I combattenti Europei in Siria: nascita di un problema?

I combattenti Europei in Siria: nascita di un problema?

Un contributo di una nuova giovane collaboratrice di Osservatorio Analitico, Veronica Murzio, su un interessante quanto non conosciuto problema della presenza di giovani europei combattenti in Siria. Lascio a Aldo Madia la presentazione dell’articolo. Il Direttore Scientifico: Maria Gabriella Pasqualini.

La Siria, per il ruolo geo-strategico che ricopre nel “Grande Medio Oriente” e per la sua posizione teocratica è stata – sin dall’esordio delle manifestazioni pacifiche per ottenere libertà, anche per la stampa, scarcerazione dei detenuti politici e fine delle leggi emergenziali – aggredita da atttori esterni che ne hanno mutato l’indirizzo portandola alla guerra civile, che ha contagiato Libano, Iraq e Iran, cioè l’intera “mezzaluna sciita”. Aldo Madia

Il fenomeno di cittadini europei che intervengono in conflitti in terra straniera per ragioni ideologiche o religiose non è nuovo. Alla mente vengono esempi famosi come i reparti che si formarono per la difesa della II Repubblica Francese e che finirono per diventare la famosa Legione Straniera; gli anarchici, i socialisti e i semplici idealisti che combatterono nelle brigate internazionali nella Guerra di Spagna; oppure in anni assai più recenti ai nostri le alcune centinaia di musulmani che da tutta Europa confluirono per combattere in Bosnia, in Cecenia e in Afganistan.

Divisa e mostrine della Legione Straniera francese

Divisa e mostrine della Legione Straniera francese

La Siria allo stesso modo ha visto un confluire di volontari e di truppe. Se vogliamo, anzi, una particolarità di questa guerra, è stata l’afflusso costante di stranieri sin dall’inizio del conflitto l’una e l’altra parte si è accusata a vicenda di utilizzare “mercenari” stranieri per vincere. Che fossero truppe Iraniane, milizie Hezbollah o gruppi appartenenti a ISIS poco pareva importare. L’ONU stessa in una risoluzione condannò la presenza di combattenti stranieri perché essa minava la situazione ed esacerbava il deterioramento dei diritti umani il che aveva un effetto pericoloso sulla stabilità della regione. Questa risoluzione, però non distingueva né definiva chi era il combattente straniero, che voleva abbattere il regime alawita e lo unificava al soldato che, eseguendo gli ordini, entrava in Siria per combattere a favore del regime di Assad.

Chi è dunque il volontario che lascia la casa per combattere in Siria? Thomas Hegghammer, analista presso Norwegian Defense Research Establishment, definisce il combattente straniero come un agente che si è unito e opera all’interno dei confini di una ribellione, che non possiede la cittadinanza dello stato in cui il conflitto avviene né ha legami famigliari delle parti in lotta, non appartiene ad alcuna organizzazione militare ufficiale, e non è pagato. Questa definizione mira a eliminare i soldati, i mercenari, i siriani esiliati rientravano per combattere e, più importante ancora, i terroristi di professione specializzati nella violenza contro i civili. In quest’articolo voglio affrontare solo una parte di chi rimane in particolare chi ha deciso che è suo dovere religioso combattere contro il regime di Assad e che provengono dall’Europa.

La presenza di Europei – residenti e\o che possiedono la cittadinanza di un Paese dell’EU – è stata notata sin dalla fine del 2011 ma è dal 2012-13 che Il forte aumento delle partenze verso la Siria, ha cominciato a destare preoccupazione.

Combattenti stranieri

Combattenti stranieri

Se, infatti, fino all’Aprile del 2012 la presenza di europei all’interno del conflitto si situava ben nella media di conflitti precedenti in Cecenia e in Bosnia, (7-11% dei combattenti stranieri presenti nel Paese, quindi tra le 135 e le 590 unità su un totale che variava tra 2000 e 5000.) Ad Agosto il numero complessivo di combattenti stranieri era salito a 6000 unità secondo il New York Times. E a dicembre, sempre secondo l’International Center for the Study of Radicalisation il numero totale di combattenti non siriani avevano raggiunto le 11000 unità. Di questi gli occidentali, secondo le stime degli esperti, erano tra i 1100 e i 1700 e di costoro gli europei sono valutati essere tra i 396 e 1937: sono dunque triplicati rispetto a quanto valutato ad Aprile e sono arrivati a rappresentare il 18% dei combattenti stranieri presenti nelle zone dei combattimenti. Il che significa che questa guerra ha mobilizzato un numero di combattenti come non si vedeva dalla guerra in Afganistan contro i Russi.

