IRAQ. GUERRA CIVILE

IRAQ. GUERRA CIVILE

Esportare la democrazia…quale è il significato di questa affermazione? E’ possibile? Si sono svolte le libere elezioni politiche in Iraq ma la guerra civile imperversa e si estende…

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

A un mese dalle elezioni del 21 maggio, il confermato premier Nouri al-Maliki non ha ancora formato il Governo e il Paese si trova in un clima di crescente guerra civile su basi confessionali e settarie. Il bilancio peggiore degli ultimi 5 mesi è di 78 morti causati da attentati con bombe contro i quartieri sciiti di Kadhimiyah e Sadr City di Baghdad, Mosul, Amin e Jihad. Il numero delle vittime dall’inizio dell’anno è oltre 4 mila.

Il Presidente Maliki con la sua Coalizione “Stato di legge” ricerca alleanze, finora senza risultati. Non sono disponibili per una coalizione di Governo il Partito Democratico Curdo di Massoud Barzani, i Partiti sciiti Mutawin e Ahrar di Mouqtada al Sadr, le opposizioni sunnite e laiche di Iraqiya e United Bloc. Partiti che avrebbero i numeri per aggiudicarsi la maggioranza con 180 seggi su 328. Il Premier può contare solo sull’appoggio del Patriotic Union of Kurdistan, Al Arabiya e Solution, non sufficienti per assicurare la maggioranza anche a causa di conflittualità fra loro stessi.lyonalislam-isis tank_1024

Epicentro del conflitto rimane l’area sunnita di Al Anbar, dove i residuali abitanti si organizzano per contrastare l’attivismo dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante ( sigla inglese: ISIS) ma criticano la posizione del Premier che ritengono punitiva per la componente sunnita, oggetto delle leggi emergenziali governative oltre che dagli attacchi di ISIS.

Nelle province di Ramadi e Fallujah la popolazione rimasta è riparata in scuole e moschee e versa in condizioni dichiarate critiche dai locali responsabili di Human Rights Watch essendo rimasta priva di alimentazione e presidi sanitari.

Gli stessi sciiti non ostili a Maliki tentano inutilmente di frenarne le campagne militari contro ISIS ad Al Anbar e aree vicine per limitare le conseguenti ricadute nei confronti della popolazione.

Contestualmente agli ultimi eventi in Iraq, il Presidente statunitense annuncia da West Point che la lotta al terrorismo non è terminata e cita come esempio da riprodurre il “modello iracheno” per l’indebolimento di Al Qaeda e il patrimonio dei successi ottenuti.

In realtà il Presidente degli USA ripropone quella teoria del “caos costruttivo” utilizzata dal suo predecessore per l’attacco all’Iraq nel marzo 2003.

Combattenti ISIS

Combattenti ISIS

Teoria secondo la quale l’attrazione di formazioni jihadiste di diverse matrici nei Paesi in guerra ne determinerebbe l’indebolimento favorendo contemporaneamente l‘instaurazione della democrazia. Ipotesi sconfessata dai fatti che risultano dalle più recenti guerre: le tre del Golfo nel 1980/1988 Iraq- Iran, 1990/1991 Iraq-Kuwait, 2003/2011 USA e U.K/Iraq; le due guerre in Afghanistan nel 1979/1989 URSS-Afghanistan e 2002/2014 USA-Afghanistan; quella in Libia nel marzo/ottobre 2011 Libia –USA-NATO.

Inoltre, nel Rapporto “Giugno 2014” pubblicato pochi giorni prima della Conferenza del Presidente Barak Obama, l’American Journal of Public Health indica per quanto riguarda l’Iraq che “il bilancio delle vittime, per la maggior parte civili, oscilla da 124 mila a 655 mila sino a 1 milione, rivalutati ultimamente sino a 1,5 milioni”.

Infine, la situazione socio-economica e di sicurezza dei Paesi è precipitata in uno stato di caos se non di piena guerra civile e i movimenti jihadisti di diversa matrice non si sono affievoliti ma al contrario rinforzati.

Per quanto riguarda la conquista della democrazia: Afghanistan, Iraq e Libia aspettano.

A livello prospettico, si rammenta che dopo le elezioni del 2010, Al Maliki impiegò 9 mesi prima di formare un Governo. Non sembra esistano le condizioni per risultati migliori.

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