L’alba di una nuova guerra ma non troppo: breve storia delle origini della guerriglia.2

L’alba di una nuova guerra ma non troppo: breve storia delle origini della guerriglia.2

Segue la seconda parte di un interessante saggio sulla guerriglia con alcuni riferimenti storici e bibliografici. E’ un argomento affascinante. La guerriglia è antica quanto l’uomo….e in fondo non è mai cambiata per quello che deve essere il suo unico reale obiettivo: raggiungere il potere sconfiggendo un esercito regolare. Per quale scopo finale? Quasi sempre abbattere un potere ma non sempre per sostituirlo con un altro.

Il Direttore Scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

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(La prima parte è stata pubblicata il 6 febbraio)

Le capacità di conoscenza dei luoghi sono una risorsa fondamentale. Un episodio in cui l’importanza del territorio ebbe un grande rilevanza è quello  accaduto durante la rivolta afgana del 1841, che vide i Britannici cacciati da Kabul.

Ricordiamo il fatto storico: i guerriglieri sparsi in città erano riusciti ad avere la meglio sui 4500 soldati formati da truppe europee e coloniali, guidati in maniera inadeguata dal maggiore generale William Elphistone. Dopo aver negoziato un ‘cessate il fuoco’, i soldati britannici superstiti insieme ai civili europei ottennero di poter raggiungere il forte britannico a Jalalabad, distante 130 km. dalla città. La marcia, iniziata il 6 gennaio (1841), fu affrontata dai soldati insieme ai 16.500 civili espulsi da Kabul ma solo dopo pochi chilometri i guerriglieri afghani cominciarono ad attaccare le retrovie e i dispersi. In due giorni le perdite ammontavano già a centinaia di caduti e la distanza percorsa dalla colonna era di soli 16 km. L’errore strategico più importante fu però il dirigersi al passo Khurd-Kabul, stretto e lungo solo 8 km. Tale azzardo costò la vita a 3000 uomini, massacrati dai fucili e dalle lame dei guerriglieri afghani. Al quinto giorno di marcia erano rimasti in vita solo 450 soldati e circa 3000 civili affamati e quasi assiderati. Il 13 gennaio un solo cavaliere, il chirurgo William Brydon, riuscì a raggiungere il forte britannico a Jalalabad. Fu l’unico britannico a salvarsi, insieme ad un piccolo gruppo di dispersi: il resto della colonna era stato trucidato, tranne alcuni uomini caduti nelle mani dei guerriglieri. Interessante episodio e anche…educativo!

In un ambiente in cui si è sviluppata la guerriglia, sovente l’esercito regolare è chiamato al compito di proteggere la popolazione locale o una parte di essa. In tali occasioni i guerriglieri hanno più possibilità di nascondersi e aumenta il pericolo d’imboscate; inoltre aumenta in maniera fortissima il pericolo che la popolazione civile venga coinvolta negli scontri, rimanendone vittima e che questo determini un deterioramento delle relazioni con le truppe regolari, inducendo le popolazioni colpite ad accrescere talvolta la parte già consistente di esse che appoggiano guerriglieri.

Fin dall’epoca antica ogni qual volta si è sviluppata la guerra di guerriglia, questa ha avuto il sostegno delle popolazioni; e, anzi, da questa componente è germogliata. Come dimostrato nel passato in molti casi.

La popolazione, afferma Werner Hahlweg, in un suo studio pubblicato in Italia nel 1973 (“Storia della guerriglia: tattica e strategia della guerra senza fronti”), rappresenta un fattore importantissimo affinché la guerriglia si alimenti come un incendio e raggiunga il suo massimo effetto.[1]

La moderna concezione delle operazioni di guerriglia, anche per quanto concerne la creazione di focolai di resistenza prevede come punto essenziale la presenza di un qualche tipo di “intelligence liaison officer” che mantenga i rapporti con la popolazione, si occupi della propaganda necessaria e della creazione di una rete informativa.  Questa attività è parte di un processo per il conseguimento delle condizioni essenziali per l’utilizzo delle tecniche di guerriglia. Come ricorda Halweg nel suo studio sopra citato, negli anni cinquanta il problema di contrastare la guerriglia fu affrontato dagli americani con la creazione di Special Forces le cui squadre dovevano essere costituite da un capitano, un tenente, un maresciallo di campo, un sergente, un maestro d’armi per armi leggere e pesanti, un artificiere, due sergenti di sanità e due radiotelegrafisti; questi dovevano essere paracadutati oltre le linee nemiche e dovevano fungere da “stato maggiore” nella creazione di unità partigiane fino ad un totale di 1600 uomini.

