Durante la sua visita a Beirut, nei giorni passati, l’inviato speciale degli Stati Uniti, Amos Hochstein (assistente di Biden e Consigliere Senior per l’Energia e gli Investimenti), dichiarava di essere tornato nella capitale libanese perché vede una reale opportunità di riuscire a far terminare il conflitto che oppone Hezbollah a Israele. E’ il momento delle decisioni da prendere e la sua presenza in Libano vorrebbe ‘facilitare’ queste decisioni che sono comunque appannaggio esclusivo delle parti in causa. Ha altresì dichiarato di vedere questa possibilità quasi a ‘portata di mano’…intanto però Israele continua a colpire duramente anche al centro della città di Beirut, oltre che nella Striscia di Gaza.
Da notare che Hochstein, di religione ebraica, è nato a Gerusalemme, ha fatto servizio nelle Forze di Difesa israeliane (IDF) prima di trasferirsi a Washington. Ha fatto molte missioni importanti; un curriculum di tutto rispetto per una negoziazione così particolare.
La presenza di Hochstein ha avuto luce verde da parte di Trump che, secondo sue stesse ammissioni, vuole la fine del conflitto in MedioOriente…come in Europa.
Effettivamente, da notizie che vengono assunte da vari corrispondenti, sembrerebbe che vi sarebbe una possibilità di tregua tra i due contendenti ma la realtà nei fatti è ancor molto diversa.
Netanyahu in un suo discorso alla Knesset ha dichiarato che per assicurare la sicurezza nel nord del Paese, occorre continuare in una sistematica azione di contrasto contro possibili futuri attacchi di Hezbollah…Questa non è solo la nostra reazione ma la nostra capacità di impedire a Hezbollah di ricostruire il suo potere…
Sembra che Hezbollah sarebbe pronto a una tregua d’armi ma, se pure vi siano negoziazioni in atto, in realtà il conflitto rimane aperto in modo sempre più violento.
Forse però è il momento anche per Tel Aviv, viste le nette pressioni interne sul governo israeliano, di pensare a una possibile tregua, considerando che Hezbollah ha subito moltissime perdite tra i suoi capi militari e in termini di armamenti e quindi presenti attualmente una forma di debolezza militare che potrebbe indurre accettare una tregua.
E’ peraltro ben noto che uno dei punti dirimenti per un accordo di tregua, sia su come e su chi debba poi monitorare il rispetto della stessa.
Tornare alla Ris. 1701 dell’11 agosto 2006 del Consiglio di Sicurezza ONU sembra difficile dopo tanti mesi di guerra. Una delle clausole chiave di quella Risoluzione fu il disarmo completo di Hezbollah che sono stati invece pesantemente riarmati dall’Iran, il vero deus ex machina di questo conflitto, riprendendo una forza militare di grande impatto.
Peraltro l’obiettivo principe dii Teheran di assumere il primato nel mondo musulmano, contro i sauditi sunniti, sembra essersi molto allontanato, come spesso notato in questo foglio.
I leaders del G20 a Brasilia hanno chiesto la tregua per Gaza e il Libano. Bene. Ma per il momento sono solo dichiarazioni di intenti e speranze difficili da attuare… ancora.
Per quanto riguarda la guerra in Europa, la situazione sembra complicarsi in attesa che il Presidente eletto degli USA possa esercitare il suo potere. Intanto il Presidente uscente Biden, o chi per lui, ha deciso di autorizzare attacchi con missili americani ATACMS su territorio russo, con gittata di 300 km., difficili da intercettare: certamente una svolta nella guerra dei mille giorni oggi…i missili erano stato consegnati l’anno scorso ma senza autorizzazione all’uso. Quanto meno singolare il fatto che l’autorizzazione sia giunta a due mesi circa dal cambio di potere a Washington. Interessante il commento di Dimitri Peskov, il portavoce del Cremlino, che ha notato come la decisione della Casa Bianca sia un nuovo impulso alla tensione già esistente e caratterizzi qualitativamente una nuova situazione, essendo ormai chiara la partecipazione attiva degli USA nel conflitto.
Alcuni analisti interpretano questa decisione di Biden con l’intento di lasciare memoria della sua politica verso l’Ucraina, prima che il suo successore e i consiglieri scettici sul conflitto, ritirino l’aiuto degli Stati Uniti a Kiev.
Esperti del settore sostengono che in realtà il danno che questi missili possono causare sia limitato e soprattutto che Putin ha anticipato questa decisione americana, spostando in largo anticipo gruppi di militari, depositi di armi e bombardieri dalle aree che potrebbero essere colpite dagli ATACMS.
Kiev, è noto, è in grande crisi soprattutto per quanto riguarda la mobilitazione e l’addestramento di soldati e comandanti che possano sostituire uomini al fronte già da troppo tempo.
Anche per la guerra in Europa, la situazione è difficile ma, prima di attaccare violentemente il Vecchio Continente, anche se il ruolo degli Usa può indurre Mosca a pensare a un coinvolgimento della Nato, con conseguenze pesanti, si può riflettere sul fatto che lo Zar Putin, uomo politico di spessore – questo va riconosciuto – pur minacciando, attenda l’insediamento di Trump, per arrivare a una tregua, se non una definitiva pace, ancora troppo difficile, ottenendo il massimo e cioè i territori occupati, anche se non tutti, e la Crimea.
Occorre attendere quasi due mesi e la situazione si farà più chiara. Forse.
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