Tunisia: la Costituzione, frutto della Primavera Araba, al centro di un pericoloso cortocircuito politico.

Tunisia: la Costituzione, frutto della Primavera Araba, al centro di un pericoloso cortocircuito politico.

Il Presidente della Tunisia

Il Presidente della Tunisia

Il punto sull’attuale situazione in Tunisia, dopo il cambiamento voluto dal presidente Kais Saied (professore universitario), che, dopo aver sospeso il Parlamento, sta prevedendo un referendum per una nuova Costituzione, avendo esautorato nei fatti la precedente. Il referendum è per luglio 2022 mentre per il dicembre dello stesso anno sono previste le elezioni politiche. La realtà ‘islamica’ del Paese si sente, vivendoci ma almeno a Tunisi si respira aria di laicità, quanto meno nelle classi agiate e colte.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

Da più di sei mesi la Tunisia sta vivendo un travagliato periodo della sua storia recente. Un nuovo complicato periodo che va sommato a molti altri periodi bui, a partire dalla rivoluzione araba culminata il 13 gennaio 2011 con le dimissioni del Presidente Zine El-Abidine Ben Ali al potere dal 1987, precipitosamente riparato in Arabia Saudita.

Dopo la cacciata del Presidente/Dittatore e superata una prima fase di gioia e di speranza, il Paese s’è ritrovato, dopo le prime elezioni elettorali “libere”, calato in una realtà “islamista”.

A ben guardare, questo è il destino che accumuna tutte le rivoluzioni che, per loro natura, sono imprevedibili nel nascere, poi però si trasformano in processi molto lenti, tragici nel loro sviluppo che non è mai lineare, bensì costellato di ostacoli, passi indietro e false partenze.

Comunque sia, il percorso di trasformazione della Tunisia in quest’ultimo decennio è stato tutto sommato pacifico, non certo un modello, piuttosto un laboratorio giacché è – e resta- un Paese in equilibrio precario sia dal punto di vista economico che sociale, con la questione del radicalismo islamico sempre aperta.

Islamisti che però in Tunisia in questi anni hanno tenuto, con lungimiranza ed intelligenza strategica, un profilo basso, favorendo la formazione dei vari esecutivi e, soprattutto, la promulgazione di una “nuova” Costituzione, il frutto più importante della rivoluzione e che oggi è nuovamente sott’attacco, peraltro dalle stesse Istituzioni preposte a salvaguardarla.

Una Costituzione che sancisce la Tunisia quale Repubblica araba di religione islamica, senza riferimento alcuno alla sharia quale fonte primaria del diritto.

Segno importante di un tentativo di ridimensionamento del ruolo della religione all’interno della società e nella vita – anche privata – dei cittadini.

Molto importante l’articolo venti – innovativo e per alcuni versi rivoluzionario – che sancisce la parità di diritti e doveri tra gli uomini e le donne, senza discriminazione alcuna.

“Uguaglianza” piena tra i sessi, non una semplice “complementarietà” tra uomini e donne, come inizialmente voluto dagli islamisti.

La sostituzione del termine “complementarietà” con “uguaglianza” ha indubbiamente una valenza importante anche se, come rimarcato sia da Amnesty International sia da Human Rights Watch, rimane un articolo con una formulazione generica e privo di contenuti.

La politica del compromesso tra i partiti ha raccolto frutti anche in molti altri articoli della Costituzione, tra cui quello riguardante la criminalizzazione della tortura e la difesa della libertà d’opinione, d’espressione e d’informazione.

Carta Costituzionale dunque al centro della vita politica tunisina, che in questi mesi deve resistere alle burrasche legate allo sconquasso causato dal Presidente della Repubblica Kais Saied.

Saied, che ha vinto le elezioni presidenziali nel 2019 presentandosi come candidato indipendente, facendo della lotta alla corruzione e della riforma in chiave federalista del sistema politico i punti salienti del proprio programma politico, circa sei mesi orsono (25 luglio 2021), ha dimissionato il governo in carica, ha sospeso l’attività parlamentare, mentre lo scorso dicembre 2021 ha limitato l’efficacia di alcuni articoli della Carta Costituzionale.

Il Presidente ha inoltre firmato un decreto di emergenza che gli permette di governare ignorando così i limiti imposti dalla Costituzione e scavalcando il controllo del Parlamento.

Nel contempo, ha annunciato per il 25 luglio 2022 (ad un anno esatto dal suo atto di forza), l’indizione di un referendum per votare una nuova Costituzione, mentre per il 17 dicembre 2022 sono programmate le nuove elezioni parlamentari.

Kais Saied ha più volte annunciato la volontà di porre in essere tutta una serie di misure politiche che, a ben vedere, mirano a cambiare il sistema politico deciso dai tunisini dopo la rivoluzione. Misure che, se approvate, potrebbero trasformare la Tunisia in un sistema di democrazia diretta, non rappresentativa.

Analizzando l’ultimo discorso pronunciato dal Presidente, si possono individuare alcuni punti significativi, tra cui quello che riguarda per l’appunto la Camera dei Rappresentanti che continuerà ad essere sospesa fino a nuove elezioni. Nel frattempo sarà lanciata una sorta di “consultazione popolare virtuale” sui social media, con domande riguardanti il sistema politico, costituzionale ed elettorale del prossimo futuro.

Un altro punto importante riguarda l’emanazione di un decreto per una conciliazione fiscale per le persone coinvolte in casi di corruzione o che hanno commesso reati contro lo Stato e il Popolo.

Va da sé che la linea autoritaria del Presidente (per alcuni è stato un colpo di stato, per altri una sorta di contro-transizione democratica) ha alimentato un forte dissenso non solo all’interno della classe politica ma anche della società civile, impaurita per la mancanza di un solido programma di riforme economiche e sociali in grado di mitigare una dilagante povertà, nonché per alcune velate minacce alle libertà fin qui faticosamente acquisite.

Un dissenso che acuisce la spaccatura della Tunisia tra le regioni costiere e quelle dell’elite economica, con quelle centrali e meridionali, fucine del malcontento, della manodopera a buon mercato e della disoccupazione, in particolare quella giovanile.

Si sono registrate già alcune manifestazioni di protesta in alcune città, in particolare nella depressa città di Sidi Bouzid (dove il martirio del venditore ambulante Mohamed Buoazizi che s’immolò con il fuoco, diede il là alla rivolta popolare che pose fine al regime di Ben Ali), a Kasserine e finanche in alcuni quartieri della classe operaia a Tunisi). Per contro, sono stati organizzati dei gruppi pro-Saied.

Questa contrapposizione però non sembra (almeno in questo frangente) destinata ad acutizzarsi e portare ad un’escalation della violenza degli uni contro gli altri.

Ciò perché il panorama politico tunisino è magmatico con posizioni ondivaghe di alcuni partiti ma anche perché alcuni strati della società civile sono rimasti apatici e non si sono schierati apertamente.

Certo è che la situazione rimane critica, da monitorare nella sua evoluzione, in particolare l’atteggiamento dell’apparato statale, delle strutture di sicurezza e degli organi della magistratura.

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