rafforzare la presenza nelle 4 province a Nord – Ninawa, Salah-e-Din, Anbar e Diyala – spaccando il Paese in tre: curdi a Nord, jihadisti sunniti a Nord Ovest e a Nord Est e Autorità irachene a Sud.

Su un sito jihadista ISIS annuncia la creazione del Califfato Islamico pubblicandone una mappa che si estende dal Nord della Siria, lambisce il Libano e la frontiera giordana e abbraccia Nord e Centro dell’Iraq con l’obiettivo di prenderne la capitale.

Mentre oltre un milione di persone fugge verso la regione autonoma del Kurdistan iracheno e le Nazioni Unite fanno stato di 1.700 soldati massacrati dai jihadisti e di decine di migliaia di militari governativi riunitisi ai ribelli, il Governo lancia una controffensiva e riconquista Mutassim a Nord della capitale, Ishaqi e Al Dhuluiya nella provincia di Salah-e-Din e bombarda Tikrit.

Nel raid rimane ucciso Ahmed al-Duri, figlio di Izzat Ibrahim al-Duri, vice Presidente iracheno al tempo di Saddam Hussein e uno dei più ricercati esponenti del regime di cui guidava il braccio militare. Ahmed al-Duri è morto mentre combatteva con altri 50 militanti di ISIS.

E’ la prima prova che ISIS non costituisce solo un gruppo scissionista di Al Qaeda ma molto di più. Intanto la guerra attrae altri attori.

Il Presidente dell’Iran Rowani si dichiara dall’inizio della campagna di ISIS pronto a sostenere l’Iraq inviando battaglioni di pasdaran e il Grande Ayatollah Alì emette una fatwa chiedendo a tutti gli sciiti di difendere il Paese amico dall’attacco dei jihadisti sunniti.

Anche gli USA promettono a Baghdad il pronto invio di armamento, droni, missili e aerei da combattimento.

Intanto gli USA inviano nel Golfo una nave da trasporto anfibio con 550 marines che si unisce al gruppo navale guidato dalla portaerei USS George H.W. Bush, mentre con ONU e Australia si preparano ad evacuare staff e personale non essenziale delle loro rappresentante diplomatiche.

Solo l’Arabia Saudita, che non ha mai voluto mandare il suo Ambasciatore a Baghdad, non parla e il Re Abdallah continua il suo soggiorno in Marocco.

Chi paga ISIS e chi lo rifornisce di armamento, mezzi di trasporto e logistica?

Porta d'ingresso della cittadella di Kirkuk

Porta d’ingresso della cittadella di Kirkuk

Chi è interessato a smantellare la mezzaluna sciita guidata da un Iran che la nuova linea moderata sta riavvicinando alla Comunità Internazionale e ne ha consentito la ripresa di contatti bilaterali con gli USA dopo 33 anni?

Per rispondere è utile ricordare le campagne mediatiche a guida Arabia Saudita con l’emittente Al Arabya e Qatar con Al Jazeera che hanno accompagnato e orientato le rivolte nei Paesi arabi dell’Arco Mediterraneo sin dallo scontro dei saharawi del Fronte Polisario nell’Ovest del Marocco nell’ottobre 2010.

Le famiglie reali del Consiglio di Cooperazione del Golfo in eccellenti rapporti con USA e Paesi Occidentali si fondano sul wahabismo la cui corrente radicale salafita ispira molti jihadisti sunniti, come l’ISIS.

La campagna mediatica serve a delegittimare leader ritenuti non più in grado di assicurare stabilità e i manifestanti vengono immediatamente emarginati da formazioni radicali, armate, addestrate e finanziate dai generosi Paesi del Golfo. Il modus operandi si adatta al Paese di interesse. Viene pilotata la rimozione dei leader come nei casi di Tunisia e Yemen i cui rispettivi Presidenti sono in Arabia Saudita, l’arresto come in Egitto con Mubarak e il colpo di Stato sempre in Egitto con Morsi.

Non è esclusa la guerra: con l’intervento militare della stessa Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti in Bahrein durante la rivolta della maggioranza sciita, la Libia con l’ampio supporto di USA e Paesi Occidentali a guida U.K. e Francia.

Un particolare accanimento è riservato ai Paesi della mezzaluna sciita, dove operano formazioni jihadiste vicine ad Al Qaeda armate, finanziate e supportate logisticamente dal CCG e da coalizioni della Comunità Internazionale a geometria variabile e con la costante presenza della Turchia.

In Iran Jundallah, in Libano le Brigate Abdullah Hazzam, in Iraq ISIS e numerose altre, in Siria lo stesso ISIS, il Fronte al Nusra e un insieme di confliggenti gruppi di “oppositori”.