Un addestramento molto duro è da considerarsi probabilmente come il fattore di autoprotezione del guerrigliero. Questo elemento costituisce uno dei collanti più forti. Data la composizione, di solito ristretta, del gruppo guerrigliero e le difficoltà affrontate, i suoi componenti devono essere preparati ad ogni evenienza. Nella guerriglia moderna e contemporanea questo aspetto viene curato in maniera attenta anche grazie all’istituzione di veri e propri corpi specializzati nelle tecniche di guerriglia, volti ad agire essi stessi come istruttori sul territorio per formare nuove bande di guerriglieri. Il guerrigliero, quindi, avvalendosi della propria esperienza sul campo, è anche istruttore egli stesso dei propri compagni più giovani secondo il classico concetto: “Niente può sostituire l’esperienza sul campo”. Von Jeney un generale dell’esercito austro ungarico nel XVIII è autore di un trattato di tattica dal titolo: “The Partisan, or the Art of Making War in Detachment”. A proposito dell’addestramento riferisce che: “Si può considerare la guerriglia come la migliore scuola pratica per acquisire l’abilità necessaria a fare la guerra”. Di Jeney sono da riportare anche le sue valutazioni sui requisiti di un buon guerrigliero che, se anche riguardanti il XVIII secolo, sono ugualmente valide, anche per il mondo contemporaneo: “Immaginazione ricca di progetti, astuzie e trovate. Spirito penetrante, capace di afferrare con una sola occhiata tutte le circostanze di una situazione. Cuore imperturbabile di fronte a qualsiasi pericolo. Temperamento saldo e sicuro, che non lasci trapelare il minimo segno d’inquietudine. Memoria forte per ricordare i nomi di tutto e di tutti. Carattere vivace, forte e instancabile, per essere ovunque presente ed essere l’anima di tutto. Colpo d’occhio rapido e preciso, per valutare sul momento difetti, svantaggi, ostacoli, punti deboli. Maniere e sentimenti che gli attirino la fiducia, il rispetto e l’attaccamento della truppa”.

Il Von Jeney trova forse nel fattore “immaginazione” la pietra angolare della guerriglia. L’imprevedibilità che è data dalla capacità creativa umana costituisce un’incognita che può essere ridotta a una formula matematica e che deve costituire un valore aggiunto nella pianificazione operativa nell’utilizzo delle tecniche di guerriglia. Si è ben consci che gli ambienti militari per natura, prediligono una specifica schematizzazione riducendo al minimo l’iniziativa personale, ma il fattore individuale della creatività umana costituisce la chiave di volta nello sviluppo di un sistema di pensiero innovativo, in grado di adattarsi flessibilmente a tutte le situazioni operative.

Pertanto se assumiamo X come creatività umana avremo un  X + P (pianificazione) × S (semplicità) = ∞ che produrrà infinite combinazioni. Le partite a scacchi e le guerre si vincono solo adattando la strategia al proprio avversario e andando a potenziare quelle capacità operative necessarie al conseguimento di un risultato per mezzo della creatività secondo uno schema a spirale.

La guerriglia perciò costituisce quasi un ibrido della guerra, molto simile ad un camaleonte che mantiene le sue caratteristiche fisiche di base ma che è in grado di modificare i suoi particolari cromatici in virtù delle capacità creative di chi la utilizza. Questo motore creativo del pensiero dell’uomo che è la spinta propulsiva dell’umanità nel migliorare la propria condizione, è a sua volta anche la chiave di volta nella creazione di mezzi e tattiche atte al su annientamento: del resto l’idea migliore vince sempre.

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Ulteriori suggerimenti di lettura….

  • Ernesto Che Guevara, “La guerra per bande”, 1961.Milano.
  • Werner Hahlweg, “Storia della guerriglia : tattica e strategia della guerra senza fronti”. 1973, Milano.
  • Carl Von Clausewitz, “Della Guerra”,  Ed. Mondadori 1988.
  • Ezio Cecchini,“Storia della guerriglia: dall’antichita all’era nucleare”, Milano 1990.
  • Sun Zu, “L’arte della guerra”,  Ed. Guida 1992.
  • Giovanni Brizzi, “Il guerriero, l’oplita, il legionario : gli eserciti nel mondo classico”, Bologna 2002.
  • Marco Costa,“Psicologia militare: elementi di psicologia per gli appartenenti alle forze armate”, Milano 2003.
  • Chris McNab, 2005. “Disastri militari, una cronaca delle piu catastrofiche azioni armate mai condotte in ogni epoca”. Roma 2005.

[1] Hahlweg riferisce, a proposito del sostegno della popolazione, l’esperienza di Johann  von Ewald, che partecipò alla rivoluzione americana come comandante di truppe al servizio degli inglesi. Nel suo Trattato sul servizio delle truppe leggere egli osservava: “ E’ quasi impossibile sorprendere il nemico in qualsiasi circostanza, perché ogni casa accanto alla quale si passa è, per così dire, un picchetto avanzato: infatti il fattore o suo figlio o lo stalliere, e persino le mogli e le figlie sparano un colpo di fucile o corrono per qualche sentiero nascosto ad annunziare l’avvicinarsi del nemico”.

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