E se alla fine si scoprisse che petrolio e diamanti e altri minerali sono i veri dominatori del mondo? Hanno potere intrinseco e chi si appropria di giacimenti e miniere ottiene quel potere. In fondo le lotte di qualsiasi tipo sono per il potere e per lottare occorrono armi e per avere armi occorre molto denaro anche in termini di diamanti, minerali vari…e in Africa tutti questi serbatoi di potere esistono in grandi quantità…cosa può allora valere la vita di un essere umano? Meno di niente. Può essere amaro ma è così.
Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini
1. I diamanti
Il terrorismo di matrice islamico-africana sembra subire un’inversione di tendenza rispetto al passato. L’utilizzo della violenza legata ad azioni eclatanti mostra che in Africa sembra delinearsi una sorta di panislamismo radicale che trascende gli interessi particolari delle varie organizzazioni terroristiche regionali. Sappiamo molto bene che l’estremismo islamico in Africa come in Asia Centrale si radica dove il welfare-state non è presente. In questo l’Africa è regina, contenendo al suo interno un altro degli elementi più importanti per lo sviluppo delle crisi: la rivalità tribale. Molto più che in Asia Centrale abbiamo una stratificazione di etnie e tribù in continua lotta con il potere centrale.
Gli episodi legati al terrorismo islamico in Africa degli ultimi tre anni ci hanno trasmesso alcune importanti lezioni, la prima come, già detto in precedenza, è che in Africa l’islam radicale si sta dando una missione che trascende gli interessi particolaristici. L’ampliamento degli obiettivi di
al-Shabaab in ottica transnazionale è funzionale al progetto di al-Zawahiri, per cui il continente Nero deve divenire la nuova frontiera della jihad. Secondo il leader di Al-Qaeda, paesi come la Nigeria possiedono le caratteristiche per ospitare gli embrioni virali di al-Qaeda e farne il nuovo obbiettivo della riscossa musulmana radicale. La rete somala consente, infatti, di porre sotto costante pressione gli attori del Corno d’Africa e di garantire un asse diretto dall’Asia Centrale al continente nero, che ha il suo punto di arrivo nelle regioni centrali africane, contraddistinte da una continua instabilità politica e da vuoti di potere. Un quadro, questo, che si sta già delineando grazie ad un coordinamento stabile tra i più importanti gruppi jihadisti africani che ha per vertici Al-Shabaab, Boko Haram e le formazioni sahelo-sahariane. Il secondo insegnamento consiste nell’aver compreso che le cellule comunicano tra di loro con gli strumenti del network 2.0 (Social media). La lezione più eclatante ci è però stata imposta proprio su quello che è da secoli uno degli aspetti più solidi delle forze armate occidentali, ovvero il comparto della logistica.
Molto più che in passato, questi gruppi, possiedono un’organizzazione di tutto rispetto (ereditata dall’esperienza in Afghanistan). Le vie di rifornimento di materiali quali armi e munizioni sono più difficili da individuare. L’orogenesi del territorio, così complessa, dà un vantaggio tattico e strategico ai gruppi terroristici dell’area, superiore a quello in Asia centrale. Queste fazioni sono in grado di sparire e ricomparire senza che strumenti come satelliti o droni possano dare qualche risultato. Del resto l’Africa con i suoi 1.020.201.229 è il secondo continente più popoloso del globo. Anche strumenti tecnologicamente avanzati come i droni Global Hawk non consentono di ottenere risultati determinanti nella lotta al terrore. Tali tecnologie richiedono ingenti costi di utilizzo e nonostante le capacità dell’RQ-4 siano notevoli, esso è in grado di sorvegliare quasi 100 000 chilometri quadrati (40.000 miglia quadrate) di terreno di giorno ma il territorio Africano si estende per circa 30.000.000 di chilometri quadrati quasi 100 volte l’intera penisola Italiana. A sua volta anche l’uso dei satelliti comporta ingenti spese. Cambiare il grado d’inclinazione delle lenti di un satellite e mantenerlo in un orbità geostazionaria fissa a 36.000 km sopra la superficie terrestre ha dei costi altissimi e non può essere dedicato alla costante ricerca di un nemico invisibile che non ha una divisa e che non è chiaramente identificabile.
