Kurdistan iraniano: la lotta di una minoranza a difesa della propria identità.

Kurdistan iraniano: la lotta di una minoranza a difesa della propria identità.

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Un articolo molto ben documentato e chiaro sulla situazione dei Kurdi dell’Iran, che già con i Pahlevi avevano le loro difficoltà anche se assolutamente minori di quelle che stanno ora affrontando con gli ayatollah.

Il Direttore Scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

Da un punto di vista politico l’Iran appare un paese contraddittorio, seppur monolitico nella sua struttura politica e nella perpetuazione della classe dirigente. Per contro, la società iraniana è   variegata e multiforme per composizione etnica, linguistica e culturale.

La compresenza di persiani, arabi, azeri, curdi, baluci e turkmeni avvalora siffatta affermazione.

Un’inesauribile fonte di ricchezza culturale che, se contestualizzata in un paese pieno di contraddizioni come l’Iran, si trasforma in una percepita minaccia all’integrità dello Stato.

Il tentativo, spesso brutale, d’incanalare il tutto in una cultura dominante con un’unica lingua, quella persiana per l’appunto, è sempre stata la linea maestra perseguita dai leader a salvaguardia della coesione del Paese.

Omologazione che non è un’esclusiva degli ayatollah, bensì ha avuto origine con la nascita del moderno stato-nazione, trovando degli sponsor convinti nell’epoca degli Shah Pahlevi.

Gli ayatollah hanno ereditato e fatto proprie delle linee guida già tracciate, attuandole sistematicamente e brutalmente. Tutto è stato sacrificato in nome dell’identità persiana, dell’elevazione della lingua persiana, con la conseguente alienazione e frustrazione della composita componente non persiana e non sciita.

Il risultato è stato lo sviluppo di un forte (ri)sentimento nazionalista tra la minoranza araba, azera, balucia e curda.

Quest’ultima minoranza è stata oggetto di una sistematica politica discriminatoria iniziata ancor prima delle altre, nei primi anni del novecento e che ha portato alla rivolta di Simko Shikak (1918 – 1930) e, qualche decennio dopo, nel 1946, all’istituzione della Repubblica del Kurdistan con capitale Mahabad.

Si ricorda che Simko Shikak, appartenente a una delle famiglie curde più in vista, fu a capo di una rivolta armata curda, sostenuta dagli ottomani, contro la dinastia di Qajar dell’Iran, tra il 1918 e il 1922, mentre nel 1930 venne assassinato dagli iraniani.

L’avvento dell’Ayatollah Khomeyni nel 1979 fu inizialmente salutato con favore dai curdi, ben presto il sentimento positivo si tramutò in risentimento e delusione. Infatti, subito dopo la proclamazione della Repubblica Islamica dell’Iran, la Guida Suprema promulgò una fatwa contro il popolo curdo e il suo movimento autonomista.

Da quel momento in poi inizia una vera e propria “guerra” dei curdi contro il Regime iraniano, per tramite dei partiti politici, in particolare del Partito Democratico dell’Iran del Kurdistan – KDPI e del Partito Komala del Kurdistan iraniano, noto come Komalah.

I due partiti hanno agito con azioni di guerriglia nelle zone montagnose di confine tra il Kurdistan iraniano ed iracheno, trovando rifugio in Iraq. Negli anni sono rimasti sul terreno molti combattenti e leader politici, tra cui due Segretari Generali del KDPI, Abdul Rahman Ghassemlou e Sadeq Sharefkandi, assassinati rispettivamente nel 1979 e nel 2001.

Gli iraniani, nel corso dei decenni, concentrati nel demonizzare e combattere i movimenti separatisti, hanno volutamente trascurato il resto della popolazione curda, senza investire in infrastrutture, scuole ed educazione in una regione che oggi, rispetto alle altre, è molto arretrata. Una regione non al passo con il resto del Paese e che ha subito un forte contraccolpo geopolitico, senza peraltro riprendersi appieno allorquando l’Iraq, agli inizi degli anni novanta, ha invaso il Kuwait dando il via alla prima guerra del Golfo.

L’avvenimento segna il cambiamento delle relazioni tra la regione curda e l’Iran, con pesanti conseguenze sulla popolazione.

Con la guerra l’Iraq perde il suo ruolo di potenza regionale, sino ad allora considerata alla pari con la Turchia e l’Iran. La nascita della Regione Autonoma del Kurdistan iracheno – KRI, ha indebolito il governo centrale di Baghdad e reso il territorio iracheno non più sicuro per le attività del movimento indipendentista curdo.

Nel corso degli anni si sono susseguiti gli attentati delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche – IRGC, a danno delle basi militari in territorio iracheno del KDPI e di Komalah. Tale situazione ha portato ad un’anestetizzazione delle attività militari curde ed allo sradicamento della sua influenza.

Questo bouleversement ha avuto un trend sempre più negativo che è continuato sin verso la fine degli anni novanta allorquando, con l’era riformista di Mohammad Khatami, i curdi hanno potuto respirare.

Tutto cambia nuovamente –in peggio– tra il 2005 e il 2013 con la presidenza di Mahmud Ahmadinejad.

Comunque sia, seppur tra alti e bassi e con diverse gradazioni, emerge chiaramente la costante di un movimento curdo percepito dal Governo centrale quale minaccia per il potere costituito.

Va da sé che tutti i Governi iraniani hanno sempre cercato di marginalizzare i partiti politici curdi, cercando di renderli insignificanti agli occhi dell’opinione pubblica, soprattutto quella occidentale, ed annichilire la società civile curda erodendone la coesione socioculturale.

Per converso, i curdi hanno dimostrato un forte temperamento ed una strenua resistenza, prova ne sono le numerose proteste di massa e gli atti di disobbedienza civile. Si ricorda che la prima grande protesta di massa ebbe luogo nel 2005 a seguito della tortura pubblica ed esecuzione di un attivista studentesco curdo Shwaneh Ghaderi.

Gli iraniani hanno cercato di ridurre i curdi all’impotenza colpendoli anche nell’uso della propria lingua. Nella Costituzione iraniana è espressamente indicato che la lingua e la scrittura ufficiale del popolo iraniano è il persiano. Pertanto, tutti i documenti ufficiali, la corrispondenza ed i libri di testo devono essere in tale lingua. Per la verità, almeno sulla carta, l’uso delle lingue locali ed etniche nei mass media sono consentiti, così l’insegnamento nelle scuole.

Questa promessa costituzionale, ad oggi, non è stata mantenuta, basti pensare che nel 2020 l’Accademia Statale della lingua Persiana ha ottenuto un notevole budget, mentre le altre lingue hanno ricevuto le briciole.

La lingua curda deve essere ancora ammessa quale lingua d’istruzione nelle scuole, nelle università e nelle altre istituzioni educative. Si registra, però, la creazione dell’Università del Kurdistan, che è in grado di offrire alcuni moduli universitari in lingua e letteratura curda, così come sono fioriti i centri culturali locali.

Lingua e cultura considerate dagli iraniani alla stregua delle attività sovversive e che, pertanto, devono essere limitate il più possibile, a danno della storia, della cultura, delle tradizioni e della fierezza del popolo curdo.

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