Siria. La Conferenza sul dialogo nazionale del 25 febbraio 2025. Le sfide interne e esterne.

Sono trascorsi più di due mesi dal rapido crollo del regime di Bashar el Assad ad opera di una travolgente offensiva dei ribelli siriani, in particolare del gruppo jihadista Hayat Tahrir el Sham – HTS

Nel tentativo di far risorgere la nuova amministrazione, Mohammed el Bashir, in scadenza quale Capo del governo di salvezza nazionale, si trova ad affrontare importanti sfide, dentro e fuori i confini del Paese. La più cogente è la mancanza di liquidità nelle casse della Banca Centrale, con grossi problemi per pagare gli stipendi del settore pubblico.  

A fine gennaio 2025 si è svolta la conferenza della “vittoria” e seduti intorno al tavolo c’erano tutti i leader delle fazioni armate che hanno avuto un ruolo nel cacciare el Assad. 

Dalla riunione sono scaturite alcune importanti decisioni, tra cui la risoluzione della Costituzione in vigore dal 2012, l’elezione di Ahmed el Sharaa Presidente ad interim, lo scioglimento del Parlamento, l’estromissione del Partito Baath dall’arco costituzionale, la riforma dell’Esercito e delle Agenzie di sicurezza dell’ex regime, nonché l’integrazione, a pieno titolo, delle fazioni armate rivoluzionarie, tra cui la stessa HTS, nelle istituzioni statali.

Un secondo step è stata la recente Conferenza di dialogo nazionale del 25 febbraio 2025, con le discussioni riguardo il nuovo percorso che lo Stato siriano dovrà intraprendere, il più coerente possibile e con una vision unitaria. 

Alla conferenza hanno partecipato circa 600 rappresentanti delle varie province e sei sono state le tematiche trattate: la gestione della giustizia nella fase di transizione, la stesura della nuova Carta Costituzionale, le questioni legate alla libertà personale ed i principi economici su cui si dovrà fondare la nuova Siria. 

I partecipanti hanno chiesto, inoltre, di limitare le armi allo Stato e di costruire un nuovo esercito nazionale professionale, considerando qualsiasi formazione al di fuori delle istituzioni ufficiali come gruppi fuorilegge. Un riferimento, quest’ultimo, non troppo velato nei confronti delle Forze Democratiche siriane – SDF (il braccio armato dell’Amministrazione autonoma curda, che non era presente perché non invitato), e alle varie fazioni e gruppi che ancora conservano le loro armi dopo la caduta di Bashar el Assad

Importante stabilire il principio di coesistenza pacifica tra tutte le componenti del popolo siriano e di rifiutare ogni forma di violenza, incitamento e vendetta.

Questa è la sfida prioritaria interna, per cercare di migliorare le condizioni di vita della popolazione, conservando la pace civile e preservando le istituzioni statali da sabotaggi e saccheggi. Permane molto complicato il mantenimento della sicurezza, soprattutto in alcune regioni, in particolare quelle della fascia costiera, nonché il controllo sulla circolazione delle armi presenti in massa e fuori controllo.

Irta di difficoltà la strada per arrivare ad un’integrazione delle numerose fazioni militari all’interno del nuovo Ministero della Difesa, stante la forte resistenza di alcune, in particolare quelle che controllano le aree di Daraa e Sweida. Senza parlare della posizione di chiusura da parte della già citata SDF, che ha un proprio esercito di circa 60 mila uomini con giurisdizione sulle province di Raqqa, Hasaka e Deir er Zor. SDF controlla gran parte del nord-est del Paese, ricco di petrolio.

La dichiarazione finale del 25 febbraio 2025 ha condannato l’incursione israeliana nel territorio siriano, definendola una flagrante violazione della sovranità dello Stato siriano, invitando la Comunità internazionale e le Organizzazioni regionali ad assumersi le proprie responsabilità nei confronti del popolo siriano.