L’elemento economico sembra perciò diventare quello determinante. Da dove arrivano i soldi per portare avanti la guerra del terrore? Questi fondi arrivano spesso da quei Paesi che formalmente sembrano estranei al terrorismo islamico radicale come Qatar e Arabia Saudita, ma che attraverso il meccanismo dei fondi sovrani foraggiano le cellule del terrore per due semplici ragioni. La prima è per mantenere fuori dal territorio nazionale elementi destabilizzanti, che possano compromettere la loro politica interna e la loro visibilità internazionale. Sulla scia di quanto già sperimentato due millenni fa dall’impero Romano d’oriente quando spingeva, con l’utilizzo di tributi, le tribù centro asiatiche verso l’occidente per evitare squilibri interni legati a possibili incursioni militari dei cosiddetti barbari. La seconda ragione ha un fine più sottile ma in sè anche banale. E’ il denaro. Arrivata al picco massimo, la curva della crisi decresce. Questi Paesi attraverso il loro intervento finanziario e i loro elementi di soft-power, contribuiscono alla stabilizzazione con un intervento massiccio nell’economia dei governi che per effetto stesso delle crisi che affrontano, necessitano di ingenti quantità di denaro. Questo porta i Paesi interessati ad entrare, per ovvie ragioni, nell’orbita di influenza economico-politica di questi stati dal duplice aspetto. Per raggiungere qualche effetto positivo si dovrebbe procedere perciò alla limitazione di questi strumenti tramite una legislazione più severa, anche se a tutt’oggi appare utopistico, visto il grande afflusso finanziario che producono nei confronti di Attori occidentali impegnati attivamente nella lotta contro il terrorismo islamico radicale.
Il terrorismo islamico non si alimenta solo grazie a questi escamotage finanziari, ma anche tramite le attività illecite che gestisce, come: il traffico di droga, di diamanti, d’armi e quello di esseri umani conseguentemente a tutto ciò che ne segue ovvero il traffico d’organi, di schiavi e prostituzione. Negli anni sono stati creati dei veri e propri percorsi, che conducono, attraverso il deserto del Sahara, disperati che dall’Africa equatoriale, orientale e del Golfo di Guinea, sognano una libertà che esiste solo nelle loro menti e che non concorda per niente con quella file dei loro aguzzini. Queste persone che giungono sulle coste dell’Europa continentale, sono vittime di vili e profonde umiliazioni e maltrattamenti. Le organizzazioni malavitose sfruttano spesso le deficienze dei governi rivieraschi del Mare Nostrum per approntare vere e proprie basi logistiche dalle quali partono i viaggi della speranza. Ulteriore elemento di forza per loro, è l’opinione pubblica occidentale che vede nell’accoglienza di queste persone l’unico rimedio al problema della costante migrazione e che non comprende che così facendo, contribuisce lei stessa al finanziamento di queste organizzazioni malavitose, non spingendo i propri governi ad agire li dove il problema risiede, ovvero in queste vere e proprie fortezze degli schiavi.
Questi disperati il più delle volte cercano di fuggire dal lavoro nelle miniere di diamanti. Queste pietre dovrebbero essere simbolo d’amore eterno, ma per molte persone che vivono nei paesi africani ricchi di diamanti, i minerali scintillanti rappresentano più una maledizione che una benedizione. Troppo spesso, le miniere di diamanti del mondo producono non solo pietre preziose, ma anche guerre civili, violenze, violazioni dei diritti umani, sfruttamento di lavoratori, degrado ambientale e indicibili sofferenze umane. Solo negli ultimi due decenni, sette paesi africani hanno subito conflitti civili brutali alimentati da diamanti tra cui: Sierra Leone, Liberia, Angola, Repubblica del Congo, Costa d’Avorio, la Repubblica Centrafricana e la Repubblica Democratica del Congo. I diamanti rappresentano il carburante attraverso il quale si alimentano guerre civili e il terrorismo islamico, che grazie a questo traffico ottiene proventi per l’acquisto di armi. Il tragico risultato è lo spargimento di sangue, la perdita di vite e scioccanti abusi dei diritti umani, che vanno dallo stupro all’utilizzo dei bambini soldato.
