SUD SUDAN: LA VIOLENZA, UNICO FRUTTO DELL’INDIPENDENZA.

SUD SUDAN: LA VIOLENZA, UNICO FRUTTO DELL’INDIPENDENZA.

Ancora uno sguardo sul Sud Sudan diviso tra  la tribù Nuer di Riek Machar (20%), la tribù Shilluk (5%) e la tribù Dinka del Presidente Salva Kiir Mayardit. Stato giovanissimo, instabile, con problemi di gravità inaudita. Violenza e conflitto. Come non essere d’accordo sulla circostanza che la violenza sembra essere l’unico frutto dell’indipendenza nel Sud Sudan? 

Il Direttore Scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

Riek Machar

Riek Machar

I recenti colloqui di pace per porre fine alle violenze in Sud Sudan tra il governo di Salva Kiir Mayardit e i ribelli dell’ex vice presidente Riek Machar, con al tavolo le Nazioni Unite semplici spettatrici e un’Unione Africana disunita, in realtà sono stati veicolati da un gruppo ristrettissimo di potenze straniere, non certo per slancio umanitario, bensì per interessi economici legati al petrolio.

Su tutti la Cina, che ha investito molto denaro in infrastrutture nei giacimenti di Juba e nei porti del Nord che, tra l’altro, senza il petrolio del sud rischiano la totale paralisi e la conseguente perdita di moltissimo danaro.

Per gli Stati Uniti d’America il Sud Sudan ha una notevole rilevanza strategica, accresciuta dopo la creazione dell’Africom – US Africa Command.

L’obiettivo principale dell’Africom è la stabilizzazione dei paesi africani più poveri, tramite la formazione delle forze di sicurezza locali e la distribuzione degli aiuti umanitari. In realtà, la nascita dell’Africom risponde all’esigenza strategica americana di monitorare il territorio africano per prevenire il terrorismo internazionale, per controllare le forniture petrolifere, per sorvegliare l’espansione delle relazioni sino-africane.

Gli inglesi hanno molti interessi economici, in virtù anche del retaggio coloniale, che si estendono in Uganda e in Kenia.

Pertanto, in Sud Sudan è meglio per tutti ricercare una pace di compromesso, di pura facciata, piuttosto che un caos dannoso e controproducente sia per gli affari che per  gli interessi più svariati.

Un caos pericoloso che potrebbe ingigantirsi e sconfinare nei paesi limitrofi: Uganda, Kenia, Etiopia, Repubblica del Congo e Repubblica Centro Africana. Il Sud Sudan è lo Stato più giovane del mondo, il 54° paese africano e il 193° membro delle Nazioni Unite.

E nello Stato più giovane di tutto il Continente africano si sta consumando – nonostante gli accordi su il cessate il fuoco – un vero e proprio dramma, una vera e propria guerra, non solo etnica ma anche – e soprattutto – politica ed economica.Sud-Sudan_mappa

Il Paese sta affrontando il picco di una lunga crisi iniziata il 9 luglio del 2011, giorno in cui ha ottenuto l’indipendenza dal Sudan, acuitasi nel mese di dicembre dello scorso anno a causa di una lunga serie di attentati e di violenze che hanno causato migliaia di morti. Indipendenza “venduta” quale panacea a lunghi secoli di dominio e di sfruttamento del nord arabo e musulmano, a danno del sud, africano ed in maggioranza di religione cristiana,

La separazione non è stata quindi sufficiente per risolvere i numerosi problemi che, tristemente, continuano a dilaniare la regione. Problemi e uccisioni che continueranno, nell’indifferenza dell’opinione pubblica mondiale, sin tanto che non sarà creato uno Stato formato da cittadini e non semplici sudditi, con uguali diritti e doveri. Utopia? Ad oggi si!

Nella zona di frontiera tra il nord e il sud, ricca di petrolio, prosegue un conflitto che è la “naturale” estensione di quello scoppiato nel 1983 tra le truppe governative nel nord e il Sudan People Liberation Army. Un conflitto che ha causato più di due milioni di vittime e che si è “formalmente” concluso dopo più di un ventennio, nel 2005, con la firma degli accordi di pace denominati Nalvasha Agreement, primo atto di un percorso che si è concluso con il referendum del 2011 che ha sancito la divisione del Sudan.

Delle tre zone frontaliere contese, solo una, la contea di Abiyei, ha ottenuto uno statuto speciale; le restanti due, il Sud Kordofan e lo Stato del Blue Nile sono rimaste, de facto, sotto l’influenza di Khartoum.

Critica la situazione del Sud Kordofan, attraversato dalla catena dei monti Nuba, i cui abitanti, che vivono come eremiti nascosti nelle caverne, sono a rischio estinzione per i sistematici attacchi dell’esercito del nord.

Lo scorso dicembre il Presidente Salva Kiir Mayardit accusò Riek Machar di avere ordito un complotto ai suoi danni. L’annuncio provocò una reazione a catena della violenza che rapidamente si diffuse non solo a Juba, ma anche a Bor, a Bentiu, a Malaka, facendo così ripiombare tutto il paese in uno stato di tensione e di conflitto tribale per la spartizione del potere e delle ricchezze.

Militari Dinka

Militari Dinka

Come sempre succede in tutte le guerre, piccole o grandi che siano, gli anziani, le donne e i bambini sono i soggetti più fragili e a rischio di sofferenza estrema, a causa della scarsità di cibo e di acqua potabile. La popolazione per dissetarsi, per cuocere il cibo, per lavarsi, utilizza l’acqua del fiume Nilo con grave pregiudizio della propria salute e con riflessi sulla situazione sanitaria in generale.

Il rischio di diffusione del colera è molto alto, senza contare l’insorgenza di altre malattie contagiose come il morbillo, la tubercolosi e addirittura la lebbra, o di altre emergenze sanitarie come la poliomelite che colpisce i più piccoli, molto difficili da controllare e gestire. Il tutto complicato da una situazione infrastrutturale (strade, ponti, ospedali ecc…) penosa, quasi inesistente.

Il conteggio degli sfollati è un’operazione difficilissima: a Juba si contano non meno di cinquanta mila rifugiati presso le strutture delle Nazioni Unite mentre nella regione di Awerial, oltre il Nilo Bianco, il numero degli sfollati provenienti dallo Stato di Jongley, in fuga da Bor, è oramai prossimo alle centomila unità. Secondo fonti delle Nazioni Unite, il numero complessivo degli sfollati ha abbondantemente superato la cifra di mezzo milione di persone.

Il Sud Sudan è un pot-pourri di tribù (se ne contano a decine), tutte discendenti da tre ceppi principali e in lotta tra loro. Il ceppo più influente è il nilotico, cui si riconduce più del 60% di tutta la popolazione del Sud Sudan. Da questo ceppo discende la tribù Dinka del Presidente Salva Kiir Mayardit (espressione del 40% della popolazione), la tribù Nuer di Riek Machar (20%), la tribù Shilluk (5%).

Il conflitto in corso certifica l’esistenza di due centri di potere in Sud Sudan, in lotta l’uno con l’altro, a prescindere da ogni tentativo di mediazione internazionale, a prescindere da qualsivoglia risultato negoziale, a prescindere da ogni buona intenzione di mera facciata.

Due centri di potere, di natura tribale, che continueranno ad esistere e a condizionare le future scelte politiche ed economiche di questo giovane Stato.

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