I Paesi di provenienza di questi combattenti sono principalmente la Francia (63-412), la Gran Bretagna (43-366), La Germania (34-240), il Belgio (76-296) e i Paesi Bassi (29-152). Meno numerosi, ma considerando la popolazione di questi Paesi altrettanto preoccupante è il numero di partenze da Paesi più piccoli quali la Danimarca (25-84), Austria (1-60), Norvegia (33-40).

Questi numeri hanno suscitato una comprensibile preoccupazione e inquietudine all’interno dei Paesi di provenienza.Ciò è dovuto a due principali fattori: il primo è legato alla legittima ansia da parte delle comunità e famiglie di perdere i propri giovani in quella sanguinosa guerra civile. In realtà, spesso gli stessi famigliari non sanno della decisione dei giovani di partire com’è dimostrato dai cartelli di missing che si trovano a decine in alcune città tedesche e di alcune storie strazianti come di quella madre belga che ha tentato invano di fermare il figlio minore, quindicenne, dall’unirsi al maggiore in Siria. I giovani in partenza appaiono, inoltre, sempre più giovani arrivando a essere letteralmente teenager.

D’altro canto, le autorità giudiziarie e politiche vedono in questo flusso continuo di giovani verso la guerra un possibile problema nel momento in cui questi decidessero di tornare. Uso il condizionale perché da quanto è emerso da alcune fonti, non tutti quelli che partono vedono nella fine della guerra un rientro a casa bensì un trampolino per combattere la Jihad in altre zone geografiche. Esatti numeri non esistono perché è difficile per i governi identificare e quantificare quanti dei loro cittadini partono per il conflitto. Alcuni, come ho detto, non spiegano le loro intenzioni alle proprie famiglie o amici tanto che spesso finiscono nelle liste degli scomparsi per poi essere identificati grazie ai siti jihadisti che ne comunicano il “martirio” e/o da video in cui appaiono armati in campi di addestramento o anche da una telefonata non appena arrivati in Siria. Quindi, non sapendo quanti partono, è difficile capire, alla fine anche quanti tornano. Né si può dare per scontato che questi siano in toto una minaccia per la sicurezza nazionale. Alcuni potrebbero essere completamente disillusi per quanto hanno visto e rinunciare completamente alla lotta armata.  Vi sono stati casi di ragazzi tedeschi recuperati: ad esempio il giovane Pero, sedici anni. D’altro canto, però sappiamo che di tutti quelli che sono stati arrestati per terrorismo in Europa tra il 2001 e il 2009 almeno 12% aveva avuto addestramento paramilitare e\o, hanno partecipato a conflitti all’estero e che gli attacchi cui loro hanno partecipato, come rileva ancora Thomas Hegghammer, hanno una percentuale di successo maggiore dei terroristi che quell’esperienza non l’hanno compiuta. Oltre ciò, anche chi rientra è traumatizzato da ciò che ha visto e che ha dovuto fare, mostra segni di PSTD (Post Traumatic Stress Disorder)  e hanno difficoltà a riadattarsi alla vita da “civile”. Incidenti gravi sono già accaduti: basti pensare a Mohammad Merah, giovane francese che, dopo aver combattuto in Afganistan e Pakistan, uccise sette persone nel marzo del 2012 (alcuni soldati e i bambini di una scuola ebraica), per poi suicidarsi dopo un assedio di trenta ore da parte della Polizia; oppure Fila Abdulla e Kafeel Ahmed che, cinque anni prima di Merah, lasciarono due autobombe a Londra prima di tentare un attacco suicida contro l’aeroporto internazionale di Glasgow. Tutto ciò ha attratto l’attenzione dell’antiterrorismo in tutta Europa perché, secondo le parole di Gilles de Kerchove, capo dell’antiterrorismo dell’EU, mentre è vero che non tutti quelli che partono sono radicalizzati, molti di loro dopo l’addestramento lo diverranno.

