Quale Africa? Il continente nero tra panislamismo radicale, il traffico illecito di uomini, diamanti e armi.2.

Quale Africa? Il continente nero tra panislamismo radicale, il traffico illecito di uomini, diamanti e armi.2.

Dopo i diamanti, le armi sono anche un serbatoio di denaro importante per le milizie africane oltre che per gli eserciti cosiddetti regolari. Lotte tribali sono in atto e forse scontiamo proprio gli errori del lontano (ma non troppo per l’analista storico), Congresso di Berlino del 1885.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

I protagonisti del Congresso di Berlino in un dipinto d'epoca

I protagonisti del Congresso di Berlino in un dipinto d’epoca

2. Le armi

Diretta conseguenza della vendita delle pietre in Africa, è la diffusione di armi leggere che contribuisce all’instabilità in ampie zone del continente. Oltre alle armi provenienti da altre parti del mondo (Europa dell’Est e Centro Asia), si è affermata una produzione locale che ha avuto nel tempo sviluppi inquietanti. Tra i Paesi produttori di armi vi sono: Sudafrica, Zimbabwe, Nigeria, Namibia, Uganda, Kenya e Tanzania ed Egitto.

Il Sudafrica si colloca al primo posto. Il Paese ha sviluppato un’industria militare raffinata e diversificata. Vi sono circa 700 aziende che operano nel settore militare e che impiegano 22.500 addetti. La maggior parte sono piccole e medie imprese. Il colosso statale Denel controlla le aziende più rilevanti. Per quanto riguarda le armi leggere, i produttori sono: Vektor (pistole, fucili d’assalto, mitragliatrici, mortai, cannoni automatici da 20 mm); MGL Milkor Marketing (lanciagranate automatici), Mechem (fucili antimateriali da 12,7mm e da 20 mm), l’ARAM (mitragliatrici pesanti da 12,7 mm), la New Generation Ammunition (munizione di diversi calibri), la LIW (cannoncini da 30 e 35 mm), la Truvelo Armoury Division (pistole, fucili e parti di armi leggere) ed infine la Pretoria Metal Pressings (munizioni 12.7 x 99mm, 12.7 x 76mm, 9 x 19mm, 7.62 x 51mm, 5.56 x 45mm).

Il paese esporta prodotti bellici in sessantuno stati diversi, le aree più privilegiate sono il Medio Oriente e l’Africa. Il cliente con maggiori commesse è costituito dall’Algeria. Il Paese nord africano da solo rappresenta il 28% degli introiti delle armi vendute nel continente dal Sudafrica. Al paese nordafricano sono stati venduti UAV (aerei a pilotaggio remoto) da ricognizione, oltre ad un pacchetto di aggiornamento su licenza (derivato dal Denel AH-2 Rooivalk) per elicotteri d’attacco Mil Mi24 Hind di origine russa. Il Sudafrica, inoltre, riceve commesse da Paesi come: India, Repubblica Popolare Cinese, Emirati Arabi Uniti, Taiwan, Singapore, Thailandia, Camerun, Cile, Colombia, Kuwait, Oman, Perù, Swaziland, Congo Brazzaville, Botswana, Uganda, Ruanda, Tunisia, Costa d’Avorio, Kenya, Zambia, Mozambico e Messico.

Il Sudafrica non è il solo paese a possedere un’industria bellica statale.Unknown-2 Lo Zimbabwe ha ereditato un iniziale industria bellica dal passato regime (ex Rhodesia). Nel 1984, è stata fondata la Zimbabwe Defence Industries (ZDI), produttrice di armi leggere, munizioni e mine. Il know how per la produzione di esplosivi e mortai è stato fornito dalla Francia; a sua volta la Cina ha impiantato una fabbrica di munizioni per armi da fanteria. I migliori clienti dalla ZDI sono: l’Angola, gli ormai ex ribelli sudanesi e la Repubblica Democratica del Congo. In Congo, le truppe di Mugabe sostengono il Presidente Kabila, importando sistemi d’arma dalla ZDI. Con questo modus operandi Harare ha ottenuto il 37,5% delle azioni della Gecamines (azienda mineraria di stato del Congo). La ZDI produce sostanzialmente armi leggere (copie delle pistole mitragliatrici del tipo israeliano IMI-UZI e di quella ceca CZ25) e munizioni (dal 9 mm a 20 mm), proiettili di mortaio (da 60, 81 e 120 mm) infine granate antiuomo e anticarro.

