IL 160° anniversario della guerra di Crimea….una provocazione storica

IL 160° anniversario della guerra di Crimea….una provocazione storica

La penna di Virgilio Ilari, storico ben conosciuto, in una provocatorio riflessione sulla Crimea….a 160 anni dalla guerra alla quale truppe del Regno di Sardegna parteciparono in quella che viene storicamente considerata la prima ‘missione fuori area’ di soldati italiani…anche se  non è proprio corretto  indicarla in questo modo…

Il Direttore Scientifico: Maria Gabriella Pasqualini 

ukraine

L’ultima dichiarazione di guerra:  la facemmo il 15 luglio 1945, contro il Giappone; c’era infatti un progetto dello Stato Maggiore di contribuire alla battaglia finale con una nuova Armir reclutata tra i nostri prigionieri negli Stati Uniti e inquadrata dagli stessi invitti generali che ce li avevano portati. Quando Togliatti lo seppe, commentò beffardo: “furbi i militari, vogliono rifare la Crimea!”.

La Crimea, o, come si diceva all’epoca, la Questione e la conseguente Guerra d’Oriente, fu all’origine dell’Italia unita, perché il Piemonte ricevette allora dalle due maggiori potenze mondiali il rango e il mandato di stabilizzare in via permanente la turbolenta Penisola Centrale del Mediterraneo.

Ma quel mandato non l’avrebbe avuto se la Crimea non fosse stata al tempo stesso una fase speciale della guerra mondiale 1848-1878 [l'”anello mancante” tra le due del 1792-1815 e del 1914-1945, per certi aspetti simile a quella in corso dal 1990] e l’inizio di una rivoluzione copernicana dei precedenti blocchi geopolitici.

Fu allora, infatti, che l’Inghilterra cominciò il percorso verso la rottura della bi-secolare alleanza protestante con il mondo germanico e l’intesa con una Francia ormai indebolita e subalterna, dando vita al nucleo dell’Occidente moderno, ossia la somma dei due maggiori e ultimi imperi europei, svenati nel 1914 ed incassati nel 1942 dal creditore americano.

Talora, accecati dal nazionalismo e dalla tentazione gioachimita di un mondo diverso, dimenticammo la costellazione geopolitica in cui brillava la nostra stella, e ci illudemmo di liberarcene inventandoci un nostro disastroso Sonderweg tra Terzo Reich, Unione Sovietica e Terzo Mondo.

Pensammo nientemeno di esserci riusciti quando Enrico Mattei e i ‘Mau-Mau’ della Farnesina si permisero il lusso di celebrare il centenario della Crimea silurando il ministro liberale che voleva sbarcare a Suez e armando poi il Fronte di Liberazione Nazionale algerino.

Ci vollero Sigonella, e la fine di Craxi, sepolto esule nel tricolore palestinese, per farci comprendere la differenza tra quella che a Washington giudicarono nel 1956 una divertente baruffa di botoli europei e quello che trent’anni dopo avvertirono invece come un rabbioso morso al polpaccio del padrone.

La “staffetta” tra Prodi e D’Alema fu orchestrata da Cossiga soprattutto per consentire all’aviazione italiana di partecipare alla campagna aerea contro la Serbia (con la benedizione di Cossutta). Quella tra Berlusconi e Monti, motivata ufficialmente dallo spread, fu influenzata anche dall’iniziale rifiuto dell’“amico di Gheddafi” di celebrare il centenario della guerra italo-turca trasformando la Libia in uno stato fallito (con tanti saluti democratici ai patti di non aggressione). La staffetta tra Letta e Renzi servirà a preparare l’avallo italiano ai venti di guerra che si addensano sul Mar Nero? Il siluramento di  Emma Bonino, che aveva sostenuto una linea responsabile sulla Siria e sull’Ucraina, lo farebbe pensare.

Per inciso, il Piemonte contava allora 4 milioni di abitanti e Cavour promise 15.000 uomini (un terzo in più del massimo di cui siamo ora capaci). In realtà ne partirono 24.000, contando marinai e riserve. Le perdite in combattimento furono al livello delle missioni di pace odierne (31 alla Cernaia), ma l’Ossario italiano di Kamari raccolse nel 1882 pure i resti di altri duemila  morti di colera.

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