Mohammad Merah a Gerusalemme

Mohammad Merah a Gerusalemme

I Paesi Bassi e la Germania, in particolare, hanno elevato il loro livello di attenzione alla minaccia terroristica perché temono per la sicurezza stessa dei loro cittadini nel caso i “combattenti” dovessero tornare, giacché quel 12% potrebbe essere un “cane sciolto” (lone wolf), incontrollabile e difficile da individuare o giungere in Europa con una precisa missione da portare a termine come afferma Hans-Georg Maaßen, presidente del BFV, Bundesamt für Verfassungsschutz, Ufficio Federale per la Protezione della Costituzione.

Un’altra questione che è considerata preoccupante è il numero pro capite di giovani partiti per la Siria in alcuni dei Paesi più piccoli come l’Austria e la Danimarca: mentre numericamente sono meno consistenti rispetto ai contingenti di Paesi come la Gran Bretagna o la Francia in confronto con la minore popolazione il numero è estremamente alto ( per esempio per Hegghammer il contingente di 65 danesi corrisponde a 3600 Americani); il che significa che, se al ritorno rappresentassero una minaccia, sarebbero i Paesi meno popolosi dell’Unione Europea a trovarsi in difficoltà.

L’Europa, mentre rischia di divenire sul lungo periodo luogo a rischio di attentati sullo stile di quelli Iracheni o Afgani, deve evitare di divenire il principale sito per la raccolta fondi per la continuazione della Jihad. L’allarme presente da diverso tempo attraverso cosidette associazioni umanitarie che fanno capo a gruppi salafiti come Helfen in Not (Helping in Need or HN)che a quanto pare raccolse una serie di autoambulanze che sarebbero dovute servire per i feriti salvo poi essere utilizzate come autobombe in attacchi suicidi, secondo quanto riportato dal BFV.

A questa sfida l’UE deve trovare una risposta che protegga tutti i suoi cittadini: la facilità di movimento europea, positiva sotto la maggior parte degli aspetti, qui permette a giovani che tal volta non sanno neppure a cosa vanno in contro di scivolare tra le maglie della sicurezza e, ancora più grave, permetterebbe a meno ingenui personaggi di tornare con pericolose direttive. La soluzione deve essere quindi europea perché le azioni dei singoli stati potrebbero non bastare o essere insufficienti, o addirittura contraddittorie; inoltre l’UE potrebbe mettere in campo fondi più generosi per la difesa del proprio territorio attraverso politico di controterrorismo e prevenzione della radicalizzazione delle comunità mussulmane. Su questa linea sembra si stia muovendo, secondo la commissaria per the Home Affairs dell’Unione Europa, Cecilia  Malmstroem intervenuta a un seminario Swedish National Defence College (SNDC) all’inizio di Febbraio per la quale mentre nessun Paese è stato risparmiato dalla minaccia del terrorismo ma fino ad ora ben pochi hanno preso contromisure.

La strategia da lei esposta si base sul combattere la radicalizzazione in Europa, rafforzando l’EU Radicalisation Awareness Network (RAN), strumento per evitare che giovani vulnerabili cadano nella rete fondamentalista, e la creazione di una rete di informazioni di controterrorismo a livello europeo in grado di scambiarsi informazioni e risorse su questa problematica in tempo reale e non più limitata da una visuale nazionale. Fondamentali, comunque rimangono le politiche nazionali che devono individuare metodi per de radicalizzare le comunità, mantenere un controllo sui social network attraverso i quali avvengono parte dei reclutamenti e i contatti a livello umano quindi all’interno di centri islamici.

Queste azioni sono principalmente preventive, per limitare un ulteriore esodo verso Paesi in guerra come sì la Siria, ma non dimentichiamo la Somalia o lo Yemen. si dovranno però trovare anche soluzioni per il reinserimento ed il controllo di quanti torneranno, per evitare di reimportare le scene e le violenze che per il momento osserviamo solo in televisione.

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Il distintivo della Legione Straniera francese

Il distintivo della Legione Straniera francese

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