L’IRA DI ISRAELE SUL RIFIUTO PALESTINESE

L’IRA DI ISRAELE SUL RIFIUTO PALESTINESE

Non è semplice la questione, anzi…è sempre più complessa anche perché di volta in volta i vari attori si irrigidiscono e il possibile (o impossibile) accordo stagna per mesi. Nessuno dei due attori principali ha ragione; nessuno dei due attori principali ha torto….la conseguenza è che da circa 70 anni la questione non si risolve. I civili sono le vere vittime di questo disaccordo: da una parte e dall’altra. L’errore iniziale? La Dichiarazione Balfour del 1917…Il cammino è lungo…troppo!

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualiniimages

(v. il precedente articolo pubblicato 22 aprile 2014)

Il respingimento da parte del Presidente Palestinese Mahmoud Abbas del compromesso raggiunto dal Segretario di Stato John Kerry il Premier Benjamin Netanyahu a Gerusalemme ha scatenato la furia della destra israeliana.

I radicali chiedono l’immediata annessione della Valle del Giordano e di tutti i blocchi di colonie in Cisgiordania senza considerare quelle di Gerusalemme Est non ritenendole colonie ma parte integrale della città unilateralmente annessa nella Legge Fondamentale dello Stato del 1980.

Mentre il Segretario Kerry dichiara da Algeri che il negoziato attraversa un momento critico, ancora una volta è il PLO a soccorrere l’ANP accusata da una pesante campagna mediatica di aver fatto fallire i colloqui e violato i patti. L’Organizzazione precisa che il processo negoziale rimane legato all’impegno del luglio 2013 con la concordata scadenza del 29 aprile 2014.

Impegno rispettato nonostante le eclatanti e continue violazioni di Tel Aviv, l’ultima delle quali è la mancata liberazione dell’ultimo gruppo di prigionieri fissata il 29 marzo 2014.

Per quanto riguarda il diritto di accedere a trattati e convenzioni internazionali il PLO aggiunge che il Presidente non intende più posporlo alle condizioni imposte dai colloqui USA- Israele e che non ha avanzato nessuna richiesta alla Corte Penale Internazionale.

Il programma di accesso riguarda 15 punti:

–       quattro Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949 con il Protocollo addizionale;

–       Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche;

–       Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari;

–       Convenzione sui diritti del bambino e Protocollo opzionale sui diritti del bambino e sui coinvolgimenti dei bambini nei conflitti armati;

–       Convenzione sull’ eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne;

–       Convenzione dell’Aja (IV) sul rispetto delle leggi e dei diritti di guerra sulla Terra e suoi annessi;

–       Convenzione dei diritti delle persone con disabilità;

–       Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale;

–       Convenzione contro tortura e altre crudeltà, inumanità, trattamento degradante o punizione;

–       Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione;israel

–       Convenzione sulla prevenzione e la pena del crimine di genocidio;

–       Convenzione internazionale sulla soppressione e la pena del crimine di apartheid;

–       Accordo internazionale sui diritti civili e politici;

–       Accordo internazionale sui diritti economici, sociali e culturali.

Un altro fronte di lotta è quello in seno ad ANP e Fatah. Ormai apertamente si parla di sostituire il 79 enne e malato Abu Mazen e cambiare completamente la struttura dell’Istituzione. E i contendenti al ruolo di Presidente non hanno curricula cristallini.

Il più combattivo è Mohammed Dahlan, già Capo della Sicurezza a Gaza, persecutore di Hamas, da 4 anni in esilio dorato nel Golfo dopo lo scontro con Abu Mazen che lo espulse da Fatah e dalle cariche nel PLO e ne arrestò i militanti di fiducia.

L’ex militante povero di Khan Younis e pupillo di Arafat, che lo emarginò per l’arroganza e la corruzione, dal 2003 è sempre rimasto vicino a USA e Israele ed è sostenuto dai finanziamenti del Golfo. Senza timore Dahlan ha lanciato la sfida a Mazen che lo ha anche accusato di essere coinvolto nell’assassino di Arafat.

Non meno trasparente è Jibril Rajub, già Capo dell’intelligence in Cisgiordania, persecutore di Hamas e in buoni rapporti con USA e Israele fino al 2004 quando l’IDF ne distrusse il Quartier Generale a Ramallah. Attualmente Jibril è Commissario del CIO palestinese e Presidente della squadra di calcio.

Il candidato ideale è Marwan Barghouti, già capo del Tanzim e deputato, ma nel carcere israeliano dal 15 aprile 2002 condannato a cinque ergastoli con l’accusa di quattro stragi. Chiamato il “Mandela palestinese”, Barghuti ha partecipato alla prima Intifada e arrestato ma dopo gli Accordi di Oslo è stato invitato al Knesset e sfilava con gli israeliani protestando contro le stragi di Hamas in Israele. Rispettato e amato nei Territori Palestinesi per carisma e onestà anche dalle formazioni armate islamiche, Barghouti è stato indicato come primo nome da Hamas e dall’ANP nell’elenco delle persone da scarcerare nel quadro dei diversi accordi israelo-palestinesi. Tel Aviv non lo libererà mai. Forse.

Le prospettive di “Due Stati per Due Popoli che vivano in pace e sicurezza” e stimolino l’intera Regione a negoziati con Israele sono inesistenti. Lo dimostra il silenzio israeliano sulla proposta avanzata dall’Arabia Saudita nel marzo 2002 e ribadita nel 2013. Riyadh ha offerto la normalizzazione dei rapporti con tutti gli Stati Arabi in cambio della pace con l’ANP.

La proposta prevede il rispetto delle Risoluzioni dell’Assemblea Generale e del Consiglio di Sicurezza dell’ONU su confini, status di Gerusalemme e ritorno dei profughi con opportune modifiche: sui confini, scambio di terre; su Gerusalemme Est, sovranità palestinese sulla sola parte araba; sui profughi, percentuale di rientri e compensazioni a quanti sarebbero rimasti nei Paesi ospitanti previamente sovvenzionati.

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