È molto interessante la storia passata e attuale dell’ENI, proprio in questi difficili momenti. La lezione del Senior President Security del Gruppo Eni, anche se molto ‘cauta’ è da leggere per spunti di riflessione.
Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini
Alfio Rapisarda, Senior Vice President Security del Gruppo Eni, ha tenuto una lezione dal titolo: “La sicurezza aziendale e sicurezza nazionale” durante il Master in Intelligence dell’Università della Calabria, diretto da Mario Caligiuri.
“Dall’anno della sua nascita nel 1953 ad oggi, l’Eni – ha ricordato Rapisarda – è stato sempre guidato da tre fondamentali principi: cooperazione, internazionalità e sostenibilità. Se oggi l’Eni è una multinazionale dal DNA tutto italiano, che vanta una presenza in 68 paesi stranieri e il 45% delle quote azionarie in Italia, lo si deve alla lungimiranza di Enrico Mattei. Il fondatore dell’Eni aveva inteso sfatare il complesso di inferiorità italiano, sfidando le grandi industrie petrolifere in gran parte angloamericane, consolidate soprattutto in Africa, per rendere l’Italia indipendente dal punto di vista energetico, con un approccio di intelligence di tipo geopolitico, economico, industriale”.
“Mattei aveva intuito – ricorda il docente – che per essere accolti nei paesi stranieri occorresse comprenderne i bisogni locali, collaborare per sostenerli, condividerne gli utili, integrare persone le persone”
“Oltre che per l’efficienza, l’Eni si distingue per essere un’azienda in continua evoluzione, che, in una logica di diversificazione, sviluppa ricerca, integra vecchie e nuove tecnologie. In questo modo ha promosso processi di decarbonizzazione e meccanismi evoluti di produzione di energia attraverso il biologico, il blu e il green, ponendo serie premesse per reali transizioni energetiche a beneficio della collettività. La ricerca in Eni ha tradotto in investimento l’impatto della pandemia sui costi dei barili di gas, passati da 24 a 100 dollari al barile, mentre in tema di cambiamento climatico tenta di rispondere ai contrasti culturali delle logiche Nimby, con lo sviluppo di condizioni di approvvigionamenti paralleli di energia per industrializzare l’alternativa green di per sé molto costosa”.
Rapisarda ha poi ricordato che oggi l’Italia importa gas per il 35% dalla Russia, per il 30% dall’Algeria e solo il 4% è di produzione nazionale. “Il nostro Paese – ha ricordato – è ricco di gas ma fa fatica ad estrarlo. In 20 anni siamo passati da 20 miliardi di metri cubi di produzione a 3 miliardi e mezzo”.
Ha poi spiegato che un eccesso burocratico impedisce di estrarre gas dall’Adriatico, come invece sta facendo la Croazia. Però, se l’ENI è riuscita ad acquisire i giacimenti Zohr e nella Val d’Agri è solo per la competenza dei nostri tecnici. L’Europa non ha grandi produttori energetici e infatti dipende per il 40% dalla Russia e per il 14% dalla Norvegia.
“Sia in Italia che in Europa occorre diversificare le fonti di energia ma per farlo occorrono rigassificatori che in Italia sono solo tre. L’Europa si è “seduta” sui corridoi dei gasdotti provenienti dall’Est, più vantaggiosi economicamente. A tale situazione, l’Eni sta reagendo consolidando alleanze con il Congo, l’Angola, il Mozambico, l’Egitto. In prospettiva futura, in attesa che altri strumenti di energia alternativa, come il nucleare o la fusione magnetica si affermino, serve prima di tutto una volontà politica per una rete nazionale di rigassificatori”.
Il docente ha poi proseguito, sostenendo che lo sviluppo della tecnologia va di pari passo con quello dell’interesse e della sicurezza nazionale. Oggi, circa un miliardo e mezzo di persone non hanno accesso all’energia. È il tema della disuguaglianza nel mondo, per cui senza interventi di promozione dello sviluppo a favore dei più poveri, si generano fenomeni di immigrazione, criminalità, terrorismo.
“Ancora oggi, come ai tempi di Mattei, fare sicurezza aziendale significa porre attenzione a quegli indicatori geopolitici e sociali di instabilità che possono anticipare tensioni e rischi per l’intera collettività”.
Rapisarda ha poi concentrato la sua lezione sul suo concetto di security aziendale, che si differenzia dalla safety, la sicurezza fisica dei dipendenti, ma è un dovere di responsabilità del vertice aziendale che ha componenti etiche, economiche, giuridiche, sociali e istituzionali. Infatti, occorre prevenire le minacce e rinunciare al business quando gli operatori possono essere in pericolo o non sono al sicuro. Ciò significa tre cose per la security aziendale. La prima, che occorre occuparsi anche di diritti umani. Eni è l’unica società italiana ammessa al club che si occupa di Voluntary Principle on Security and Human Rights. La seconda è che è proattiva dovendosi caratterizzare in modo multidimensionale, specie dopo l’attacco alle Torri Gemelle del 2001. La terza è che la security aziendale si fa con intelligence, non solo attraverso un’opera di prevenzione, mettendo a fattor comune le attività industriali. A livello giuridico in Italia la security è però poco percepita e regolata attraverso norme. Si può fare riferimento solo alla Uni 10459 del 2017 che in realtà è una best practice e non una vera e propria norma.
Occorre in realtà combinare più norme come il D.L. 81/2008 e l’art. 2031 del codice civile e renderle coerenti con il disegno normativo interno aziendale.
“Ci auguriamo – ha detto – che l’istituzione dell’Agenzia per la cyber sicurezza nazionale possa dare ulteriori contributi in questo senso.
Il modello di security aziendale Eni può essere definito con 8 aggettivi: committed, organizzato, strategico, risck based, coerente, resiliente, aggiornato, interattivo. Le attività di security prevedono azioni di mappatura dei rischi, valutazione del rischio, gestione del rischio, valutazione della minaccia, azioni di mitigazione.
“Per quanto attiene alla cyber security – ha proseguito – c’è bisogno che si correli a una cyber intelligence che leghi il mondo delle imprese alle istituzioni governative, in modo da costruire un ecosistema fiduciario dove la prevenzione delle minacce possa realizzarsi attraverso la segnalazione e la piena condivisione delle informazioni.
In conclusione Rapisarda ha illustrato i rapporti tra security aziendale e sicurezza nazionale.
Ha sostenuto che “la sicurezza nazionale disciplinata nella legge 124/2007 riguarda gli interessi politici, militari economici e scientifici. A livello energetico, il ruolo delle grandi aziende non riguarda solo la competitività del mercato ma la reputazione della nazione. La posta in gioco è la sovranità nazionale, che però si deve declinare in ambito energetico sulle politiche europee mentre la politica italiana è condizionata dalla burocrazia. A volte, quando si fa lobby all’estero è legale, quando si fa in Italia si commette un reato. La soluzione è consolidare partnership tra pubblico e privato e tra privato e privato, soprattutto per uscire dall’autoreferenzialità aziendale attraverso un quadro giuridicamente riconosciuto che ancora non c’è. Per fare questo occorre ricordare l’invito di Mattei ad “avere fiducia nel vostro domani, studiando, imparando, conoscendo i problemi”.
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