Il progetto è la conquista dell’egemonia regionale con ridimensionamento dell’Iran.

Il leader di ISIS Abu Bakr Al Baghdadi dal 2003 fa parte dei qaedisti dell’Islamic State of Iraq che combattono gli USA e vi rimane sino al 2013 quando viene escluso da Ayman al Zawahiri che lo accusa di non obbedire alla strategia del movimento e di combattere contro al Nusra.

Con chi combatte Baghdadi?

Il 13 giugno il Washington Post stima in 90 mila i soldati sunniti che hanno disertato per congiungersi con i rivoltosi e favoriscono l’immediata caduta di Mosul e Tikriti ma non ne spiega la causa.

Baghdadi ha stretti rapporti con Jaysh Rijal al-Tariqa al al-Naqshabandia (JRTN – The Army of the Men of the Naqshbandi Army), organizzazione di resistenza attiva dal 2003 ed emersa solo nel 2006 dopo l’esecuzione di Saddam Hussein. E’ formata da numerosi gruppi clandestini la cui ideologia è sunnita islamica ispirata dal Naqshbandi Sufi Islamism, dal nazionalismo islamico e dal Ba’athism Saddamista e contraria ad Al Qaeda che ne osteggia l’ideologia Sufi. Organizzazione Sufi Musulmana, prende nome dal Naqshanandi Sufi Order con una ideologia ondivaga che la porta ad aderire alle formazioni jihadiste ritenute più forti.

Ha contatti con Ansar al-Sunna, the Islamic Army of Iraq, 1920 Revolutionary Brigade, gruppi che rifornisce di armi, denaro, informazioni e basi sicure. Di fatto è parte di un ombrello di gruppi coordinati dal Supreme Command for Jihad and Liberation, operante con l’acronimo arabo JRTN.

Il JRTN ha il Quartier Generale a Kirkuk e opera in Iraq, Nord Est iracheno e Triangolo sunnita siriano. Conta oltre 5 mila combattenti, lotta contro la Coalizione Occidentale per restaurare l’ideologia Ba’athista, le Forze di Sicurezza e le Forze Speciali irachene, i Peshmerga curdi, il Mahdi Army e i Badr Corps. Ne è esponente di rilievo Izzat Ibrahim al-Douri, noto anche come Naqshbandi Sheikh, e leader del New Baath Party.

Il JRTN nell’aprile 2013 conquista la città di Sulaima Bek, a 170 km da Baghdad, dopo una feroce battaglia con le Forze di Sicurezza irachene, lasciando il giorno dopo la città.

Dopo scontri ad Hawija, i militanti del JRTN organizzano le forze a Ninewa e nel luglio 2013 prendono il controllo di Mosul. Nel gennaio 2014 insieme a ISIS prendono Falluja e parte di Ramadi.

JRTN opera prevalentemente da Kirkuk e nel Nord iracheno ed è legata a Izzat Ibrahim al-Douri, esponente del Naqshbandi Order ritenuto il più vasto gruppo costituito da Baathisti che eseguono attentati a Baghdad, Al-Anbar, Ninawa, Diyala e Salah al-Din.

Al-Douri è il collettore dei finanziamenti di JRTN anche grazie al suo ruolo di ala armata dell’Iraqi Ba’ath Party.

A livello strategico il JRTN utilizza il metodo della guerriglia urbana e la sinergia con altri gruppi armati.

Sono divisi in nuclei di 7 -10 militanti guidati da un Emiro, dislocati in ogni provincia e operano con alte misure di sicurezza.

Gli Emiri obbediscono alle disposizione dell’Emiro del Jihad o al Grande Sheikh of al-Naqshabandia.

Nel 2009, l’intero gruppo siriano obbedisce ad al-Douri mentre i restanti leader si muovono fra Siria e Iraq.

Altri esponenti sono: Sheikh Abdullah, Mustafa al-Naqshbandi, Abdullah Ibrahim, Muhammed al-Juburi, comandante Muhammad Ahmad Salim, Wathiq Alwan al Amiri e Muhammed Muhammed Abd al-Jabbar al Rawi, portavoci fino all’arresto nel 2009, comandante Qaid Shehab al-Douri, detenuto da 2010.

La improvvisa caduta di Mosul e Tikrit e la diserzione di 90 mila soldati governativi sono dovuti alla partecipazione nella battaglia di Izzat Ibrahim al Douri, accolto dai sunniti baathisti come un liberatore dalla feroce repressione a cui sono sottoposti i sunniti dal Premier Nouri al Maliki.

La parcellizzazione dell’Iraq in un’area curda al Nord, il Centro sunnita e il Sud sciita è altamente probabile ma non è ascrivibile solo ad Al Qaeda.

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