Un altro produttore di armi è l’Uganda che dispone di una modesta industria bellica. Nel Paese sono presenti tre costruttori di sistemi d’arma. La più grande è Nakasongola Arms Factory, è di proprietà cinese (joint venture tra Pechino, tecnici ed imprenditori di origine cinese, nord coreana e sudafricana). L’installazione si trova nella regione di Gulu (dove sono presenti i resti del Lord’ Resistance Liberation Army-LRA) e produce armi leggere e mine, è fornitore ufficiale dell’esercito del Burundi. Vi è poi la Saracen che rifornisce l’esercito ugandese, e la cui proprietaria è della Strategic Resources Corporation, società di facciata dietro la quale si cela la ben più famosa Executive Outcomes (EO), una Compagnia Militare Privata (PMC) di origine sudafricana, la quale ha cessato ufficialmente le attività il 31 dicembre del 1998, ma che si pensa ancora attiva sotto acronimi più discreti. L’ultima compagnia è la Ottoman Engineering, specializzata in armi leggere.

Spostandoci ancora più a oriente, la Kenya Ordnance Factories Corporation produce munizioni per pistole e fucili d’assalto. La fabbrica è stata costruita con il concorso della FN belga (Fabrique Nationale de Herstal) ed è stata inaugurata nel 2000. Il governo Keniota “garantisce” che la sua produzione è destinata solo alle locali forze armate e che non intende concedere licenze di esportazione.

L’unico produttore bellico dell’Africa occidentale è la Nigeria. La Defence Industries Corporation of Nigeria (DICON), è nata nel 1964, tramite una legge ad hoc, il Defence Industries Corporation of Nigeria Act. Questa industria ha avuto un ruolo importante durante la guerra per la secessione del Biafra (1968-70). Affidata a manager stranieri, l’azienda è stata dichiarata fallita nel 1972. La società ha continuato a funzionare a corrente alterna per un trentennio, sotto la guida dei militari. Alla fine del decennio ‘90, il governo civile ha rilanciato la produzione militare, nominando un nuovo consiglio di amministrazione e avviando contatti con la Russia per il know-how tecnologico.

L’azienda impiega attualmente circa 700 persone nello stabilimento di Kaduna

Cadette dell'Accademia Difesa di Kaduna

Cadette dell’Accademia Difesa di Kaduna

che produce armi leggere e munizioni. Nella fabbrica di Bauchi sono, invece, realizzati veicoli corazzati leggeri. Ufficialmente le armi sono destinate solo alle forze armate e polizia nigeriane. Tra i sistemi d’arma prodotti vi sono: Nigerian Rifle 1 Model 7.62 mm(NR 1 – 7.62 su licenza britannica-belga), Nigerian Pistol 1 – Model 9MM (NPI – 9mm), Sub-Machine Gun (PM 12S Calibre 9MM su licenza della italiana Beretta) DICON SG 1 – 86 Single Barrel Shot Gun e munizionamento per diversi calibri.

In Nord Africa, il maggior produttore di armamenti è l’Egitto. Il Paese esporta anche nell’Africa subsahariana. Nel 1992, esattamente due anni prima del genocidio in Ruanda, fu firmato un contratto di acquisto di armi egiziane a favore dell’esercito ruandese. Il contratto, garantito finanziariamente da una banca francese, comprendeva mortai da 60 e 82 mm, 16.000 proiettili di mortaio, alcuni obici da 122 mm con 3.000 colpi, lanciarazzi, esplosivi al plastico, mine antiuomo e 3.000.000. di proiettili di piccolo calibro .

