Siria. La difficile transizione ed il ruolo della risoluzione 2254 delle Nazioni Unite.

Una puntuale e molto accurata riflessione di Paolo Brusadin sulla Siria della transizione.

Il Direttore Scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

All’inizio del mese di dicembre 2024 Bashar el Assad, Presidente della Siria e Mushir delle Forze Armate, è stato deposto, ponendo fine alla sua controversa gestione del potere iniziata nel luglio del 2000, succedendo al padre Hafiz el Assad.

Il regime, già fortemente indebolito negli ultimi tempi, nel volgere di qualche giorno s’è dissolto come neve al sole, lasciando solo macerie, migliaia di morti e milioni di rifugiati.

Alla ribalta internazionale è ascesa la coalizione composta dalle forze d’opposizione, tra cui spicca Hayat Tahrir el-Sham – HTS ed alcune fazioni dell’Esercito nazionale – SNA, sostenuto dalla Turchia.

In meno di due settimane tali forze, dopo aver occupato la città di Aleppo, hanno proseguito un’impetuosa marcia verso le altre principali città siriane, sino ad arrivare nella capitale Damasco senza trovare alcuna resistenza da parte dei servizi di sicurezza e delle unità militari del deposto Presidente che, nel frattempo, ha trovato asilo in Russia. 

Qualche giorno dopo la caduta del regime, Mohammed el Bashir, Capo del governo di salvezza nelle zone del Paese sotto controllo dell’opposizione, ha formato un Governo ad interim per la gestione transitoria del Paese fino al 1° marzo 2025.

Meno di due mesi dunque per cercare di far fronte a numerose e complesse sfide, tra cui ripristinare la sicurezza in tutto il territorio siriano, superare la grave crisi economica in cui da anni versa il Paese, istituire una nuova organizzazione governativa, contrastare le ripetute azioni militari israeliane, nonché ottenere il riconoscimento della Comunità Internazionale e la revoca delle pesanti sanzioni imposte.

Il successo di questo Governo ad interim dipenderà dalla capacità di garantire il più ampio consenso politico e di attrarre tutte le forze politiche che in questi lunghi anni hanno resistito alla dinastia el Assad.

Nel frattempo, a metà dicembre 2024 si è svolta ad Aqaba, in Giordania, la riunione del Gruppo di contatto congiunto sulla Siria cui ha partecipato, tra gli altri, l’inviato speciale delle Nazioni Unite Geir Pedersen.

Il vertice si è concluso con una dichiarazione congiunta di sostegno al processo politico in atto, gestito interamente dai siriani, in conformità con la risoluzione ONU 2254 ed in linea con le legittime aspirazioni del popolo siriano, che garantisca la ricostruzione del Paese preservando l’unità e l’integrità territoriale.

Una dichiarazione di speranza per un Paese martoriato che, però, fa da contraltare alle crescenti preoccupazioni di molti paesi, sia arabi, sia occidentali, per un governo siriano gestito da islamisti con radici salafite.

Alcuni paesi arabi temono in qualche modo il successo della fase transitoria siriana poiché potrebbe essere d’ispirazione per altri nella regione e d’incentivazione alla voglia di cambiamento riformistico; un rischio ed una minaccia per l’éliteesistenti.

La dichiarazione ha avuto delle reazioni contrastanti all’interno della stessa Siria anche se, per la verità, non c’è stata alcuna dichiarazione da parte del governo provvisorio. Per contro, l’opposizione siriana – SOC, così come la Commissione Negoziale Siriana – SNC, si sono subito espressi in maniera positiva, considerando la dichiarazione un sincero sostegno alle aspirazioni del popolo siriano. 

A prescindere dalle diverse valutazioni, ciò che risulta evidente è la disputa in atto sulla validità della risoluzione 2254 e la sua efficacia giuridica nel nuovo scenario creatosi con la defenestrazione del Presidente Assad.

Sin dalla sua adozione nel dicembre 2015, la risoluzione 2254 dell’ONU, unitamente alla risoluzione 2118, è divenuta il principale riferimento internazionale per la Siria, indicando i vari passaggi da perseguire per una transizione pacifica tra cui la creazione di un governo provvisorio munito di pieni poteri, l’elaborazione di una nuova costituzione, nonché l’indizione di nuove elezioni con la supervisione degli osservatori internazionali.

Secondo molti osservatori, la risoluzione non ha più alcuna validità poiché il processo di transizione è mutato con la caduta del regime siriano e la fuga in Russia del Presidente. 

Inoltre, da una prospettiva puramente giuridica, la caduta del regime ha, de facto, eliminato la necessità di negoziare la fase transitoria. C’è poi un fondato timore che la risoluzione venga utilizzata da più parti, interne ed esterne alla Siria, come strumento per interferire negli affari interni del Paese.

I sostenitori della risoluzione invece ritengono che il comunicato dell’ONU di fine giugno 2012 sia l’essenza del suo contenuto che chiede la creazione di un ambiente sicuro e neutrale per dar corso alla transizione inglobando il regime, l’opposizione e tutti i gruppi politici che rappresentano il variegato insieme della popolazione siriana.

Comunque si guardi l’intricata situazione attuale, è del tutto evidente la necessità, per un’efficace implementazione di tutti gli obiettivi prefissati, di realizzare un piano per la transizione e dei chiari meccanismi attuativi, informando e coinvolgendo a pieno titolo tutto il popolo siriano, senz’alcuna esclusione e veti.

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