Sud Sudan. Voglia di indipendenza….scarsa stabilità…lotte interne…conflitti locali. Non ci sono guerre ‘mondiali’ ma troppi conflitti mondiali.
Il Direttore Scientifico: Maria Gabriella Pasqualini
L’incontro previsto il 7 febbraio 2014 ad Addis Abeba in Etiopia fra il Presidente del Sud Sudan Salva Kiir e il suo ex vice Riek Machar per consolidare o meno la tregua raggiunta il 23 gennaio scorso è stato fatto slittare a data da destinare.
Vi sarebbe stato un contrasto sulla partecipazione o meno ai colloqui di sette dirigenti fedeli a Machar e trasferiti in Kenya nel gennaio 2014 dopo essere stati arrestati a Juba in relazione al un colpo di Stato denunciato da Kiir il 14 dicembre 2013. E subito è ripresa la guerra.
Gli scontri più pesanti fra i Governativi di Kiir e i ribelli di Riek si sono registrati il 18 febbraio a Malakal – crocevia per la produzione petrolifera di tutta la Regione – mentre elicotteri di assalto ugandesi hanno bersagliato le basi dei rivoltosi a Sud e a Est della città.
L’accordo era stato firmato dopo scontri che avevano provocato oltre mille morti e 500 mila sfollati e prevedeva:
– una tregua di 24 ore;
– la liberazione di 11 ribelli fedeli a Machar accusati di avere tentato un colpo di Stato contro Salva Kiir;
– il ritiro delle truppe ugandesi che sostengono l’Esercito nella riconquista delle città occupate dai rivoltosi negli Stati di Unity e Jonglei.
Mentre l’aeroporto di Giuba registra un numero sempre più alto di persone che lasciano il Paese, le violazioni della tregua sono continue e si moltiplicano le denunce di esecuzioni sommarie di civili Nuer.
Gli eventi futuri restano incerti e dipendenti dalla presenza d’interessati protagonisti esterni.
Il ritorno al recente passato può essere utile a chiarire quanto avviene e cosa accadrà nel vicino futuro.
Negli anni ’70 multinazionali americane del settore energetico scoprirono nell’area ora contesa ricchi giacimenti di petrolio e gas sfruttati dagli oleodotti di Khartoum. Il Sudan ha scelto come principale partner la Cina con le aziende statali Cina National Petroleum Corp. e Sinopec. Immediatamente nel Sud Sudan si è materializzato il Sudan People’ Liberation Army (SPLA) fondato nel 1983 da John Garang, Salva Kiir, William Bany e Kerubino Bol. Ed è stata subito guerra. Da un lato il neo-nato movimento è rifornito da USA e U.K. e dall’altra parte è la Cina che si preoccupa di armare l’Esercito del Nord.
Dopo circa 1,5 milioni di morti e diciotto anni di guerra si è arrivati agli Accordi di pace del 2005 con la promessa di un referendum per permettere al Sud di scegliere se restare con Khartoum con maggiore autonomia ed equa redistribuzione delle risorse energetiche o separarsi.
Dietro le quinte, però, era già tutto programmato. Agenzie ONU hanno realizzato strade e infrastrutture in direzione dei confini con il Kenya che non è un Paese scelto a caso ma quello dal quale dovrà passare l’oleodotto alternativo a Khartoum.
Il referendum si è svolto nel gennaio 2011 fra scontri e accuse di brogli e ha premiato gli indipendentisti che hanno vinto con il 98,83% dei 3.837.406 voti validi.
Con l’indipendenza il Sud Sudan dovrà pagare per alcuni anni a Khartoum tasse per il trasporto via oleodotto del suo greggio fino a quando sarà pronto quello nuovo, verso il Kenya ma danneggiando anche la Cina.
Il nuovo Stato fu dichiarato ufficialmente il 9 luglio 2011 con capitale Juba e Presidente Salva Kiir, d’etnia Dinka, e ne è vice Riek Machar, dell’opposta etnia Nuer. Etnie che, guidate dai rispettivi leader divenuti Presidente e vice del nuovo Stato, si sono massacrate negli anni’90 con decine di migliaia di morti da ambo le parti senza che i responsabili siano mai stati processati.
L’inizio del nuovo Stato non è facile. Il Presidente sudanese Omar al Bachir ha rivendicato subito la sovranità della città di Abey, ricchissima di risorse petrolifere, e con una popolazione a maggioranza Dinka vicina ai gruppi animisti-cristiani e ostili ai musulmani sudanesi.
Ne è seguita una battaglia che in un solo mese ha provocato 120 morti e innumerevoli feriti.
In ritorsione, l’SPLA che è divenuto Esercito regolare di Juba, ha avviato una campagna militare nella zona confinaria ricca di risorse energetiche e è arrivato nell’aprile 2012 a occupare Heglig nello Stato sudanese del Kordofan meridionale pretendendone la sovranità.
Nello stesso periodo è riesploso lo scontro fra le etnie Dinka e Nuer, attivato dagli stessi leader che sono arrivati alla rottura nel luglio 2013 quando Salva Kir ha estromesso il suo vice.
La mediazione di Thabo Mbeki per conto dell’Unione Africana in Etiopia è proseguita a fasi alterne in un clima di guerra civile anche per l’acuirsi degli scontri fra le opposte etnie che provocano numerose vittime specie fra i civili e all’esodo di oltre 20 mila persone nei compound dell’ONU.
L’allarme lanciato da testimonianze raccolte dall’Human Rights Wach è stato ripreso dopo la scoperta di settantacinque cadaveri in una fossa comune a Juba il 24 dicembre. E quindi gli statunitensi hanno imposto l’immediata ripresa negoziale.
Il futuro del nuovo Stato dichiarato appena 2 anni e sei mesi fa è ad alto rischio di implosione…facile profezia
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