Una morte eccellente non ferma una guerra. E non si sa ancora a quale possibile nuova situazione potrà portare. Difficilmente a una pace e forse nemmeno a una tregua, sia pur di pochi giorni almeno per permettere l’entrata di aiuti umanitari a Gaza, ormai un gran cumulo di macerie, di sfollati, di affamati.
Sostiene un ricercatore del britannico indipendente Royal United Services Institute for Defence and Security, H.A.Hellyer che il pensare a un ‘giorno dopo’ in Gaza frutto di possibili accordi, come conseguenza dell’uccisione (peraltro fortuita sembra, secondo le dichiarazioni degli stessi militari IDF che l’hanno compiuta), di Sinwar (mente dell’attacco del 7 ottobre 2023 agli israeliani), ‘fa ridere’…se ridere si può nella tragedia di Gaza. E’ una lucida ironica analisi della situazione, che condivido.
Washington preme per discutere di un ‘futuro’ di Gaza, una enclave, una striscia tra Israele e l’Egitto sulla costa del Mediterraneo, un territorio che era tra i più popolati del mondo, controllato politicamente dal 2007 da Hamas. La Striscia di Gaza comprende Gaza Nord, Gaza City, Deir el-Balah, Khan Younis e Rafah: nomi che quotidianamente ascoltiamo, perché obbiettivi degli attacchi continui dell’IDF israeliano per distruggere Hamas.
Occorre comprendere che Tel Aviv non ha alcuna intenzione e, si dovrebbe anche sottolineare, interesse a non sospendere l’occupazione del territorio lungo la West Bank, Gerusalemme Est e anche lasciare le Alture del Golan, mentre si sta preparando a invadere totalmente il Libano o almeno una gran parte, per evitare nuovi insediamenti dei suoi nemici shiiti.
Anche Hamas non intende deporre le armi, dopo la morte del suo capo. Anzi. Per come potrà, andrà avanti con maggior decisione chiedendo, se mancano, denaro e armi all’Iran o a altri possibili alleati non dichiarati ufficialmente, ma che hanno interesse ad avere un Medio Oriente in ‘confusione bellica’ che impegna la più grande potenza occidentale e altri componenti di quel mondo.
Gli uomini di Hamas, ora più che mai, dopo la morte del loro leader, sostengono che andranno avanti fino alla vittoria finale: la distruzione dello Stato d’ Israele. Così come Netanyahu sostiene di voler arrivare a cancellare Hamas, sconfiggere Hezbollah, con un quadro referente di un Occidente che sta perdendo la sua identità e il suo primato mondiale.
L’Iran ovviamente si schiera a fianco dei combattenti di Hamas, perché tutto rientra nel quadro di una rivisitazione geografico-statuale di quella parte del Medio Oriente, a suo esclusivo vantaggio dove vuole avere una influenza totale.
Il tutto a un costo terribile per i Palestinesi, che desiderano solo la fine del conflitto: non importa chi vinca purché si torni a una parvenza di vita e cessino i bombardamenti.
La guerra invece si estende sempre di più: ora in Libano: Beirut, la Valle della Bekaa, Baalbebek, Nabatieh, con molte perdite umane e moltissimi feriti.
Il conflitto si sta espandendo nella Terra dei Cedri, una volta libera e economicamente molto valida…molti anni fa. Ora il sistema bancario libanese è in profonda crisi.
E non è un caso tra l’altro che Israele abbia bombardato la sede dell’istituzione finanziaria riconducibile a Hezbollah. Al-Qard-Al-Hassan. che ha nella città e nella periferia di Beirut e nella Valle della Bekaa una trentina di agenzie. E’ ufficialmente una organizzazione caritatevole ma in realtà opera come una banca per Hezbollah, ormai fuori dal sistema finanziario libanese, soprattutto con ampi fondi provenienti anche da comunità shiite e da operazioni finanziarie spesso occulte e non sempre legali…
Israele sta poi, a suo modo, combattendo le Nazioni Unite, non solo dichiarando il Segretario Generale Guterres, persona non grata, ma continuando a creare problemi alla forza di interposizione, attaccandone le postazioni ‘deliberatamente’, secondo le stesse dichiarazioni del contingente schierato. Il 20 ottobre è stata demolita una postazione osservatrice e una parte di recinzione a difesa. Certamente questa è una ‘patente violazione’ del diritto internazionale, come ha asserito il portavoce di UNIFIL. Ma Israele sostiene che Hezbollah ha lanciato attacchi da posizioni molto vicine a dove si trovano le forze internazionali. Ovviamente Hezbollah nega.
Netanyahu sostiene che UNIFIL debba arretrare per lasciar libero il suo esercito di attaccare e distruggere i nemici, secondo dichiarazioni diffuse da Yoav Gallant, Ministro della Difesa di Tel Aviv.
Occorre onestamente constatare che la situazione è delle più complesse, sempre più intricate, che al momento include anche la massima organizzazione internazionale.
Non sarà affatto facile uscirne, anche se si discute di cambio delle regole d’ingaggio del contingente internazionale. E’ un fatto ormai acclarato: Hezbollah ha costruito alcuno suoi punti ben calibrati di attacco, pensando proprio alla presenza di quel contingente che però, riconosciamolo una buona volta, ha fallito nella sua missione di interposizione, come predisposta dagli accordi internazionali. Dunque: i militari UNIFIL, se attaccati, potrebbero difendersi contro IDF o Esercito libanese, armi in pugno, entrando di fatto nel conflitto, mentre ora cercano ancora di intendersi con queste due realtà militari? O per annullare gli attacchi Hezbollah, usare le armi contro questi? Anche in questo caso, allora accanto a IDF, entrando di fatto nel conflitto.
L’ONU per ora almeno ha fallito in questo quadro internazionale. Amaro constatarlo.
Una nota dolente: la morte di Sinwar ha fatto, per un momento almeno, dimenticare la sorte degli ostaggi ancora in mano a Hamas: quanti corpi saranno restituiti e quanti vivi, se ce ne sono ancora?
Netanyahu si avvantaggia anche della situazione americana in attesa delle elezioni del nuovo Presidente, ben sapendo che, a seconda di chi vincerà, inizierà una nuova fase della presenza americana in termini di aiuti militari in quel settore strategico.
Il cielo è buio.
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