Da ricostruire tutto il settore economico, devastato da anni di guerra, impoverito e senza infrastrutture. Il Ministero delle Finanze è senza liquidità ed a fatica sta cercando di mantenere una riserva di cassa per le situazioni emergenziali. 

Quale primo atto, il citato Ministero ha congelato i fondi depositati nelle banche a beneficio dei commercianti e degli imprenditori, stabilendo altresì un limite ai prelievi di contanti per i cittadini. Nei giorni susseguenti la caduta del regime, si è registrato un forte afflusso nel mercato locale di merci provenienti dalla vicina Turchia che ha quasi totalmente paralizzato la produzione locale. Tutto ciò ha determinato un aumento del valore della lira siriana, finendo in una spirale speculativa rispetto al dollaro statunitense. L’aumento della lira non è stato però accompagnato da un calo dei prezzi delle materie prime che, al contrario, sono aumentate, con riverberi negativi sui prezzi dei trasporti.

La mancanza di una Carta costituzionale attualmente blocca ogni velleità riformistica in campo economico, a causa della mancanza di una chiara ripartizione e definizione dei poteri e delle competenze per l’adozione di un sistema economico liberale. 

Il tutto viene gestito dalle autorità di transizione che non sembrano avere un definito piano strategico per affrontare le spinose questioni economiche e sociali del Paese.

Non meno importanti le questioni esterne, visto che le autorità stanno cercando di rafforzare un consenso arabo ed internazionale allo scopo di ottenere degli appoggi sia politici, sia (soprattutto) economici, affinché il Paese non scivoli nuovamente nel caos, con inevitabili ripercussioni sulla stabilità regionale.

Si ricorda che gli Stati Uniti d’America, nello scorcio della presidenza Biden, sono stati uno dei primi paesi ad interloquire con la nuova leadership siriana, inviando a Damasco una delegazione del Dipartimento di Stato. Gli Stati Uniti dunque apripista per altre delegazioni, tra cui quella dell’Emiro del Qatar, mentre l’Arabia Saudita è stato il primo Paese visitato da Ahmed el Sharaa, seguito dalla Turchia. 

Quest’ultimo Paese è molto agguerrito a sta facendo pressioni affinché le autorità siriane entrino in aperto conflitto con la SDF per riprende il controllo delle aree ad est dell’Eufrate ed espellere le forze del Partito dei lavoratori del Kurdistan, da sempre spina nel fianco di Ankara. Altresì la Turchia sta cercando di rivitalizzare l’accordo di libero scambio del 2007. 

Nonostante l’indubbia importanza delle visite, i risultati tangibili sono stati scarsi, se tralasciamo l’ambito degli aiuti umanitari forniti dai Paesi del Golfo ma anche dagli europei, che stanno cercando di far chiudere le basi russe di Tartus e Hmeinmim, ed un accordo per l’elettricità concluso con il Qatar. 

La revoca totale delle sanzioni internazionali applicate (attualmente alcune sono state sospese da parte dell’Unione Europea), rimane l’obiettivo principale da raggiungere, anch’esso però subordinato alla realizzazione di una nuova società siriana politicamente pluralista e religiosamente diversificata. Concetto ribadito dall’Alta Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Kaya Kallas che, recentemente, ha dichiarato che l’UE potrebbe reimporre le sanzioni se i nuovi leader siriani non rispettassero i diritti umani o i valori democratici.

L’impellenza è stata ribadita nella Dichiarazione finale della Conferenza sul dialogo nazionale, poiché le sanzioni imposte sono diventate un peso diretto per il popolo siriano che aumentano le sofferenze della popolazione ed ostacolano il processo di ricostruzione, nonché il ritorno degli sfollati e dei rifugiati.

L’annullamento delle sanzioni è fondamentale per consentire la ripresa di un regolare flusso dei capitali stranieri e per avviare una strutturata ricostruzione post bellica.

Interessante sarà comprendere, in tutta la sua interezza, la posizione dell’Amministrazione Trump, che potrebbe essere in qualche modo influenzata da quella assunta da Israele, di certo non entusiasta della nuova postura siriana.

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