I diamanti che alimentano le guerre civili sono spesso chiamati “Blood diamond” (Diamanti di sangue). Grazie all’estrazione di queste pietre, i conflitti civili in Costa d’Avorio, nella Repubblica Centrafricana e nella Repubblica Democratica del Congo continuano silenziosamente a mietere vittime e ad attrarre adepti alla causa estremista islamica, che si nutre e si alimenta dei proventi del traffico. Il tentativo del settore diamantifero di arginare la violenza legata all’estrazione dei diamanti, ha portato alla creazione della certificazione Kimberley: un sistema di autenticazione internazionale dei diamanti, in vigore dal 2003. La certificazione, però, pone solo il divieto dell’importazione di diamanti che finanziano movimenti ribelli in paesi in guerra, ma non di quelli che sono estratti con metodologie che non rispettano i diritti umani, cioè con minatori ridotti in schiavitù e uccisi, torturati, donne violentate e picchiate. Invece di porre un blocco all’esportazione, i compratori certificano questi diamanti come: “conflict free” permettendone la spedizione ai consumatori di tutto il mondo. Nonostante le uccisioni, le torture e le altre violazioni dei diritti umani nelle operazioni di estrazione di diamanti in Zimbabwe, il “Kimberley Process” certifica i diamanti del Paese per l’esportazione dando via libera alla vendita delle pietre nei negozi di gioielli di tutto il mondo.
La scoperta di un enorme giacimento di diamanti nel 2006 presso Marange nello Zimbabwe
, potenzialmente in grado di produrre circa 2 miliardi di dollari di diamanti grezzi l’anno, ha acuito il problema. Nel 2008, l’esercito dello Zimbabwe ha deciso di riservarsi i proventi dei giacimenti di Marange. L’esercito massacrò più di 200 minatori di diamanti, tramite attacchi aerei utilizzando i cannoni degli elicotteri con munizionamento da 30mm x165mm (cannoni GSh-30K armati con proiettili lunghi quanto una bottiglietta da 0,5l e di diametro superiore ad una moneta da 2 Euro con una velocità di volata di 900m/s). Da allora, l’esercito ha costretto adulti e bambini locali a lavorare nella miniera. I soldati puniscono i minatori di diamanti che disobbediscono con la violenza indiscriminata, compiendo omicidi, pestaggi, stupri e torture. I profitti sono utilizzati per arricchire i capi militari e aiutarli a mantenere al potere il presidente Robert Mugabe. A metà del 2009, un’inchiesta internazionale ha portato a una riduzione dell’esportazione di pietre dallo Zimbabwe. Le varie inchieste, tuttavia, non hanno portato a nulla di fatto, anche grazie agli interventi di personalità occidentali legate allo sfruttamento dei giacimenti. Nel frattempo, l’esercito continua a costringere la popolazione a estrarre diamanti ed ha creato campi in cui sono torturati i minatori non cooperativi.
In Costa d’Avorio anche se la guerra tra nord e sud è formalmente finita, permane una situazione di continua incertezza. Per evitare il finanziamento del conflitto attraverso i diamanti, le Nazioni Unite nel 2005 hanno emesso l’embargo sull’esportazione di diamanti. Tuttavia, il provvedimento è ben lungi dall’essere rispettato. Ogni anno, si contrabbandano circa 20 milioni di dollari di diamanti nei paesi limitrofi. L’Angola il quinto esportatore mondiale di diamanti, si avvale della certificazione Kimberley, ma un florido commercio di diamanti non ha fatto del Paese un produttore più responsabile. I campi di estrazione dell’Angola non si sottraggono a orribili violenze. Le vicende dello sfruttamento dei diamanti in questo Paese s’intersecano attivamente con quelle dei minatori della confinante Repubblica Democratica del Congo. La maggior parte dei lavoratori attraversa la frontiera illegalmente, sotto la supervisione dei soldati angolani che vengono utilizzati come guardie di sicurezza dalle varie aziende minerarie. I soldati che svolgono tale compito spesso richiedono tangenti alle lavoratrici femminili sotto forma di prestazioni sessuali, ricorrendo all’uccisione sommaria di tutti quelli che non collaborano all’estrazione.
Nel 2009, l’esercito angolano ha lanciato un’operazione che, nel lasso di tempo di un periodo di sette mesi, ha portato alla espulsione violenta di 115.000 minatori congolesi. Cosa assai simile avviene per la Repubblica Centrafricana. Questo piccolo paese nel cuore dell’Africa ha ora due gruppi ribelli che utilizzano i diamanti per finanziare le loro attività. Le fazioni lottano violentemente per prendere di volta in volta il controllo delle miniere di diamanti.
(continua)
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