Tra i fabbricanti egiziani di armi leggere vi sono: Abu Kir Engineering Industries (munizioni di piccolo calibro), Al-Ma’asara Company for Engineering Industries (munizioni di piccolo e grosso calibro), Arab International Optronic (AIO) (sistemi di puntamento), Helwan Machine Tools Company (mortai), Kaha Company for Chemical Industries (granate da fucile, bombe a mano), Maadi Company for Engineering Industries (pistole, fucili, mitragliatrici leggere e pesanti, lanciagranate), Sakr Factory for Developed Industries (razzi anticarro), Shoubra Company for Engineering Industries (munizioni).

Non solo armi ad Abu Kir...

Non solo armi ad Abu Kir…

Tutto questo volume d’affari, toglie molto a quello che dovrebbe essere il vero elemento per il contrasto al terrorismo di matrice islamica radicale ovvero: lo human approach (approccio umano), cioè la conoscenza specifica dei problemi della popolazione attraverso uno studio degli elementi culturali delle varie realtà. Lo studio antropologico è costantemente ignorato. L’Africa, vive ancora le conseguenze del congresso di Berlino del 1884, quando la miopia europea sulla scia dell’espansionismo coloniale, si orientò verso una divisione delle sfere d’influenza che si trasformarono in veri e propri confini. Queste linee tracciate sulla carta geografica non tenevano conto delle divisioni tribali della popolazione e crearono scompensi inimmaginabili, sfociando nel tempo in veri e propri conflitti. Lo studio in loco di queste realtà è importante e dev’essere coadiuvato da uno studio a margine di esperti in grado di incrociare le miriadi di dati prodotti. Così da avere una migliore prospettiva degli elementi sclerotizzanti delle società. L’elemento tradizionale in questa parte della terra conta quanto se non di più delle innovazioni tecnologiche. Uno smartphone (oggetto apprezzabile dalla totalità degli individui) non ha valore di fronte alle tradizioni tribali. Lo stesso concetto di democrazia di queste realtà è distante da quello che noi occidentali abbiamo sviluppato nel corso dei secoli.

Il rispetto e l’assimilazione di quelle che sono le tradizioni legate a un migliore sviluppo del welfare-state sono la chiave al contrasto del terrorismo islamico. Questo sfrutta al fine propagandistico le deficienze culturali occidentali per attrarre sempre più adepti nelle sue fila, sia in Africa sia in Europa. E’ infine prioritario contrastare con ingenti risorse quegli attori come la Cina, i quali s’inseriscono nella vita dei paesi Africani senza nessun riguardo per quelle che sono le condizioni dei diritti umani in quelle zone. Supportando i regimi dittatoriali in cambio dello sfruttamento delle risorse naturali. Fattore di non poco conto: è il sostegno che questi stati danno a fazioni terroristiche islamiche che vanno a danno delle compagnie occidentali, che costrette ad abbandonare il Paese, sono sostituite da quelle dello stato che appoggia questi movimenti.

La situazione in Africa, in sintesi, sembra assumere i contorni di un nodo gordio che non conosce soluzione. La riflessione più banale sembra essere quella per cui non basti un semplice colpo di spada per poterlo sciogliere, ma forse un’utopica riconfigurazione dell’intero sistema di vita occidentale. Troppi sono gli interessi in gioco, troppe le situazioni in grado di creare imbarazzo ai vari attori coinvolti, soprattutto troppa la speranza di sensibilizzazione. Questa è l’unica vera trappola di questo pantano di cui nessun occidentale vuol mai occuparsi, se non per sentire una sensazione d’imbarazzo nella propria coscienza. Si, perché la verità è che l’Africa e le sue guerre non sono solo provocate da gente senza scrupoli o dall’estremismo religioso. Un famoso film di Alberto Sordi dal titolo: “Finché c’è guerra c’è speranza”, riassume molto bene il vero problema dell’Africa.

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Beretta PM12S

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